L’uso più intenso delle parti comuni non può essere fatto se comporta un danno per gli altri condomini

L’uso più intenso della cosa comune è consentito, ma questo non deve comportare una violazione dell’equilibrio statico e della sicurezza dello stabile, né prevaricare gli altri condomini dalla possibilità di realizzare un uso quanto meno paritetico del bene. Nel caso vengano violati i predetti principi di gestione, non si assiste ad un uso più intenso, ma vera e propria occupazione abusiva delle parti comuni.

Lo ha chiarito la Cassazione con sentenza n. 97/21, depositata l’8 gennaio. Il caso. Un condomino agiva in giudizio lamentando come un altro proprietario avesse realizzato degli interventi edilizi illegittimi e volti a chiudere il volume contenente la scala di accesso al condominio. Il ricorrente, quindi, domandava la declaratoria di illegittimità di detti lavori e la riduzione in pristino delle opere realizzate. Si costituiva in giudizio il condomino negando gli abusi e sostenendo come i suddetti lavori fossero invece del tutto legittimi e costituissero un utilizzo consentito della cosa comune ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1102 c.c. Tale norma afferma infatti che Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso . All’esito del processo il Tribunale accoglieva le ragioni dell’attore e condannava il convenuto alla rimozione delle opere abusive. Tale decisione veniva impugnata dal condomino soccombente in grado di appello, ma questo giudice – a conferma della precedente decisione – rigettava la domanda di appello, sancendo nuovamente l’illegittimità delle opere realizzate dal proprietario sulle parti comuni condominiali. La corte di cassazione conferma la decisione d’appello e rigetta il ricorso del condomino. Il condomino, data la duplice soccombenza nei gradi di merito, agiva in Cassazione con un ricorso articolato su svariati motivi di diritto. In buona sostanza, comunque, l’atto di impugnazione del proprietario era incentrato sul rilevo delle presunte inesattezze commesse dalla Corte d’Appello in merito alla qualificazione dei lavori edili dallo stesso realizzati. Secondo la sua prospettazione, infatti, il condomino riteneva di avere eseguito dei lavori edili sulle parti comuni del tutto leciti. Essi, infatti, comportavano sì un uso più intenso del bene comune da parte del singolo proprietario, ma tale circostanza doveva essere considerata come legittima in ragione dell’assenza di pregiudizio per la stabilità dell’edificio e in generale per gli altri condomini. La Cassazione, con la sentenza numero 97 dell’8 gennaio 2021, rigettava integralmente il ricorso proposto. Secondo la Corte infatti il Giudice d’Appello aveva correttamente valutato l’illegittimità dei lavori edili sulla base delle seguenti circostanze. Al fine di determinare la legittimità di interventi realizzati sulle parti comuni questi devono essere assistiti da due caratteristiche in primo luogo la realizzazione di interventi trasformativi delle parti comuni nel caso in oggetto la modifica del sottotetto in un terrazzo non poteva essere svolta in quanto non avrebbe consentito il rispetto e la salvaguardia della funzione di adeguata protezione delle strutture sottostanti conforme Cass. Civ. Sez. II, 3 agosto 2012, n. 14107 . In seconda battuta, poi, l’uso frazionato del bene comune è consentito solo nel rispetto dei precetti del già citato articolo 1102 c.c. Alla luce del mancato rispetto di entrambe le condizioni, quindi, la Corte d’Appello aveva correttamente deciso per l’illegittimità delle opere e aveva comminato l’ordine di riduzione in pristino delle opere. Giova specificare come nel caso in questione, e in generale in tutti quelli aventi oggetto l’uso più intenso delle cose comuni, spetta ai giudici di merito, in applicazione dei criteri sopra tratteggiati, chiarire se nel caso in decisione si assista ad un uso più intenso ma consentito della cosa comune, oppure se tale uso travalichi nell’abuso, integrando un illegittima e abusiva occupazione e trasformazione di una parte comune del condominio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 settembre 2020 – 8 gennaio 2021, n. 97 Presidente Di Virgilio – Relatore Oricchio Considerato in fatto T.D. , con atto fondato su sei motivi, ricorre a questa Corte chiedendo la Cassazione della sentenza n. 2501/2015 della Corte di Appello di Venezia. Il ricorso è resistito con controricorso degli intimati Ci.Gi. , C.M.G. e F.M.L. , nonché con altro controricorso della intimata Fondazione Scientifica Querini Stampalia Onlus d’ora innanzi, più semplicemente, Fondazione Querini , la quale ha altresì proposto ricorso incidentale fondato su un motivo. Con la sentenza oggetto del ricorso in esame l’adita Corte distrettuale rigettava l’appello principale interposto dal medesimo odierno ricorrente avverso la decisione del Tribunale di prima istanza di Venezia n. 1222/2013 ed, in accoglimento dell’appello incidentale proposto, fra gli altri, anche dagli odierni controricorrenti Ci. ed a., condannava il T. stesso a eliminare la chiusura del volume condominiale contenente la