Meglio l’arretramento che la demolizione delle strutture realizzate sotto le distanze legali

La demolizione dei balconi realizzati in violazione degli artt. 905 e 907 c.c., può essere evitata laddove vi siano altri rimedi sufficienti a garantire il rispetto delle distanze e all’eliminazione delle vedute abusive. Affinché, però, il giudice pronunci la sentenza indicando mezzi alternativi e idonei accorgimenti per impedire di esercitare la veduta su fondo altrui, è necessario che la parte interessata ne faccia esplicita richiesta in giudizio.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23184/20, depositata il 23 ottobre. La vicenda. Alcuni condomini convenivano in giudizio i vicini di casa lamentando come questi, in violazione di un accordo, avessero realizzato una costruzione in sopraelevazione impedendo l’esercizio del diritto di veduta al loro immobile e avessero realizzato alcune strutture in violazione delle distanze legali. Con un accordo siglato anni prima, infatti, i convenuti si erano impegnati a rispettare le distanze tra le costruzioni e non sopraelevare, di fatto garantendo il diritto di veduta degli attori. Si costituivano in giudizio i convenuti contestando l’ interpretazione del contratto succitato così come fornita dagli attori e comunque eccependo il loro diritto, acquisito per usucapione, di mantenere la struttura realizzata in sopraelevazione. Il Tribunale prima, e la Corte d’Appello in seguito, accoglievano le ragioni della parte attrice. In particolare, a detta dei Giudici di merito, con la sottoscrizione degli accordi prodotti in giudizio le parti avevano costituito una servitù di veduta che incombeva sul fondo servente dei convenuti, a favore del fondo dominante attoreo. Tale contratto, inoltre, prevedeva indiscutibilmente il divieto di costruire e mantenere opere in violazione delle distanze legali tra gli edifici. Ai sensi dell’ art. 905, commi 1 e 2, c.c. , infatti, non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo. Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere . Tali norme sono integrate dal successivo art. 907 c.c. che specifica che quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell'articolo 905. Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita. Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia . Alla luce della soccombenza alla parte convenuta non restava che agire in Cassazione, contestando la decisione d’appello per i motivi di seguito riportati. Ove possibile, il giudice di merito deve optare per rimedi meno drastici della demolizione delle opere realizzate in violazione delle distanze legali. Con il ricorso sopra menzionato i soccombenti contestavano la decisione d’appello nella misura in cui la Corte aveva condannato i convenuti alla demolizione del manufatto invece che al suo arretramento. Secondo i ricorrenti, difatti, laddove il giudice possa optare per specifici accorgimenti che consentano di ridurre in pristino le strutture realizzate a distanza inferiore rispetto a quella prevista dalla legge essi devono farlo, dovendo preferire questi mezzi al più grave rimedio della demolizione totale. Con la sentenza in commento, la Corte accoglieva il ricorso sopra tratteggiato. Evidenziavano gli Ermellini come la demolizione dei balconi delle parti ricorrenti, realizzati in violazione dei citati articoli 905 e 907 c.c., non sarebbe stata necessaria, essendo invece sufficienti a garantire il rispetto delle distanze e l’eliminazione delle vedute abusive rimedi diversi e volti a impedire le vedute abusive. Affinché, però, il giudice pronunci la sentenza indicando mezzi alternativi e idonei accorgimento per impedire di esercitare la veduta su fondo altrui, è necessario che la parte interessata ne faccia esplicita richiesta in giudizio così anche Cass. Sez. II, 27 aprile 2006, n. 9640 . Secondo la Cassazione, quindi, il giudice di merito aveva errato nel non considerare l’istanza della parte di considerare rimedi alternativi alla demolizione delle strutture, e non sarebbe incorso in un vizio di ultrapetizione il decidente che avesse deciso di disporre il semplice arretramento della struttura invece che la riduzione in pristino delle opere. In considerazione della violazione dei predetti principi da parte della Corte d’Appello la Cassazione accoglieva il ricorso e rinviava il giudizio nel grado di merito per una nuova valutazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 23 settembre – 23 ottobre 2020, n. 23184 Presidente Lombardo – Relatore Giannaccari Rilevato che - Il giudizio trae origine dalla domanda proposta innanzi al Tribunale di Firenze, Sezione Distaccata di Empoli, da G.A. , nella qualità di tutore del padre G.A. , nei confronti di B.P.L. e C.G. Margherita, con la quale chiesero la condanna delle convenute all’eliminazione di una sopraelevazione dalle medesime realizzata per violazione della servitù di veduta in favore di G.A. , che era stata oggetto di specifica convenzione con atto del 10.3.1952 - la scrittura prevedeva un accordo tra B.M. e G.A. , il quale, nel realizzare la costruzione non avrebbe rispettato la distanza laterale dalla proprietà del Brogi secondo quanto previsto dalla scrittura, il B. si impegnava, per sé e per i suoi aventi causa a consentire al G. a mantenere il terrazzo a tale distanza, dietro la corresponsione di un corrispettivo - secondo l’attrice, con l’atto del 10.3.1952 era stata costituita una servitù di veduta in via convenzionale che sarebbe stata violata con la sopraelevazione realizzata dalle convenute - B. e C.G.M. si