Devono essere rimossi i box realizzati da alcuni condomini nell’area adibita a parcheggio dell’edificio

Le aree destinate a parcheggio, rispetto ai quali manca un’espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio, rientrano tra le parti comuni dell’edificio condominiale e la loro trasformazione in area destinata all’installazione di box, a beneficio solo di alcuni condomini, determina sia un’alterazione della struttura della cosa comune, sia una sottrazione della destinazione funzionale della stessa.

Lo ribadisce la Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 5059/20, depositata il 25 febbraio. Il caso. Un condominio citava in giudizio, dinanzi all’autorità giudiziaria territorialmente competente, altri condomini per vederli condannare alla rimozione dei box realizzati nell’area condominiale adibita a parcheggio dell’edificio e al risarcimento dei danni. In primo grado le domande attoree venivano respinte, mentre la Corte d’Appello ordinava la suddetta rimozione ai suindicati condomini. Questi ultimi, avverso la decisione di secondo grado, propongono ricorso per cassazione evidenziando. Da un lato, che l’area condominiale in questione era stata destinata a parcheggio dal costruttore e che la realizzazione dei box non avrebbe alterato tale destinazione, dall’altro, che mancava la prova del disagio correlato alla chiusura dell’area mediante i box. La non alterazione della cosa comune. Secondo costante orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità, i cortili, ed anche le aree destinate a parcheggio, rispetto ai quali manca un’espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio, rientrano tra le parti comuni dell’edificio condominiale, ex art. 1117 c.c. la loro trasformazione in area destinata all’installazione, con opere edilizie stabili, di box o autorimesse, a beneficio solo di alcuni condomini, determina sia un’alterazione della struttura della cosa comune, sia una sottrazione della destinazione funzionale della stessa. Ed inoltre, proseguono i Supremi Giudici, l’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto al divieto di alternarne la destinazione e di impedire agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Per quanto riguarda, infine, la mancanza di prove legali, ciò non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con ricorso per cassazione. Sulla base di tali considerazioni, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 24 ottobre 2019 – 25 febbraio 2020, n. 5059 Presidente D’Ascola – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione L.P. , V.D. , D.G.G. , T.S. e I.G. hanno proposto ricorso articolato in due motivi 1 violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. 2 violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., e art. 115 c.p.c. , avverso la sentenza n. 1121/2018 del 25 maggio 2018 resa dalla Corte d’Appello di Palermo. Resiste con controricorso A.G.M. . La causa ebbe inizio con domanda del 23 maggio 2012 di A.G.M. , il quale convenne davanti al Tribunale Marsala L.P. , V.D. , D.G.G. , T.S. e I.G. , chiedendone la condanna a rimuovere i box/garage realizzati nell’area condominiale adibita a parcheggio dell’edificio di OMISSIS , nonché al risarcimento dei danni. Il Tribunale respinse le domande dell’attore. La Corte d’Appello, in riforma della prima sentenza, ha ordinato a L.P. , V.D. , D.G.G. , T.S. e I.G. di rimuovere i box auto dall’area di parcheggio condominiale, dando per superati i limiti di cui all’art. 1102 c.c., in quanto una porzione cospicua dello spazio comune risultava occupata stabilmente con quei manufatti, con conseguente sottrazione dello stesso all’uso collettivo. Il primo motivo di ricorso evidenzia che l’area condominiale in questione era stata destinata a parcheggio dal costruttore e che la realizzazione dei box non avrebbe affatto alterato tale destinazione, nè impedito agli altri condomini il pari uso. Il secondo motivo di ricorso censura il difetto di prova dell’impedimento o del disagio correlati alla chiusura dell’area mediante i box. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5 , il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. I ricorrenti hanno presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2. I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi. La Corte d’Appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito e sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che una porzione cospicua dell’area condominiale adibita a parcheggio dell’edificio di OMISSIS , fosse stata occupata stabilmente dai box/garage realizzati dai ricorrenti, con conseguente sottrazione della stessa all’uso comune, e perciò violazione del principio stabilito dall’art. 1102 c.c La decisione della Corte di Palermo è conforme all’orientamento di questa Corte, secondo il quale i cortili ed esplicitamente pure le stesse aree destinate a parcheggio, dopo l’entrata in vigore della L. n. 220 del 2012 , rispetto ai quali manchi un’espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio, rientrano tra le parti comuni dell’edificio condominiale, a norma dell’art. 1117 c.c., Cass. 8 marzo 2017, n. 5831 , e la loro trasformazione, sia pure solo in parte, in un’area destinata alla installazione, con stabili opere edilizie, di box o autorimesse, a beneficio di alcuni soltanto dei condomini, comporta sia un’alterazione della consistenza strutturale della cosa comune, sia una sottrazione della destinazione funzionale della stessa Cass. Sez. 2, 21/05/1994, n. 4996 Cass. 9 dicembre 1988, n. 6673 Cass. 14 dicembre 1988, n. 6817 Cass. 16 febbraio 1977, n. 697 . Secondo sempre l’interpretazione di questa Corte, l’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell’art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto. Pertanto, si è ritenuto che configuri un abuso agli effetti dell’art. 1102 c.c., altresì la condotta del condomino consistente nella stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura - di una porzione del cortile comune, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all’utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l’equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà Cass. Sez. 2, 24/02/2004, n. 3640 Cass. Sez. 6-2, 18/03/2019, n. 7618 . Peraltro, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, che è quello che lamenta il ricorrente nel secondo motivo, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio . Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, - da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.