No alla divisione di un cortile in comunione (anche) se ciò pregiudica le destinazioni d’uso accessorie

L’esclusione della condominialità del bene – e dunque l’inapplicabilità dell’art. 1119 c.c. - non ne comporta in automatico la divisibilità. Se infatti il bene è oggetto di comunione, ai sensi degli artt. 1111 e 1112 c.c., la divisione è possibile solo se non ne pregiudica la destinazione d’uso.

La destinazione d’uso del cortile, però, non è solo quella di fornire aria e luce all’edificio, potendo i comproprietari decidere di ampliarne le modalità di utilizzo e prevedere delle funzioni accessorie ad integrazione di quella principale. Lo scioglimento della comunione può essere escluso dalla volontà dei comunisti di imprimere una caratteristica d’uso solo se detta volontà si attua in una situazione materiale che venendo meno con la divisione determini la perdita della possibilità di continuare ad utilizzare il bene secondo la destinazione convenuta. Le norme di cui agli artt. 1119 e 1112 c.c. offrono una ratio ed una tutela diverse mentre la prima esprime lo sfavor del Legislatore verso la divisione delle parti condominiali richiedendo l’unanimità e vietandola al semplice incomodo uso del bene , la seconda esprime il favor del Legislatore che ammette la richiesta di un solo comunista e la nega solo in caso di perdita di destinazione d’uso verso la divisione della comunione. Nel giudizio di divisione la richiesta di attribuzione del bene in via esclusiva costituisce una semplice modalità di attuazione della divisione, dunque non costituisce una nuova domanda pertanto non è soggetta alle preclusioni ex art. 345 c.p.c. e in caso di cessione del bene è proponibile dalle parti originarie, dal momento che l’intervento del successore a titolo particolare è meramente facoltativo. Tale in sintesi il contenuto dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 4014/20, depositata il 18 febbraio, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. La divisione del cortile tra condominio e comunione. Questi i fatti da cui origina la controversia un uomo, affermando di essere comproprietario in comunione di un cortile interno ad uno stabile - gli altri condomini avrebbero solo diritto di servitù di passaggio – convenne in giudizio gli altri due comproprietari del cortile per chiederne la divisione, ex art. 785 c.p.c. egli chiede dunque lo scioglimento della comunione e ove il cortile dovesse risultare non comodamente divisibile, l’assegnazione del bene in suo favore, ex art. 720 c.c., dietro corresponsione dei conguagli alle altre due parti. I convenuti si opposero alla richiesta sostenendo l’indivisibilità del cortile, il quanto questo era da considerarsi privo di un’autonoma funzione, essendo utilizzato per diverse attività dai condomini, e ciò lo rendeva incompatibile con l’uso esclusivo di un solo soggetto. La richiesta viene però rigettata, sia in primo che in secondo grado - dove i gli appellati, costituendosi chiesero in subordine anche l’attribuzione in via esclusiva del bene dietro pagamento di conguaglio -, che, come stiamo per vedere, anche in terzo. Per il Tribunale la norma da applicare non è l’art. 720, ma l’art. 1119 c.c., il quale ammette la divisione alla condizione che questa non renda più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio , mentre la corte d’appello conferma la sentenza di primo grado. Vediamo secondo quali contestazioni, il ricorrente, non desistendo, si rivolge alla Corte di Cassazione. I motivi di ricorso sono tre, li menzioniamo per quel che qui interessa. Con il primo si contesta l’applicazione dell’art. 1119 c.c. per il ricorrente non trattasi di un bene condominiale in base a quanto disposto dal titolo , ma di un bene in comproprietà tra alcuni, di cui altri hanno solo diritto di passaggio dunque non può applicarsi l’art. 1119 c.c., norma che regola il condominio, di carattere eccezionale. La proprietà del cortile non poteva quindi asservirsi alla mera accessorietà. Infine, si rileva che occorrerebbe distinguere tra utilità oggettiva del cortile – quella di dare luce e aria all’edificio - e l’uso che i vari proprietari decidono di farne il primo resta anche dopo la divisione, il secondo non imprimerebbe al bene una destinazione condominiale. Con il secondo motivo si afferma che la Corte territoriale avrebbe errato nel negare lo scioglimento della comunione in considerazione della privazione per i comproprietari dell’uso del bene secondo la destinazione che essi avevano convenuto per il ricorrente, il concetto di uso di cui all’art. 1112 c.c. è diversa da quella di cui all’art. 1119 c.c. e non può essere cioè intesa nel senso di accessorietà della cosa comune ad altri beni perché ciò vanificherebbe l’autonomia della norma, appiattendola sul contenuto dell’art. 1119 c.c. . Ricordiamo in proposito che l’art. 1111 c.c. prevede che ciascun comunista può sempre chiedere lo scioglimento della comunione, mentre il successivo art. 1112 c.c. lo esclude quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate . Il ricorrente afferma poi che la qualificazione del bene come pertinenziale non può precluderne in assoluto la divisione, perché il nesso strumentale va sempre verificato nel concreto, altrimenti ciò si tradurrebbe una ingiustificata compressione del diritto del proprietario alla divisione del bene. Inoltre, si contesta la statuizione della sentenza di appello, che ha ritenuto alcune attività esercitate dai condomini rientrare funzione primaria del cortile, mentre quelle vanno intese come mere funzionalità, laddove la funzione è quella di dare aria e luce si menzionano le sentenze di legittimità n. 9875/2012 e n. 13879/2010 . Il cortile, essendo in comunione, anche ove non fosse condominiale, non sarebbe divisibile tout court. Come detto, la Corte rigetta il ricorso, anche se inizia il suo responso condividendo con il ricorrente un assunto il fatto che il bene non sia condominiale non ne comporta in automatico la possibilità di divisione. Nel caso di specie, cioè, il bene è comunque in comunione a tre persone dunque, anche esclusa la condominialità del bene e quindi l’applicazione delle norme sul condominio ex artt. 1117 e s.s. c.c., resterebbero comunque da applicare quelle sulla comunione e in particolare quelle che ammettono lo scioglimento della comunione su richiesta anche di uno solo dei comunisti ex artt. 1111 e 1112 c.c. escludendolo solo per quelle cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate . Dunque, lo scioglimento della comunione, non è automatico, ma è ammesso se non ne pregiudica la destinazione d’uso. La destinazione d’uso del cortile non è solo quella di fornire aria e luce. Tale destinazione d’uso però, e qui la Corte dissente dalle affermazioni del ricorrente, non è solo quella di fornire aria e luce all’edificio, potendo i comproprietari decidere di ampliarne le modalità di utilizzo e prevedere delle funzioni accessorie ad integrazione di quella principale si menzionano i precedenti di Cass. n. 13879/2010, citato anche dal ricorrente, e n. 621/1977 . Attività che la Corte d’Appello aveva rilevato che sarebbero divenute impossibili in seguito alla divisione. Scioglimento della comunione, volontà contraria dei comunisti e caratteristica d’uso del bene. La Corte rileva di avere già in altre occasioni affermato che lo scioglimento può essere escluso dalla volontà dei comunisti di imprimere una caratteristica d’uso solo se detta volontà si attua in una situazione materiale che verrebbe meno con la divisione determinando la perdita della possibilità di continuare ad utilizzare il bene secondo la destinazione convenuta si menzionano Cass. nn. 5261/2011, 7274/2006, 4176/1983 e 9337/1982 . Dunque nel caso de quo , anche se non condominiale, il bene non è da ritenersi comunque