Nonostante l’autorizzazione comunale, questo passo carrabile “non s’ha da fare”

Il proprietario di vani terranei di un edificio in un Condominio non può eseguire modificazioni della pavimentazione e dell’accesso al proprio locale per consentire l’attraversamento con autovetture, ove da tale utilizzazione della cosa comune risulti alterata la destinazione e sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

Sul tema la Suprema Corte con l’ordinanza n. 11870/21, depositata il 6 maggio. Un Condominio esprimeva parere contrario alla richiesta di una società proprietaria di un appartamento ad uso ufficio e di un terrazzo ad uso esclusivo al piano terra del Condominio in questione di eseguire, a sue spese, i lavori necessari al fine di adeguare la quota del marciapiede condominiale al livello stradale ed eliminare i vasi posti ad ornamento e delimitazione del marciapiede stesso. La suddetta società aveva ottenuto dal Comune di Roma l’ autorizzazione ad aprire un passo carrabile, necessario per il transito dei veicoli, previa esecuzione delle suddette opere di adeguamento. Il Condominio sosteneva che i lavori richiesti costituivano innovazioni vietate ai sensi dell’art. 1102 c.c Il Tribunale di Roma respingeva la domanda da parte della società, che lamentava la violazione degli artt. 1102 e 1122 c.c., ritenendo che i lavori da eseguire costituissero un’innovazione rispetto alla destinazione della cosa comune e al diritto al pari di ciascun condomino e che il regolamento condominiale fosse opponibile all’attrice in quanto trascritto. La Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale della capitale. La società ricorre quindi in Cassazione sostenendo che la Corte d’Appello abbia erroneamente ritenuto che i lavori autorizzati dall’Amministrazione comunale fossero illegittimi ex art. 1102 c.c., in quanto suscettibili di mutare l’attuale destinazione dei luoghi comuni a marciapiede che, per sua natura, ha come funzione tipica quella di consentire il sicuro transito pedonale dei condomini . La società aveva però dimostrato che le opere da eseguire non avrebbero determinato alcuna modificazione materiale e alcuna alterazione della funzione della cosa comune. Per la Corte di Cassazione però il ricorso è inammissibile in quanto il motivo di ricorso allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., ma il suo contenuto si limita a criticare l’apprezzamento di fatto delle risultanze probatorie che ha portato il Giudice di merito alla pronuncia impugnata, la cui censura sarebbe possibile solo tramite il vizio dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c Ne risulta che la Corte d’Appello ha evidenziato che sarebbe risultata mutata , seppure per un tratto limitato, l’attuale destinazione dei luoghi comuni a marciapiede. Secondo l’art. 1102 c.c., la nozione di pari uso della cosa comune, seppure non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri. Secondo un precedente orientamento della giurisprudenza, il proprietario di vani terranei di un edificio in Condominio non può, perciò, eseguire modificazioni della pavimentazione e dell’accesso al proprio locale per consentire l’attraversamento con autovetture, ove da tale utilizzazione della cosa comune risulti alterata la destinazione e sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto Cass. n. 1708/1998, n. 10704/1991, n. 1899/1962 . E l’accertamento del superamento dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c. al Condominio, spetta al Giudice di merito e come tale non è censurabile in sede di legittimità per violazione di norme di diritto. Per questi motivi la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare le spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 19 marzo – 6 maggio 2021, n. 11870 Presidente Lombardo – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione 1. La Be Smart. s.r.l. ha proposto ricorso articolato in un unico motivo avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2879/2019, pubblicata in data 03/05/2019. Resiste con controricorso il Condominio di omissis . 2. La controversia trae origine dall’impugnazione della delibera assembleare del 15/03/2010, con cui il Condominio di via delle Sette Chiese 278 aveva espresso parere contrario alla richiesta della Be Smart. s.r.l., di eseguire, a sue spese, i lavori necessari ad adeguare la quota del marciapiede condominiale al livello stradale e all’eliminazione dei vasi posti a ornamento e delimitazione del marciapiede stesso. Be Smart. s.r.l., proprietaria di un appartamento a uso ufficio e di un terrazzo di uso esclusivo, posto a piano terra del Condominio e destinato a parcheggio, aveva ottenuto dal Comune di Roma l’autorizzazione ad aprire un passo carrabile, necessario per il transito dei veicoli, previa esecuzione delle suddette opere di adeguamento. Il Condominio, nel motivare il suo diniego, aveva affermato che i lavori costituivano innovazioni vietate ai sensi dell’art. 1102 c.c 3. La Be Smart. s.r.l. impugnò la delibera citando in giudizio il Condominio dinnanzi al Tribunale di Roma e lamentando l’erronea applicazione dell’art. 1120 c.c., e la violazione degli artt. 1102 e 1122 c.c., relativamente al diniego all’apertura del passo carrabile, che non costituiva un’innovazione ma una modificazione finalizzata alla migliore utilizzazione della cosa comune l’inopponibilità del regolamento condominiale a Be Smart. s.r.l. l’illegittimità della delibera, per aver invitato la condomina a ripristinare la destinazione d’uso precedente infine, l’assenza di legittimazione del Condominio rispetto all’area utilizzata come marciapiede e adiacente al terrazzo della Società, direttamente confinante con omissis . 