scala di accesso alla terrazza del condominio. La vicenda per cui è causa traeva origine dalla domanda svolta dal suddetto Ci. ed a. e con la quale si lamentava la realizzazione da parte del T. , in violazione dell’art. 1102 c.c., degli interventi edilizi di cui in atti nell’immobile sito in omissis , e si chiedeva la demolizione delle opere e la rimessione in pristino. Il Tribunale di prima istanza aveva, prima della decisione oggetto del ricorso in esame, accolto la domanda attorea ritenendo l’illegittimità, ai sensi dell’art. 1102 c.c., delle opere realizzate dal T. , disponendo conseguentemente e fatta eccezione del punto della domanda attorea relativo alla chiusura del volume condominiale di cui innanzi, oggetto dell’appello incidentale e, come già innanzi esposto, della pronuncia della Corte veneziana. Hanno depositato memorie il T. e la Fondazione Querini. Ritenuto in diritto 1. Con il primo motivo del ricorso principale si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il vizio di violazione ovvero falsa applicazione di norma di diritto ed omesso esame di un fatto decisivo. Viene, in sostanza, riproposta in questo giudizio la questione della violazione art. 1102 c.c. per quanto riguarda l’apertura della terrazza sul tetto condominiale . La Corte del merito, facendo buon governo delle norme e dei principi ermeneutici in materia, ha già valutato e correttamente risolto la questione oggi riproposta innanzi a questa Corte ed esaminata con approfondita motivazione dalla sentenza impugnata. La decisione gravata, anche per effetto degli accertamenti svolti, ha acclarato che le opere realizzate dal T. e ritenute illegittime già dal Giudice di prime cure erano tali per due fondamentali ragioni. Innazitutto perché alla stregua dei testuali criteri dettati dallo stesso art. 1102 c.c., la possibile trasformazione della cosa comune in ipotesi il sottotetto con creazione di terrazzo comportava comunque il rispetto e la salvaguardia, attraverso appositi dovuti interventi, della funzione di adeguata protezione delle strutture sottostanti ex plurimis Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 3 agosto 2012, n. 14107 . In secondo luogo perché l’uso frazionato di una cosa comune per accodo fra i partecipanti è consentito solo nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 1102 c.c. ex plurimis Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 14 luglio 2005, n. 14694 Nessun errore, quindi, nè omissione vi è stata da parte della decisione gravata. Il motivo è, quindi, infondato e va respinto. 2. Con il secondo motivo del ricorso principale si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il vizio di violazione ovvero falsa applicazione di norma di diritto ed omesso esame di un fatto decisivo. Parte ricorrente prospetta la questione già oggetto dell’accoglimento, in punto, dell’appello incidentale della violazione dell’art. 1102 c.c., in relazione all’accorpamento del vano sottoscala condominiale. Anche tale questione risulta approfonditamente esaminata dalla Corte di Appello in sede di accoglimento appello incidentale, il tutto nell’ossequio delle norme di legge e dei principi ermeneutici in materia. Nella fattispecie, giova rammentare, è stata con congrua valutazione del fatto ritenuto che, nella concreta fattispecie, si era al cospetto più che di un uso intensivo della cosa comune di una vera e propria illegittima ed abusiva occupazione di una porzione condominiale. Anche il motivo qui in esame è, pertanto, infondato e va respinto. 3. Con il terzo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il vizio di violazione ovvero falsa applicazione di norma di diritto ed omesso esame di un fatto decisivo. La questione posta dal ricorrente col motivo qui in esame attiene, nella sostanza, alla svolta liquidazione del danno risarcibile, determinato in via equitativa. Tale determinazione, peraltro ben possibile e correttamente svolta dal Giudice del merito, non veniva neppure colta da censura in sede di appello avverso la decisione del Tribunale di prima istanza. Questa, per quanto si evince dalla sentenza ed in assenza di altra idonea allegazione, era in effetti rivolta contestare l’inesistenza del danno e la sua globale incompatibilità con l’ordine di rimessione già dato dal tribunale di prima istanza e non certo la possibilità di sua determinazione in via equitativa. Il motivo è, pertanto, inammissibile 4. Con il quarto motivo del ricorso si prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il vizio di violazione ovvero falsa applicazione di norma di diritto ed omesso esame di un fatto decisivo. Parte ricorrente sottopone all’esame di questo Collegio doglianza relativa alla domanda di manleva per la terza chiamata in causa e controricorrente Fondazione Querini. La questione risulta già affrontata e congruamente risolta dal Giudice del merito. L’impugnata sentenza, nell’esaminare congiuntamente il quarto e quinto motivo dell’appello principale, ha avuto modo di chiarire che la suddetta Fondazione era stata chiamata in causa con atto di citazione per chiamata ci terzo notificato il 13.1.2010 dallo stesso T.D. e, comunque, era l’ opera abusiva realizzata da quest’ultimo stesso a fondamento della detta chiamata. Il motivo è, quindi, infondato e va respinto. 