costituirono per resistere alla domanda e contestarono che l’atto del 1952 contenesse una rinuncia al loro diritto di sopraelevazione, eccependo l’usucapione del diritto di mantenere il fabbricato a distanza inferiore a quella legale si costituirono volontariamente in giudizio M.M. , G.A. e G.R. , nella qualità di eredi di G.A. all’esito dei giudizi di merito, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 4.12.2018, confermò la sentenza di primo grado, che aveva disposto l’eliminazione dell’intera sopraelevazione la corte fiorentina interpretò l’atto del 10.3.1952 nel senso che le parti avevano costituito una servitù di veduta a carico del fondo del B. ed in favore della proprietà G. ma non prevedeva anche il suo diritto di sopraelevare la costruzione senza osservare le distanze per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto ricorso C.G. e B.P.L. sulla base di due motivi G.A. , G.R. e M.M. hanno resistito con controricorso in prossimità dell’adunanza, le parti hanno depositato memorie difensive. Ritenuto che la memoria ex art. 380-bis c.p.c dei controricorrenti è inammissibile in quanto trasmessa via pec e non depositata in cancelleria, attesa la limitata operatività della disciplina del processo telematico nel giudizio di cassazione da ultimo Cassazione civile sez. un., 04/03/2020, n. 6074 in tema di deposito del ricorso tutti gli atti processuali in Cassazione sono ancora custoditi in cartaceo, essendo vigenti e applicati gli artt. 137 e 140 disp. att. c.p.c. che impongono alle parti il deposito in cancelleria, unitamente al ricorso e al controricorso di almeno tre copie in carta libera, nonché di tre copie delle memorie, oltre a quelle per le altre parti già costituite considerata la grave situazione epidemiologica in atto, il legislatore, con la L. n. 27 del 2020, di conversione del D.L. n. 18 del 2020, ha introdotto l’art. 83, comma 11-bis detta norma, con efficacia temporale limitata solo fino al 31 luglio 2020, stabilisce che innanzi alla Corte di cassazione il deposito degli atti e dei documenti da parte degli avvocati può avvenire in modalità telematica nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. L’attivazione del servizio è preceduta da un provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia che accerta l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici tra le misure organizzative a norma del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 7, i dirigenti degli uffici giudiziari possono adottare linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze . - nella Delib. 26 marzo 2020, il Consiglio Superiore della Magistratura ha dato precise indicazioni ai capi degli uffici giudiziari su come esercitare il potere previsto dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, commi 5 e 6 in particolare, nelle dette linee guida, il CSM invita direttamente i capi degli uffici a promuovere la stipula di protocolli con i Consigli dell’Ordine degli Avvocati locali, per individuare modalità condivise di partecipazione da remoto di tutti i soggetti del processo, ovvero modalità condivise della gestione dell’udienza a cd. trattazione scritta dando seguito alle linee guida dettate dal CSM, in data 9 aprile 2020, la Corte Suprema di Cassazione ha stipulato un protocollo d’intesa con il Consiglio Nazionale Forense e la Procura Generale presso la Corte di Cassazione per la trattazione delle adunanze camerali ex art. 375 c.p.c. e delle udienze ex art. 611 c.p.p. l’obiettivo chiaro del Protocollo è quello di consentire ai consiglieri della S.C. di avere la disponibilità dei cd. atti regolamentari , senza necessità di accedere fisicamente nelle cancellerie delle sezioni civili della Corte - il Protocollo deroga alla regola generale, contenuta nel codice di rito, a tenore del quale le copie analogiche degli atti processuali, comprese le memorie, devono essere depositate esclusivamente nella cancelleria della Corte, perché è il cancelliere a curarne direttamente la trasmissione alla segreteria della Procura Generale, mettendole a disposizione delle altre parti private attraverso l’accesso in cancelleria la ragione appare chiaramente legata all’esigenza di ridurre al massimo il carico delle cancellerie della Corte in tempi di cd. lavoro agile , unita alla estrema facilità con cui le copie informatiche degli atti possono essere trasmesse ad una pluralità di destinatari - quanto agli atti endoprocedimentali e, in particolare, le memorie ex artt. 380-bis, 380-bis.1 e 380-ter c.p.c. e le conclusioni scritte del Procuratore Generale ai sensi degli artt. 380-bis.1 e 380-ter c.p.c., nel decreto n. 44 del 2020 adottato dal Primo presidente della S.C., successivamente integrato dai decreti nn. 47, 55 e 76 del 2020, si è chiaramente previsto che i difensori, utilizzando esclusivamente l’indirizzo elettronico presente nel Reginde, possono far pervenire alla Corte motivi aggiunti e memorie a mezzo PEC - può sostenersi, allora, rientrando tra i poteri organizzativi accordati al capo dell’ufficio anche quello di autorizzare lo scambio e il deposito in telematico di note scritte ai sensi del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 7, lett. h , che siffatto potere potrebbe essere esercitato anche fuori dai casi previsti dall’attuale disciplina sul c.d. processo civile telematico - è consentito in altre parole affermare che, nel quadro di grave emergenza epidemiologica in cui versava il paese, eccezionalmente il Primo Presidente potesse autorizzare le parti private e il Procuratore Generale a depositare gli atti endoprocedimentali id est le cennate memorie e conclusioni scritte ex artt. 380-bis, 380-bis.1 e 380-ter c.p.c. , anziché secondo il tradizionale canale - il deposito previo accesso nella cancelleria - mediante la posta elettronica certificata di cui al D.Lgs. 11 febbraio 2005, n. 68 per il periodo successivo al 31.7. 2020, il D.L. 19 maggio 2020, n. 34, art. 221, come sostituito dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, art. 1, comma 1, il quale, al comma 5, prevede che fino al 31.10.2020 nei procedimenti civili innanzi alla Corte di Cassazione, il deposito degli atti e dei documenti da parte degli avvocati possa avvenire in modalità telematica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici - l’attivazione del servizio deve però essere preceduta da un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informatici e automatizzati del Ministero della Giustizia che accerti l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici in data 31.7.2020 è scaduto il protocollo con il Consiglio Nazionale Forense, nè è intervenuto il decreto del Ministro della Giustizia che preveda il deposito telematico degli atti, anche endoprocedimentali, nel giudizio di cassazione - ne consegue che le memorie depositate via pec dopo il 31 luglio sono inammissibili - con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 1362 c.c., dell’art. 907 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito interpretato l’atto del 10.3.1952 nel senso che la deroga alle distanze dalle vedute fosse a beneficio esclusivo della proprietà G. mentre sarebbe posto a vantaggio di entrambe le parti, con la conseguenza che anche il B. avrebbe potuto sopraelevare in deroga alle distanze legali. Inoltre, il giudice di merito avrebbe erroneamente accertato la violazione delle distanze previste dall’art. 907 c.c. il motivo è inammissibile - l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione - come costantemente affermato da questa Corte, nè la censura ex n. 3 nè la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si traduca nella mera contrapposizione di una differente interpretazione sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178, e Cass. 2.5.2006, n. 10131 - la corte di merito, nell’interpretazione della convenzione del 10.3.1952, sulla base del dato letterale e delle intenzioni delle parti, ha ritenuto che lo scopo dell’accordo fosse quello di prevenire l’insorgere di una lite per violazione delle distanze dalle vedute da parte del G. , costituendo una servitù in favore della sua proprietà previo il pagamento di una somma di denaro al B. ma non ha riconosciuto al medesimo ulteriori benefici, quale il diritto di sopraelevare in violazione delle distanze dalle vedute - tale plausibile interpretazione non è in contrasto con i criteri ermeneutici previsti dagli artt. 1362 c.c. e ss., sicché la critica si risolve in una diversa interpretazione rispetto a quella - plausibile - adottata dal giudice di merito - con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 907 c.c., dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 612 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la corte di merito avrebbe disposto la demolizione e non l’arretramento della sopraelevazione, sull’erroneo presupposto dell’assenza di indicazione, da parte dell’appellante delle concrete modalità di realizzazione dell’arretramento mentre dette modalità sarebbero demandate al giudice dell’esecuzione - il motivo è fondato. - allorquando il soccombente nel giudizio in tema di distanze per l’apertura di vedute e balconi impugni la sentenza del giudice di merito che lo abbia condannato alla demolizione dei propri balconi realizzati a confine in violazione dell’art. 905 c.c., deducendo che era sufficiente, ai fini del rispetto delle predette distanze, l’adozione di diversi specifici accorgimenti, deve affermarsi che l’eliminazione delle vedute abusive può essere realizzata non solo mediante la demolizione delle porzioni immobiliari per mezzo delle quali si realizza la violazione di legge lamentata, ma anche attraverso la predisposizione di idonei accorgimenti che impediscano di esercitare la veduta sul fondo altrui, come l’arretramento del parapetto o l’apposizione di idonei pannelli che rendano impossibile il prospicere e l’ inspicere in alienum . Tuttavia, affinché il giudice disponga, in alternativa alla demolizione, l’esecuzione degli idonei accorgimenti di cui si è detto, è sempre necessario che la parte interessata chieda al giudice stesso l’esercizio di tale potere. Sez. 2, Sentenza n. 9640 del 27/04/2006 Sez. 2, Sentenza n. 11729 del 11/07/2012 - non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, richiesto dell’ordine di demolizione della costruzione, ne ordini il semplice arretramento, essendo la decisione contenuta nei limiti della più ampia domanda di parte Sez. 2, Sentenza n. 7809 del 03/04/2014 Rv. 630421 - 01 - la corte distrettuale non si è conformata ai suindicati principi di diritto e, nonostante i ricorrenti, appellanti nel giudizio di secondo grado, avessero prospettato la possibilità di arretrare la costruzione in alternativa alla demolizione ha disatteso la richiesta per mancata indicazione delle modalità di esecuzione la sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità innanzi alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione. P.Q.M. accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviaffi, anche per le spese del giudizio di legittimità/innanzi alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.