La legittimazione dell’amministratore all’azione di rivendica di un locale caldaia sottoposto alla vendita all’asta

Le azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio condominiale che esulino dal novero degli atti meramente conservativi, possono essere esperite dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea, ex art. 1131 primo comma c.c., adottata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c

Questo il contenuto dell’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. II Civile, n. 21533/20, depositata il 7 ottobre. La vicenda. Il Giudice delegato del fallimento aveva disposto la vendita all'asta del locale caldaia sito al piano seminterrato pervenuto al fallito per l'acquisto in forza di atto notarile del suolo sul quale era stato costruito il fabbricato in cui era ricompreso detto locale. Atteso che il Condominio aveva avuto il possesso pacifico, ininterrotto e non viziato del locale caldaia, aveva interesse a rivendicare il proprio diritto di proprietà esclusiva sul predetto locale. Per i motivi esposti, in sede di opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. , il ricorrente Condominio aveva chiesto al Giudice adito la rivendica della proprietà del bene. Costituendosi in giudizio, il Fallimento Ditta Beta” eccepiva l'improcedibilità del ricorso in quanto l'amministratore del condominio non aveva prodotto la delibera assembleare con cui gli era stato conferito il mandato a promuovere l'azione giudiziaria. Sia in primo che in secondo grado, i Giudici del merito dichiaravano l'inammissibilità dell'opposizione. Le contestazioni. Avverso la pronuncia in esame, il Condominio proponeva ricorso in Cassazione eccependo che il Tribunale aveva ritenuto compresenti il difetto di legittimazione attiva dell’amministratore nonché il difetto in capo al medesimo della legittimazione ad processum . La Corte distrettuale, a sua volta, dichiarava inammissibile l'appello, in ragione del fatto che il Condominio non aveva censurato entrambe le suddette rationes decidendi , ma solo la legitimatio ad processum mentre la carenza di legitimatio ad causam non era stata adeguatamente contestata, in quanto anche l'azione di accertamento della proprietà è un'azione reale, e rispetto alle azioni reali l'amministratore non aveva la legittimazione. La legittimazione dell’amministratore. Preliminarmente, la S.C. ha osservato che l’amministratore può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere come in effetti avvenuto la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione Cass. n. 8774/2020 . Dunque, nel caso in questione, ai fini dell’azione, non era più controverso tra le parti che era intervenuta la delibera autorizzativa adottata con la necessaria maggioranza, non di natura meramente conservativa, ma avente la funzione di accertare la natura condominiale di un bene. Pertanto era legittima la legittimazione dell'amministratore, come autorizzato dall'assemblea, non essendo necessaria una deliberazione unanime, né la partecipazione al giudizio di tutti i condomini Cass. n. 14797/2014 . La qualificazione dell’azione. Secondo i Giudici di legittimità, la Corte distrettuale aveva erroneamente escluso che il Condominio, in qualsiasi critica tesa a contrastare la situazione inerente al difetto di legitimatio ad causam , avesse impugnato tale ratio decidendi , tanto più considerando l'azione di rivendica e l'azione di accertamento della proprietà come inquadrate nell'ambito delle azioni reali. A tal proposito, gli Ermellini hanno osservato che le azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio condominiale che esulino dal novero degli atti meramente conservativi, possono essere esperite dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea, ex art. 1131 comma primo c.c., adottata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c. Ove si tratti, invece, di azioni a tutela dei diritti esclusivi dei singoli condomini, la legittimazione dell'amministratore trova il suo fondamento soltanto nel mandato a lui conferito da ciascuno dei partecipanti alla comunione, e non anche nel predetto meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale, atteso che il potere di estendere il dominio spettante ai singoli condomini in forza degli atti di acquisto delle singole proprietà come nel caso di specie, relativo a domanda di rivendica proposta dall'amministratore per usucapione di un'area finitima al fabbricato era del tutto estraneo al meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale e può essere conferito, pertanto, solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati Cass. n. 80/2015 . In conclusione, per i motivi esposti, il ricorso è stato accolto per l’effetto, la pronuncia è stata cassata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 2 luglio – 7 ottobre 2020, n. 21533 Presidente Manna – Relatore Bellini Fatti di causa Il CONDOMINO omissis , in sede di opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. a che il Giudice delegato del fallimento n. , con ordinanza depositata il 30/06/2005 aveva disposto la vendita all’asta del locale caldaia sito al piano seminterrato riportato in catasto alla partita , foglio , particella omissis , pervenuto al fallito per l’acquisto in forza di atto notarile del 28/06/1960 del suolo sul quale era stato costruito il fabricato in cui era ricompreso detto locale b che il Condominio era venuto a conoscenza della suindicata procedura a seguito della pubblicazione del bando di vendita c che il Condominio aveva interesse a rivendicare e vedere riconosciuto il propio diritto di proprietà esclusiva sul predetto locale, posto che dai titoli di proprietà prodotti emergeva che gli unici beni esclusi dalla comproprietà comune erano le terrazze di copertura del fabricato, rientrando invece nella comunione tuttì i beni di uso comune per legge e/o per destinazione d che il Condominio aveva avuto il possesso pacifico, ininterrotto e non viziato del locale caldaia. Ciò premesso, il ricorrente chiedeva che l’adito Tribunale di Salerno, previa declaratoria di nullità, annullabilità e/o inefficacia dell’intera procedura esecutiva relativa a detto cespite, dichiarasse che il bene rivendicato era di proprietà del Condominio, con vitto di spese. Il FALLIMENTO omissis s.a.s. omissis , costituitosi in giudizio, eccepiva a l’improcedibilità dell’opposizione proposta ai sensi dell’art. 619 c.p.c., in quanto il bene era già venduto b l’inammissibilità del ricorso giacché i dedotti vizi avrebbero dovuto esser fatti valere con il reclamo di cui alla L. Fall., art. 26, di competenza del Tribunale fallimentare c il difetto di legittimazione attiva del Condominio poiché il bene era di proprietà del fallito d l’improcedibilità del ricorso atteso che l’amministratore del Condominio non aveva prodotto la Delibera assembleare con cui gli era stato conferito il mandato a promuovere l’azione giudiziaria. Il Fallimento concludeva quindi per la declaratoria di improcedibilità o di inammissibilità del ricorso ovvero per il rigetto dlla domanda con vittoria di spese di lite. Istruita la causa, il Tribunale di Salerno con sentenza n. 1131/2011 depositata il 26/05/2011, dichiarava l’inammissibilità dell’opposizione e condannava l’opponente al pagamento delle spese processuali. Proponeva appello il Condominio, concludendo affinché la Corte d’appello di Salerno dichiarasse che il predetto immobile era di sua propietà, con vittoria di spese. Anche il Fallimento si costituiva eccependo in via preliminare l’inammissibilità del gravame, perché fondato su motivi generici, privi del carattere di specificità richiesto dall’art. 342 c.p.c. e, contestando la fondatezza dei motivi posti a sostegno dell’interposto gravame, concludeva per il rigetto dell’impugnazione con vittoria di spese. Con sentenza n. 671/2015, depositata il 16/10/2015, la Corte dichiarava l’inammissibilità dell’appello, condannando il Condominio al pagamento delle spese del grado di giudizio. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il Condominio omissis sulla base di un motivo l’intimato Fallimento non ha svolto difese. Ragioni della decisione 1. - Con il motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 948, 1117, 1130, 1131, 1136 c.c., in relazione agli art. 75, 77, 81 c.p.c. , là dove la Corte di appello ha sostenuto che l’odierno ricorrente, nel gravame proposto avverso la decisione del Giudice di prima cure, si fosse limitato ad impugnare la detta pronuncia in relazione alla sola argomentazione incentrata sulla carenza di legitimatio ad processum e non anche in merito a quella inerente il difetto di legitimatio ad causam . 1.1 - Il Tribunale, dichiarando inammissibile l’opposizione, avendo qualificato peraltro erroneamente come rivendica la domanda del condominio, aveva ritenuto di conseguenza compresenti il difetto di legittimazione attiva dell’amministratore richiamando il dictum di Cass. n. 8570 del 2005 , nonché il difetto in capo al medesimo della legittimazione ad processum. La Corte distrettuale, a sua volta, dichiarava inammissibile l’appello, in ragione del fatto che il condominio non aveva censurato entrambe le suddette rationes decidendi, ma solo la legitimatio ad processum affermando che l’amministratore era in possesso di apposita Delibera dell’assemblea che lo incaricava di agire contro la curatela mentre la carenza di legitimatio ad causam non era stata adeguatamente contestata, in quanto anche l’azione di accertamento della proprietà è un’azione reale, e rispetto alle azioni reali l’amministratore, in base alla richiamata Cass. n. 8570 del 2005, non ha legittimazione. 2. - Il motivo è fondato secondo i rilievi che seguono. 2.1. - Va innanzitutto rilevato che è pacifico il principio secondo cui l’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia all’Assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’art. 1131 c.c., commi 2 e 3, può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere come in effetti avvenuto la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione Cass., sez. un., n. 18331 del 2010 conf. Cass. n. 2179 del 2011 Cass. n. 12525 del 2018 Cass. n. 8774 del 2020 . Nel caso in questione, non è quindi più controverso tra le parti che sia in effetti intervenuta la Delibera autorizzativa in favore dell’amministratore, adottata con la necessaria maggioranza, ai fini del proposizione dell’azione in questione, non di natura meramente conservativa, ma avente la funzione di accertare la natura condominale di un bene. Sussiste, quindi, la legittimazione dell’amministratore, come autorizzato dall’assemblea condominiale, non essendo necessaria una deliberazione unanime, nè la partecipazione al giudizio di tutti i condomini Cass. n. 14797 del 2014 . 2. - La Corte di merito ha, tuttavia, equivocato sul concetto di ratio decidendi, moltiplicandone la sussistenza e la asserita configurabilità nella fattispecie in esame. Infatti, la premessa natura reale della azione non costituisce in sé autonoma ratio decidendi, giacché da sola non acquista significato e portata decisiva viceversa si configura quale ratio la carenza di legitimatio ad causam in ragione ad una data qualificazione attribuita alla azione. E quindi, essendo stata contestata detta qualificazione, la relativa contestazione viene ad acquistare tutta la propria valenza. La Corte distrettuale ha pertanto erroneamente escluso che l’appellante odierno ricorrente , in assenza di qualsiasi critica tesa a contrastare la situazione inerente al difetto di legitimatio ad causam, avesse impugnato tale ratio decidendi, tanto più considerando l’azione di rivendica e l’azione di accertamento della proprietà come inquadrate nell’ambito delle azioni reali. 2.1. - Va dunque richiamata la giurisprudenza secondo cui, in tema di condominio, le azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell’edificio condominiale che esulino dal novero degli atti meramente conservativi al cui compimento l’amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130 c.c., n. 4 possono essere esperite dall’amministratore solo previa autorizzazione dell’assemblea, ex art. 1131 c.c., comma 1, adottata con la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c Ove si tratti, invece, di azioni a tutela dei diritti esclusivi dei singoli condomini, la legittimazione dell’amministratore trova il suo fondamento soltanto nel mandato a lui conferito da ciascuno dei partecipanti alla comunione, e non anche nel predetto meccanismo deliberativo dell’assemblea condominiale - ad eccezione della in tal caso equivalente ipotesi di unanime deliberazione di tutti i condomini - atteso che il potere di estendere il dominio spettante ai singoli condomini in forza degli atti di acquisto delle singole proprietà come nel caso di specie, relativo a domanda di rivendica proposta dall’amministratore per usucapione di un’area finitima al fabbricato è del tutto estraneo al meccanismo deliberativo dell’assemblea condominiale e può essere conferito, pertanto, solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati Cass. n. 5147 del 2003 conf. Cass. n. 8774 del 2020, cit. Cass. n. 80 del 2015 Cass. n. 14797 del 2014 . 3. - Il motivo di ricorso va accolto la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Corte d’appello di Salerno, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il motivo di ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Salerno, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.