5. Con il quinto motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il vizio di violazione ovvero falsa applicazione di norma di diritto ed omesso esame di un fatto decisivo. Il motivo, in assenza di ogni riferimento alla norma che sarebbe stata violata, tende a riproporre un aspetto della controversia la possibile eliminazione del vano scala per accesso alla terrazza comune. Trattasi, a ben vedere, di censura avente ad oggetto non l’omessa considerazione di un fatto in senso ontologico, ma l’effettivo oggetto del giudizio. Nell’accogliere, in punto, l’appello incidentale delle parti appellate, la Corte distrettuale, con proprio apprezzamento meritale in punto di fatto, anche sulla scorta delle rivalutate conclusioni dell’ausiliare tecnico, ha acclarato che si era verificata una variazione dell’originario distributivo della proprietà condominiale . La valutazione della illegittimità della chiusura del comune vano scala che costituisce oggetto del decidere non mero fatto non poteva che comportare il disposto accoglimento in punto dell’appello incidentale e, quindi, la sua non censurabilità sotto il profilo invocato senza neppure indicazione della norma violata col motivo in esame. Quest’ultimo è, pertanto, inammissibile. 6. Con il sesto motivo viene posta questione di violazione di legge art. 360, nn. 3 e 5 per errata applicazione art. 614 bis c.p.c Parte ricorrente si duole dell’accoglimento da parte della Corte di Appello del capo del gravame incidentale innanzi ad essa proposto e relativo all’applicazione dell’art. 614 bis c.p.c In sostanza viene contestata la possibilità che anche il Giudice del merito e non solo quello dell’esecuzione possa fissare un termine per l’esecuzione dell’obbligo di fare e prevedere il pagamento di somme per il ritardo somme determinate, fra l’altro, diversamente e correttamente dalla Corte di Appello in dipendenza della diversa decorrenza dei vari obblighi terrazza/sottoscala e vano scala condominiale di cui alle decisioni di primo e secondo grado . Il motivo non è fondato. Per l’ipotesi di ritardo nell’esecuzione degli stabiliti obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro può il Giudice, anche del merito, stabilire con il provvedimento di condanna e salvo che ciò non sia manifestamente iniquo la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni ritardo nell’esecuzione. Il motivo è, quindi, infondato e va respinto. 7. Il ricorso principale deve, dunque, essere rigettato. 8. Con il proposto ricorso incidentale la Fondazione Querini, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, lamenta l’omesso esame dell’eccezione di inammissibilità dell’appello svolto nei propri confronti dal T. ed eccepisce, conseguentemente, l’intervenuto passaggio in giudicato della decisione di primo grado in punto delle statuizioni relative ad essa chiamata in causa. Più specificamente parte ricorrente incidentale sostiene, al riguardo, che l’avverso appello principale a suo tempo interposto non rispettava l’art. 342 c.p.c. e la Corte distrettuale non avrebbe statuito in punto. Il motivo non può essere accolto. La sentenza gravata incidentalmente, con propria valutazione in ordine alla interpretazione dell’atto di gravame, ha ritenuto che l’unico profilo di impugnazione proposto nei confronti della Fondazione Querini Stampalia concerneva l’aspetto della condanna alle spese in favore di quest’ultima. La parte ricorrente incidentale, senza alcuna altra idonea allegazione sullo specifico punto e trascrizione, tenta di fondare il proposto ricorso attraverso una rilettura di quello che avrebbe voluto o non voluto dire l’appello principale. Tale pretesa ricostruzione ex post della valenza dell’avverso atto di appello svolta congruamente e come detto dalla Corte di Appello non è idonea a suffragare la prospettata violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4. E ciò tanto più in assenza di ogni e qualunque concreto interesse della medesima parte ricorrente incidentale per effetto del passaggio in giudicato di decisione che esclude ogni suo possibile negativo coinvolgimento per effetto della succitata svolta chiamata in causa. 9. Il ricorso incidentale è, quindi, infondato e va rigettato. 10. Le spese seguono la soccombenza, quanto al rapporto processuale fra il ricorrente principale ed le parti controricorrenti, rimanendo -per la reciproca soccombenza interamente compensate fra il ricorrente principale e la parte ricorrente incidentale. 11. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della parte ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio in favore delle parti controricorrenti determinate in Euro 4.300,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge, con compensazione delle spese quanto al rapporto processuale fra il ricorrente principale e la parte ricorrente incidentale. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della parte ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuti.