Le prescrizioni dei piani regolatori e dei regolamenti edilizi non possono essere derogate dai privati

In materia di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi non sono derogabili dai privati, in virtù dell’interesse generale a un dato modello urbanistico cui sono finalizzate, conseguendone l’invalidità delle convenzioni eventualmente stipulate tra proprietari confinanti in contrasto con le suddette norme, salva la possibilità di accordarsi sulla ripartizione tra i rispettivi fondi del distacco da osservare .

Questo il contenuto dell’ordinanza della Suprema Corte n. 24827/20, depositata il 6 novembre. Gli attori si rivolgevano al Tribunale di Massa per individuare l’esatto confine tra il loro fondo e quello del convenuto e per ottenere la condanna di quest’ultimo alla demolizione delle opere eseguite in violazione della disciplina urbanistica in vigore, oltre al risarcimento del relativo danno. La vicenda trae origine dalla realizzazione da parte del convenuto di una sopraelevazione del suo edificio a distanza inferiore rispetto a quella consentita dal confine tra i fondi, oltre al fatto che egli aveva demolito e poi ricostruito un altro manufatto sul suo terreno, occupando circa 2 mq del fondo di proprietà degli attori. Il Tribunale rigettava la domanda avanzata dagli attori ma accoglieva quella concernente il secondo manufatto, ordinandone la demolizione. Successivamente, la Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione proposta dagli attori originari e ordinava la demolizione anche della sopraelevazione. Il soccombente propone ricorso per cassazione. Con il primo motivo, il ricorrente contesta il fatto che il Giudice non abbia valorizzato l’ assenso prestato in passato al padre alla sopraelevazione dell’edificio da parte dell’attore. La Corte di Cassazione dichiara infondato il motivo di ricorso, ribadendo che le distanze minime oggetto dei regolamenti locali non sono derogabili a differenza di quelle previste dal codice civile dalle pattuizioni tra i confinanti, in quanto le disposizioni oggetto dei piani regolatori e dei regolamenti edilizi, essendo preordinate alla tutela dell’ interesse generale ad un dato modello urbanistico, non sono derogabili dai privati. Da ciò consegue l’ invalidità di eventuali convenzioni stipulate tra proprietari confinanti in contrasto con le suddette norme in materia di distanze. Con il secondo motivo di ricorso, invece, il ricorrente lamenta il fatto che la Corte avrebbe potuto accogliere la sola domanda risarcitoria e non anche quella di demolizione. Anche tale doglianza si rivela infondata . Gli Ermellini evidenziano, infatti, che l’azione risarcitoria e quella ripristinatoria coesistono anche nel caso di violazione dei regolamenti locali, con l’unica differenza che mentre il danno da risarcire deve essere provato nella sua entità ed effettiva sussistenza, il diritto al ripristino tramite demolizione consegue in modo automatico all’accertamento della violazione. A tal proposito, la Corte di Cassazione ribadisce il principio secondo cui In tema di violazione delle distanze legali , ove sia disposta la demolizione dell’opera illecita, il risarcimento del danno va computato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto dalla norme violate, non già avendo riguardo al valore di mercato dell’immobile, diminuito per effetto della detta violazione, essendo tale pregiudizio suscettibile di eliminazione . Tuttavia, non essendo stato tale profilo oggetto di ricorso, la Corte di Cassazione rigetta il medesimo.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 20 febbraio – 6 novembre 2020, n. 24827 Presidente Oricchio – Relatore Oliva Fatti di causa Con atto di citazione notificato il 15.6.2001 Ga.Br. e C.A. convenivano in giudizio G.A. innanzi il Tribunale di Massa per ottenere l’individuazione dell’esatto confine tra i fondi degli attori e del convenuto e per sentir condannare quest’ultimo alla demolizione delle opere eseguite in violazione della disciplina urbanistica vigente ed al risarcimento del danno correlato. Deduceva parte attrice che il convenuto aveva realizzato una sopraelevazione del proprio edificio a distanza inferiore a quella legale dal confine tra i fondi, ed aveva inoltre demolito e ricostruito, ingrandendolo, un altro manufatto insistente sul suo terreno, occupando la proprietà degli attori per circa 2 mq. Si costituiva il convenuto resistendo alla domanda ed eccependo che Ga.Br. aveva concesso al padre del G. l’autorizzazione alla sopraelevazione dell’edificio. Con sentenza n. 421/2004 il Tribunale di Massa rigettava la domanda relativa alla sopraelevazione valorizzando l’assenso alla sopraelevazione manifestato dal Ga. accoglieva invece l’altra domanda concernente il secondo manufatto, del quale ordinava la demolizione. Interponevano appello gli originari attori avverso detta decisione e si costituiva in seconda istanza il G. per resistere al gravame. Con la sentenza impugnata, n. 777/2015, la Corte di Appello di Genova accoglieva l’impugnazione ordinando all’odierno ricorrente la demolizione della sopraelevazione. Propone ricorso per la cassazione di detta decisione G.A. affidandosi a due motivi. Resistono con controricorso Ga.Pi. , Ga.En. , Ga.Ro. , Ga.Ci. e C.A. , tutti aventi causa di Ga.Br. , e l’ultima anche in proprio. Ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 873 c.c. e art. 31 del Regolamento edilizio del Comune di Massa in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe dovuto valorizzare l’assenso del Ga.Br. alla sopraelevazione dell’edificio di proprietà G. ed applicare in favore di quest’ultimo il criterio della prevenzione. La doglianza è infondata. Premesso che la questione della prevenzione risulta posta soltanto con il ricorso in Cassazione, poiché di essa non si fa alcun cenno nella sentenza impugnata ed il ricorrente non deduce, nel motivo in esame, di averla dedotta nei gradi di merito del giudizio, occorre ribadire che le distanze minime previste dai regolamenti locali non sono utilmente derogabili, a differenza di quelle generali previste dal codice civile, per effetto di pattuizioni tra i confinanti. In proposito, occorre ribadire che In tema di distanze legali nelle costruzioni le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi, essendo dettate - contrariamente a quelle del codice civile - a tutela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non sono derogabili dai privati. Ne consegue l’invalidità - anche nei rapporti interni - delle convenzioni stipulate fra proprietari confinanti le quali si rivelino in contrasto con le norme urbanistiche in materia di distanze, salva peraltro rimanendo la possibilità – per questi ultimi - di accordarsi sulla ripartizione tra i rispettivi fondi del distacco da osservare Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2117 del 04/02/2004, Rv. 569890 conformi, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6170 del 22/03/2005, Rv. 581472 Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9751 del 23/04/2010, Rv. 612554 Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 26270 del 18/10/2018, Rv. 650783 . La Corte ligure, pertanto, ha correttamente applicato gli insegnamenti di questa Corte, ritenendo invalida la pattuizione intervenuta tra le parti circa la deroga delle distanze minime previste dal regolamento locale del Comune di Massa. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 872 c.c. e art. 31 del Regolamento edilizio del Comune di Massa in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe potuto al massimo accogliere la domanda risarcitoria, ma non anche quella di demolizione, poiché il fabbricato di proprietà G. esisteva da tempo immemore e non ha alcun edificio frontistante la sua eventuale inedificabilità interesserebbe soltanto un triangolo di circa 2 mq., soltanto al primo piano, e quindi non avrebbe senso ordinare la demolizione di una così minima porzione, ma sarebbe più che sufficiente la condanna al risarcimento del danno. La doglianza è infondata. L’art. 872 c.c., prevede infatti espressamente il diritto di colui che ha subito un danno per effetto della violazione delle distanze legali previste dal codice civile o da esso richiamate e quindi anche per violazione delle prescrizioni contenute nei regolamenti locali, espressamente richiamati dal successivo art. 873.c.c. , di agire per il risarcimento del danno salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino . Le due azioni, ripristinatoria e risarcitoria, quindi, coesistono tanto in ipotesi di violazione delle norme codicistiche che in caso di violazione dei regolamenti locali, a prescindere da qualsiasi considerazione circa l’entità della violazione. L’unica diversità sussiste nel fatto che mentre il danno da risarcire dev’essere provato nella sua effettiva sussistenza ed entità, il diritto al ripristino, mediante demolizione, consegue automaticamente all’accertamento della violazione, indipendentemente dall’esistenza o entità del danno e a prescindere dall’eventuale esercizio, o mancato esercizio, da parte della P.A. del potere di ordinare la demolizione del manufatto edificato o modificato in violazione delle distanze legali Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7747 del 02/08/1990, Rv. 468494 conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1838 del 23/03/1982, Rv. 419679 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20608 del 24/09/2009, Rv. 610079 . Analogo principio sussiste in caso di costruzione che violi, al tempo stesso, la distanza minima dal confine ed il vincolo disposto dal regolamento edilizio comunale a tutela del paesaggio Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8532 del 06/04/2018, Rv. 648009 . Va anche ribadito che In tema di violazione delle distanze legali, ove sia disposta la demolizione dell’opera illecita, il risarcimento del danno va computato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto dalle norme violate, non già avendo riguardo al valore di mercato dell’immobile, diminuito per effetto della detta violazione, essendo tale pregiudizio suscettibile di eliminazione Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19132 del 09/08/2013, Rv. 627849 conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14294 del 04/06/2018, Rv. 648840 . Profilo, quest’ultimo, che tuttavia non viene in rilievo nel caso di specie, nulla avendo dedotto il ricorrente circa l’entità del risarcimento comminatogli. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto - ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.300 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.