4. Il Tribunale di Roma respinse la domanda della Società Be Smart, ritenendo, per un verso, che i lavori da eseguire costituissero un’innovazione rispetto alla destinazione della cosa comune e al diritto al pari uso di ciascun condomino art. 1102 c.c. e, per altro verso, che il regolamento di condominio, che vietava la destinazione degli alloggi dell’edificio a uso contrario all’igiene e al decoro, fosse opponibile all’attrice in quanto trascritto. 5. La Corte d’appello di Roma, pronunciandosi sull’impugnazione della Be Smart. s.r.l., ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma. 6. Il motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’appello ritenuto che i lavori autorizzati dall’Amministrazione comunale fossero illegittimi ex art. 1102 c.c., in quanto suscettibili di mutare l’attuale destinazione dei luoghi comuni a marciapiede che, per sua natura, ha come funzione tipica quella di consentire il sicuro transito pedonale dei condomini . In realtà, ad avviso della, era stato dimostrato che le opere da eseguire non avrebbero determinato nè una modificazione materiale, nè un’alterazione dell’essenza o della originaria funzione della cosa comune, nè un mutamento della sua destinazione, rimanendo l’area calpestabile per i pedoni. Pertanto, l’utilizzo della cosa comune non avrebbe subito alcuna compromissione qualitativa o quantitativa in danno degli altri condomini. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1 , il Presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. La ricorrente ha presentato memoria. 7. Il ricorso è inammissibile. La sentenza impugnata ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo di ricorso non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155 . Il motivo di ricorso allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., ma il suo contenuto si limita a criticare l’apprezzamento di fatto delle risultanze probatorie che ha portato il giudice del merito alla pronuncia impugnata, la cui censura è possibile, in questa sede, solo tramite il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 . La Corte d’appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito, la illegittimità dell’esecuzione delle opere in oggetto perché, consentendo l’attraversamento con autovetture del marciapiede e della striscia di proprietà comune, evidenziata nella CTU disposta dal giudice di primo grado, sarebbe risultata mutata seppure per quel limitato tratto interessato dall’attraversamento delle autovetture dirette all’area privata . , la attuale destinazione dei luoghi comuni a marciapiede che, per sua natura, ha come funzione tipica quella di consentire il sicuro transito pedonale dei condomini pag. 3 sentenza impugnata . Il ricorrente contesta che non vi è alcuna modificazione materiale della parte comune . Si ha riguardo ad uno spazio esterno adiacente al fabbricato del Condominio di omissis 278, astrattamente utilizzabile per consentire l’accesso allo stesso edificio, e dunque nelle parti comuni dell’edificio elencate dall’art. 1117 c.c Ora, la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’art. 1102 c.c., seppur non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione , implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Il proprietario di vani terranei di un edificio in condominio non può, perciò, eseguire modificazioni della pavimentazione e dell’arredo del marciapiede condominiale in corrispondenza dell’accesso al proprio locale per consentirne l’attraversamento con autovetture, ove da tale utilizzazione della cosa comune risulti alterata la destinazione e sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto Cass. Sez. 2, 18/02/1998, n. 1708 Cass. 14/12/1994, n. 10704 Cass. Sez. 2, 17/07/1962, n. 1899 . L’accertamento del superamento dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c., al condomino, che si assuma abbia alterato, nell’uso della cosa comune, la destinazione della stessa, ricollegandosi all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, è comunque riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità per violazione di norme di diritto. Del resto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, che è quello che lamenta la ricorrente, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Le censure della ricorrente, reiterate nella memoria presentata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 2, sono in realtà volte a dimostrare le incongruenze della sentenza impugnata rispetto alle emergenze istruttorie. Il ricorso ambisce una rivalutazione dei fatti difforme da quella operata dal giudice di merito, sia in punto di consistenza strutturale delle opere, sia con riguardo alla loro dislocazione, ma ciò suppone un accesso diretto agli atti e una loro rinnovata delibazione, in maniera da pervenire ad una diversa validazione e legittimazione inferenziale degli elementi probatori, del tutto inammissibile in sede di legittimità. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.