Immobile ristrutturato e ceduto alle figlie, ma il pagamento dei lavori è solo a carico della madre

Incarico e contratto attribuiti alla donna, alla quale è destinato l’azione di recupero in questo caso ha agito in proprio e non in rappresentanza della prole. Nessuna obbligazione solidale per le due figlie, divenute titolari solo a conclusione dei lavori.

Contratto chiuso, lavori edilizi eseguiti, compenso mai versato. Legittima la richiesta di vedere ripagata l’opera compiuta, ma sul destinatario va fatta chiarezza. Soprattutto se, come in questa vicenda, a firmare l’accordo è la madre e a beneficiare dei lavori sono le figlie Cassazione, sentenza numero 1302/2012, Terza sezione Civile, depositata oggi . Lavoro chiuso. Ristrutturare un immobile questo l’incarico affidato, che, però, non viene ricompensato. A firmare l’accordo è una donna, che punta ad avere a disposizione un appartamento bello e pronto per quando le due figlie saranno maggiorenni. Missione compiuta, con un piccolo particolare i lavori non sono stati pagati. E proprio questo diventa casus belli nelle aule di giustizia. A finire sul banco degli imputati, però, è non solo la madre, ma anche le figlie, intanto divenute maggiorenni E mamma paga Così, in primo grado, mamma e figlie sono condannate a pagare i lavori eseguiti 21milioni di vecchie lire la cifra da versare. Ma, in Appello, la situazione si modifica viene confermata la condanna della madre, vengono ‘salvate’ le figlie, alla luce della loro estraneità al contratto . Meglio ancora, le due figlie non sono ricomprese, secondo i giudici, nei limiti del rapporto contrattuale, di pagamento e di prestazione d’opera , e, comunque, le opere furono commissionate dalla madre , quindi la circostanza che beneficiarie fossero le figlie, divenute solo successivamente proprietarie dell’immobile, non implica che le stesse parteciparono alla contrattazione . Tutto ciò, peraltro, si colloca, sempre secondo i giudici, in un quadro di comune esperienza i genitori destinano opere, immobili, manufatti in favore dei figli per il loro futuro . Citazione chiara. Eppure i responsabili dei lavori non accettano la pronuncia d’Appello, e chiedono la condanna anche per le due figlie della firmataria del contratto. Obiettivo è ‘ritornare’ alla sentenza di primo grado, ovvero alla attestazione della obbligazione solidale delle figlie, sul presupposto dell’ irrilevanza dell’epoca di conferimento dell’incarico dei lavori se prima o dopo che le figlie erano divenute proprietarie . Ma la richiesta non trova accoglimento nella valutazione della Cassazione. E, in questa decisione, il riferimento principale è l’atto di citazione finalizzato a ottenere il pagamento dei lavori difatti, in quell’atto il soggetto passivo è la madre quale persona che aveva commissionato i lavori, sebbene nell’interesse delle figlie minori , e, di conseguenza, la committenza dei lavori è riferibile alla madre, qualunque fosse il motivo interno che la induceva a fare ciò, non idoneo ad estendere alle figlie la responsabilità contrattuale della madre , già condannata. All’interno di un panorama ampio, quindi, la diretta riferibilità del contratto alla madre, in proprio è l’unico punto fermo. Per questo motivo, non è legittimo richiamare la violazione della normativa sulla rappresentanza esercitata dai genitori per i figli. E, di conseguenza, è impensabile il richiamo a una presunta obbligazione solidale su questo punto, in chiusura, i giudici di piazza Cavour condividono la valutazione dei giudici d’Appello, sottolineando il peso del presupposto dell’anteriorità del conferimento dell’incarico rispetto all’acquisto della proprietà da parte delle minori .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 dicembre 2011 – 30 gennaio 2012, n. 1302 Presidente Amatucci – Relatore Carluccio Svolgimento del processo 1. Ai fini che ancora rilevano nel presente processo, il Tribunale condannò, in solido, C. I., F. A. C. e M.C. al pagamento pari a circa 21 milioni di lire in favore di M. e P. P., per lavori di ristrutturazione eseguiti sull'immobile di proprietà delle figlie F. A. e M. , all'epoca minori, su incarico della madre C. . La Corte di appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto - respinse l'impugnazione proposta dalla I., confermando la relativa condanna, e, in accoglimento della impugnazione di F. A. e di M., che deducevano la loro estraneità al contratto, rigettò la domanda nei loro confronti sentenza del 28 aprile 2006 . 2. Avverso la suddetta sentenza M. e P. P. hanno proposto ricorso per cassazione con due motivi, corredati da quesiti. F. A. e M. C. hanno resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. La sentenza impugnata fonda il rigetto della domanda, nei confronti di F. A. e M., sulle essenziali argomentazioni seguenti - le figlie sono estranee al rapporto contrattuale, di pagamento di prestazione d'opera, dedotto in giudizio dai P. - l'atto di citazione individuava nella I. il soggetto passivo, quale persona che aveva commissionato i lavori, & lt sebbene& gt aggiungendo che la stessa agisse nell'interesse delle figlie minori, all'epoca minorenni - le opere furono commissionate dalla I. la circostanza che beneficiarie fossero le figlie, divenute solo successivamente nell'ottobre 1992 proprietarie dell'immobile, & lt non implica che le stesse parteciparono alla contrattazione& gt , essendo dato di comune esperienza che i genitori destinano opere, immobili, manufatti in favore dei figli per il loro futuro - la committenza dei lavori è riferibile alla I., qualunque fosse il & lt motivo interno& gt che la induceva a fare ciò, non idoneo ad estendere alle figlie la responsabilità contrattuale della madre. 2. I due motivi di ricorso, con i quali si fa valere la violazione dell'art. 320 cod. civ. primo e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione secondo , intimamente connessi, sono inammissibili. 3. Il primo si conclude con il seguente quesito & lt E' riferibile alle minori, come nella specie, il contratto non eccedente l'ordinaria amministrazione, che sia stato concluso dal genitore esercente la potestà, anche senza spendita del nome delle rappresentate, per l'esecuzione di opere di miglioramento di immobile, di proprietà esclusiva delle stesse minori, con terzi consapevoli dell'appartenenza a queste ultime del bene ?& gt . Rileva, in modo assorbente, l'inconferenza della questione prospettata rispetto al decisum della sentenza impugnata e della pur contrapposta sentenza di primo grado . I ricorrenti mirano ad ottenere la condanna delle figlie al pagamento dei lavori di ristrutturazione,. per i quali è stata già condannata la madre con decisone della stessa sentenza oggetto del presente giudizio, sul punto passata in giudicato per mancanza di impugnazione e fondano la censura sulla pretesa violazione dell'art. 320 cod. civ. Ma, sulla base di tale articolo, in collegamento con l'art. 1388 dello stesso codice, il contratto stipulato dall’esercente la rappresentanza legale dei minori produce esclusivi effetti diretti nella sfera giuridico-patrimoniale dei rappresentati e non anche in quella del rappresentante. Presuppone, quindi, che la madre abbia agito come rappresentante legale. Di conseguenza, è inconferente l'allegazione della violazione dì tale articolo in fattispecie in cui è stata riconosciuta la diretta riferibilità del contratto alla madre, in proprio. Infatti, in entrambi i giudizi di merito, la madre è stata riconosciuta come obbligata in proprio, e le decisioni si differenziano solo sul profilo della obbligazione delle figlie la prima sentenza, estendendo l'obbligo in solido ad esse, quali beneficiarie, in quanto proprietarie, e sul presupposto dell'irrilevanza dell'epoca di conferimento dell'incarico dei lavori se prima o dopo che le figlie erano divenute proprietarie la seconda sentenza, escludendo tale obbligazione solidale, sul presupposto dell'anteriorità del conferimento dell'incarico rispetto all'acquisto della proprietà da parte delle minori e confinando nel piano dei motivi interni, irrilevanti, l'essere finalizzati tali lavori ad immobili poi divenuti di proprietà delle figlie. In definitiva, il motivo e il quesito non fa i conti con la ritenuta obbligazione diretta della madre passata in giudicato , non preoccupandosi di raccordare con questa la pretesa obbligazione diretta delle figlie che, secondo la prospettazione, deriverebbe dall'essere stato il contratto concluso dall'esercente la potestà, anche in assenza della spendita del loro nome, purché nella consapevolezza del terzo contraente. 4. Il secondo motivo si conclude con il seguente quesito & lt Può il giudice del merito disattendere, senza motivare in sentenza, le risultanze processuali prospettate dalle parti ed acquisite in sedie istruttoria, escludendo così dell’art. 320 cod. civ. là dove, comunque, l'operato del genitore esercente la potestà ha per soli destinatari, come nella fattispecie, beni di proprietà dei figli minori ?& gt . E' palese l'inadeguatezza del momento di sintesi, omologo del quesito dì diritto in riferimento al motivo di cui all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. 4.1. Rileva, innanzitutto, il generico riferimento alle risultanze processuali, prospettate dalle parti e acquisite in istruttoria, che rende il motivo aspecifico e impedisce alla Corte di riscontrarne la decisività, con conseguente inammissibilità Cass. 30 luglio 2010, n. 17915 . 4.2. Nella stessa direzione della inammissibilità, rileva la contemporanea deduzione di tutti i vizi motivazionali previsti, in contrasto con la giurisprudenza della Corte, secondo cui, i vizi di cui all'art . 360 cod. proc. civ., n. 5, - salvo che non investano diversi fatti controversi - non possono concorrere tra di loro, ma sono alternativi, non essendo logicamente concepibile che una stessa motivazione sia, quanto allo stesso fatto controverso, contemporaneamente omessa, nonché insufficiente e, ancora, contraddittoria con la conseguenza, che è onere del ricorrente precisare quale sia - in concreto il vizio della sentenza, non potendo tale scelta essere rimessa al giudice. Cass. 25 gennaio 2011 n 1747 Cass. 30 marzo 2010, n. 7626 . 4.3. Ed ancora, rileva la commistione, anche nella parte esplicativa, con profili di violazione di legge, in modo che non è univocamente enucleabile come i difetti motivazionali incidano sulla violazione di legge dedotta. 5. In conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso condanna M. P. e P. P., in solido, al pagamento, in favore di F. A. C. e M. C., delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.