È illegittimo autoridursi l’affitto invocando l’applicazione dell’equo canone

Sostiene che il contratto di locazione sia simulato, ma senza provarlo non può decidere arbitrariamente di corrispondere un importo inferiore a quello pattuito

La decisione del conduttore di ridurre unilateralmente l’importo del canone di locazione e il versamento nei mesi successivi di una somma inferiore a quella pattuita ha irreversibilmente leso il sinallagma contrattuale dell’interesse della parte locatrice al conseguimento della prestazione economica dovutale. La locazione deve quindi dichiararsi risolta ai sensi dell’art. 1453 c.c. per l’inadempimento della parte resistente all’obbligazione di pagamento del canone. Così afferma la Terza sezione Civile della Corte di Cassazione nella sentenza n. 27560/11, depositata il 20 dicembre scorso. Il caso. Primi anni ’90. Un medico necessita di un appartamento a Roma. Stipula quindi un contratto di locazione. Il canone nelle grandi città, si sa, può raggiungere cifre ragguardevoli e così il dottore decide unilateralmente di ridurre l’importo da versare, precedentemente concordato. Inoltre cita in giudizio il locatore per ottenere la restituzione delle maggiori somme fino a quel momento pagate. E’ il contratto dissimulato ad avere efficacia tra le parti che hanno concluso un contratto diverso da quello apparente. Alla base della pretesa del medico c’è la contestazione del fatto che, a suo dire, la clausola dell’uso dell’immobile ad abitazione e studio era stata inserita nel contratto al solo fine di sottrarsi alla disciplina della legge sull’equo canone. Dunque, è in base a quanto disposto da quest’ultima che va determinato l’ammontare del canone. In realtà l’attività professionale viene svolta in altri studi e cliniche private, essendo l’immobile utilizzato solo come abitazione. Per provare il fatto che il contratto è simulato chiede l’ammissione della testimonianza di alcuni parenti e amici del locatore che a lui si erano rivolti per delle visite mediche e che non erano stati ricevuti a casa, ma in altre strutture. Il Tribunale, però, dichiara inammissibile la richiesta della prova testimoniale e dà torto al conduttore che senza successo ricorre in appello. Non pago, si rivolge alla Suprema Corte. La riduzione unilaterale del canone è illegittima. La Cassazione conferma la correttezza dell’operato dei giudici di merito. Quest’ultimi si sono espressi in favore dell’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento proposta dal locatore che ha a sua volta agito contro il conduttore. Del resto la decisione unilaterale di corrispondere una cifra inferiore a quella pattuita è illegittima e arbitraria. Inoltre ha irreversibilmente leso il sinallagma contrattuale dell’interesse della parte locatrice al conseguimento della prestazione economica dovutale. La locazione deve quindi dichiararsi risolta ai sensi dell’art. 1453 c.c. per l’inadempimento della parte resistente all’obbligazione di pagamento del canone . Infine è da rigettare la doglianza con la quale il conduttore lamenta l’ingiustizia della decisione di inammissibilità della richiesta di prova testimoniale operata dal Tribunale. In ogni caso poi, l’effettuazione delle visite presso cliniche privati o altri studi non esclude, di per sé, che il medico avesse adibito anche uno o due vani dell’immobile preso in locazione a proprio studio professionale.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 novembre – 20 dicembre 2011, numero 27560 Presidente Trifone – Relatore Carleo Svolgimento del processo Con ricorso del 5 luglio 2005 M.M. , premesso di avere il 21 aprile 1992 concluso con C.P. contratto di locazione ad uso abitativo, avente ad oggetto un appartamento in Roma, esponeva che la clausola dell'uso dell'immobile ad abitazione e studio era stata inserita dal locatore nel contratto al solo fine di sottrarsi alla disciplina della legge numero 392/78. Ciò, in quanto era ben consapevole, così come lo fu suo figlio L. , succedutogli nel contratto, che il conduttore esercitava la sua attività di medico ortopedico in studi professionali ed in cliniche private. Ciò premesso, il M. chiedeva che, previa declaratoria di simulazione contrattuale ed accertamento dell'equo canone, il locatore venisse condannato alla restituzione di tutte le somme pagate in eccesso rispetto al cd. equo canone oltre rivalutazione, interessi e spese. Si costituiva il C. deducendo di avere a sua volta agito contro il M. contestandogli l'unilaterale variazione di destinazione d'uso dell'immobile e l'arbitraria autoriduzione del canone e chiedendo pronunciarsi la risoluzione del contratto. Riunite le cause, il Tribunale rigettava le domande del M. , pronunciava la risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore a ragione dell'arbitraria autoriduzione del canone e condannava quest'ultimo al rilascio dell'immobile nonché al pagamento delle mensilità non corrisposte fino alla pronuncia. Avverso tale decisione proponevano appello, principale il M. , ed appello incidentale condizionato il C. ed, in esito al giudizio, la Corte di Appello di Roma con sentenza depositata in data 27 maggio 2009 rigettava l'impugnazione principale. Avverso la detta sentenza il M. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi, illustrato da memoria. Resiste con controricorso il C. , il quale ha depositato a sua volta memoria difensiva a norma dell'art. 378 del c.p.c Motivi della decisione La prima doglianza, svolta dal ricorrente, articolata sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, si fonda sulla considerazione che la Corte territoriale avrebbe sbagliato nel ritenere corretta la decisione del Tribunale quando aveva statuito l'inammissibilità della richiesta di prova testimoniale, diretta a dimostrare la simulazione del contratto di locazione nella parte in cui i contraenti avevano convenuto l'uso promiscuo. Peraltro, ad onta di un'articolata e conferente capitolazione di prova testimoniale, avente ad oggetto la decisiva circostanza di fatto che l'ing. C. e le persone a lui più vicine, tra cui la cognata R. , conoscevano la destinazione ad esclusivo uso abitativo dell'immobile , la Corte non aveva neppure spiegato le ragioni che l'aveva indotta a ritenere i capitoli articolati inidonei a fornire la prova della dedotta simulazione. La doglianza è infondata. A riguardo, vale la pena di premettere che le circostanze, che il ricorrente intendeva provare, erano le seguenti 1 nel periodo 96/98 un amico della famiglia C. si era sottoposto alle cure del dr. M. con visite presso il Policlinico Umberto I 2 sin dagli anni 1998-2000 e 2001-2003 la cognata del C. aveva fatto sottoporre i figli alle cure del dr. M. con visite presso il citato Policlinico, presso una casa di cura o presso lo studio privato del professionista. 3 il 25 novembre 2001 il C. aveva visitato con la moglie l'intero appartamento. 4 nel luglio 2005 il tecnico di fiducia del C. , recatosi nell'appartamento locato constatava l'esclusiva destinazione ad uso abitativo. Ciò premesso, appare opportuno rilevare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la mancata pronuncia su una istanza istruttoria e comunque il suo mancato accoglimento non integrano, di per sé soli, il vizio di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, occorrendo che l'istanza istruttoria non accolta attenga a circostanze che, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, avrebbero potuto condurre ad una decisione diversa da quella adottata. Nel caso di specie, nessuna delle circostanze indicate era idonea a fornire la prova decisiva che, fin dal momento della stipula del contratto de quo , fosse intercorso tra le parti un accordo simulatorio nel senso che entrambi i contraenti fossero coscienti, sin dal momento della stipulazione, della simulazione, volendo in realtà il contratto dissimulato. Ne deriva l'evidente infondatezza della doglianza. E ciò, a prescindere dalla considerazione che l'effettuazione delle visite presso il Policlinico o presso cliniche private o altri studi non esclude, di per sé, che il ricorrente avesse adibito anche uno o due vani dell'immobile preso in locazione a proprio studio professionale, a nulla rilevando in senso contrario l'eventuale constatazione della destinazione dell'immobile ad esclusivo uso abitativo, che sarebbe stata effettuata, da parte del tecnico di fiducia del C. , solo nel luglio 2005, quando fu depositato il ricorso del primo giudizio. Passando all'esame della seconda doglianza, anch'essa per omessa e contraddittoria motivazione, va rilevato che, ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello non avrebbe affatto motivato - o comunque avrebbe argomentato in maniera contraddittoria - sulla circostanza che il conduttore, a mezzo di numerose missive, aveva ritualmente comunicato al locatore l'avvenuto mutamento della destinazione d'uso dell'immobile locato, in epoca antecedente allo scadere del termine di tre mesi di cui all'art. 80 co. 1 legge 392/78. In particolare, la Corte territoriale non avrebbe minimamente esaminato due missive, rispettivamente del 20 gennaio e del 9 febbraio 2005, intercorse tra i legali delle parti, - la prima contenente l'indicazione del maggior canone versato preteso in restituzione dal conduttore, la seconda contenente i calcoli di un perito circa la misura dell'equo canone dovuto - che sarebbero decisive per l'esito della controversia fornendo la prova della tardività della domanda di risoluzione del contratto di locazione per mutamento della destinazione d'uso, proposta dal locatore solo nel luglio del 2005. Infine - ed il rilievo sostanzia la terza doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione dell'art. 80 della legge numero 392/78 - la Corte territoriale avrebbe sbagliato nel non dichiarare inammissibile la proposizione della domanda di risoluzione del contratto di locazione. E ciò, in quanto il conduttore aveva comunicato al locatore, antecedentemente ai tre mesi dalla proposizione della domanda medesima, di volersi avvalere della disciplina dell'equo canone, richiedendogli contestualmente in restituzione il maggior canone indebitamente pagato e preannunziando esplicitamente, in caso di mancato accoglimento della sua richiesta, l'esercizio dell'azione giudiziale di determinazione del canone I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in quanto essi, sotto diversi ed articolati profili, prospettano la comune censura concernente la pretesa tardività della domanda dì risoluzione del contratto di locazione fondata sul mutamento d'uso della cosa locata, devono essere entrambi dichiarati inammissibili. Ed invero, così come ha osservato nelle sue difese il controricorrente, il giudice di prime cure ha posto a base della pronuncia di risoluzione del contratto, esclusivamente, la considerazione dell'illegittima autoriduzione del canone, effettuata dal conduttore senza alcuna autorizzazione del locatore, senza valutare neppure in minima parte l'altra causa petendi , contenuta nell'atto introduttivo e costituita dall'intervenuto mutamento della destinazione d'uso. La circostanza risulta con tutta evidenza dal contenuto della sentenza di primo grado, nella parte in qua riportata nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, in cui il giudice di prime cure scrive testualmente È invece meritevole di accoglimento la domanda di risoluzione del contratto svolta dal C. ai sensi dell'art. 1453 cc con il ricorso depositato in data 26.9.2005, a fondamento del quale è stato dedotto l’inadempimento all’obbligazione di pagamento del canone per avere costui limitato il versamento relativo alla mensilità di luglio 05 alla somma di Euro 341,78 in luogo dell'importo pattuito pari ad Euro 1.735,00 . la successiva condotta del locatario che ha continuato per le mensilità successive in tutto l'arco del presente giudizio a corrispondere l’importo unilateralmente nella stessa misura-condotta questa la quale concorre, come affermato da Cass.2.4.2004 numero 6518 nella valutazione di cui all’art. 1455 cc ha irreversibilmente leso il sinallagma contrattuale dell'interesse della parte locatrice al conseguimento della prestazione economica dovutale. La locazione deve quindi dichiararsi risolta ai sensi dell'art. 1453 cc per l’inadempimento della parte resistente all’obbligazione di pagamento del canone . . Ciò premesso, deve evidenziarsi che la Corte territoriale, anche se non è soffermata esplicitamente su di esse, ha dichiarato espressamente che le valutazioni del primo giudice del merito meritavano di essere confermate, aggiungendo, a confutazione delle ragioni di doglianza riguardanti esclusivamente il mutamento d'uso dell'immobile, l'ulteriore ragione che ad ogni modo nelle lettere prodotte in giudizio dal conduttore, in realtà, non risultava comunicato in termini chiari ed univoci l'avvenuto mutamento d'uso in quanto il conduttore si era limitato ad accennare solo ad una diversa modalità di determinazione del canone. Ne deriva, sulla base dì tale rilievo, l'inammissibilità delle due censure in esame, essendo entrambe volte a confutare una sola delle distinte ed autonome rationes decidendi , poste dai giudici di secondo grado a base della decisione impugnata, senza rivolgersi anche contro la ragione della decisione dedotta dal Tribunale e ritenuta dalla Corte di appello meritevole di essere confermata, che era stata fondata sull'illegittimità dell'autoriduzione del canone, da parte del conduttore. Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.