divisibile, in applicazione dell’art. 1112 c.c. si menzionano Cass. n. 989/1967 e 708/1970 . E d’altronde, osserva la Corte, la stessa Corte d’Appello ha riconosciuto la possibilità di applicare in subordine l’art. 1112 c.c Gli artt. 1112 e 1119 c.c. diverse ratio e diverse tutele. Infine, osserva la Corte, non è condivisibile l’asserzione del ricorrente, secondo cui siffatta lettura dell’art. 1112 c.c. lo svuoterebbe di significato, appiattendola” sul contenuto dell’art. 1119 c.c Le due norme presentano ratio diverse e offrono diverse tutele. L’art. 1119 c.c. offre una tutela rafforzata ai diritti condomini, nell’ambito di un minore favor del Legislatore verso lo scioglimento del condominio, richiedendo infatti unanimità dei voti e la tutela del semplice comodo godimento del bene per i condomini. Invece, l’art. 1112 c.c. contiene un’eccezione alla regola generale in fatto di comunione - all’art. 1111 c.c. ammette la divisione anche su richiesta di uno solo dei proprietari - alla unica condizione che il bene una volta diviso conservi – secondo la valutazione giudiziale - l’idoneità all’uso per cui è destinato la ratio qui è quindi solo la tutela della destinazione d’uso. Qui la Corte menziona i precedenti di Cass. n. 867/2012 e n. 7667/1995. Nel giudizio di divisione la richiesta di attribuzione esclusiva del bene è proponibile anche in appello. Con il terzo motivo si contesta l’esclusione della richiesta di attribuzione in via esclusiva operata con la motivazione che detta attribuzione è una modalità di divisione. In particolare, si contesta la statuizione della sentenza secondo cui, essendo le quote di proprietà uguali, ed avendo tutti richiesto l’attribuzione in via esclusiva, non è possibile procedervi secondo l’art. 720 c.c., in quanto i diritti sulla cosa erano paritari. Per il ricorrente, la richiesta di attribuzione in via esclusiva delle controparti, essendo stata proposta solo in appello non era ammissibile costituendo un’eccezione nuova. Inoltre, avendo le controparti venduto la proprietà, la richiesta sarebbe dovuta provenire dal cessionario, non intervenuto nel giudizio, né chiamato in causa dunque la richiesta sarebbe provenuta da soggetti non legittimati. Il motivo per i giudici è infondato richiamando precedenti di legittimità e cioè Cass. n. 4938/1981, n. 626/1971, n. 4391/1985 e n. 9689/2000 , affermano che nel giudizio di divisione la richiesta di attribuzione del bene in via esclusiva costituisce una semplice modalità di attuazione della divisione, dunque non costituisce una nuova domanda, ma solo una specificazione della domanda originaria dunque, non è assoggettabile alle preclusioni processuali sulle questioni proposte in appello. Conseguentemente, se si ammette che le parti originarie potevano presentare la richiesta di attribuzione in via esclusiva, deve concludersi che essa avrebbe dovuto essere proposta necessariamente nel cessionario il giudizio poteva infatti proseguire tra di esse, essendo possibile, ma non obbligatorio l’intervento del successore a titolo particolare ai sensi dell’art. 111 c.p.c. si menzionano Cass. n. 18937/2006, n. 17151/2008, n. 23936/2007 . In conclusione, il ricorso è rigettato, e la sentenza impugnata dovrà essere corretta ove conclude fondando l’indivisibilità del bene sulla previsione dell’art. 1119 non su quella dell’art. 1112 c.c

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 10 luglio 2019 – 18 febbraio 2020, n. 4014 Presidente Manna – Relatore Casadonte Rilevato in fatto che - il presente giudizio trae origine dal ricorso notificato il 18 febbraio 2015, con cui D.M.S. chiedeva la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli, meglio indicata in epigrafe, che aveva rigettato la sua domanda di divisione di un cortile interno ad uno stabile sito in omissis - afferma il D.M. di essere, insieme ai coniugi P. e D.R. odierni controricorrenti unico comproprietario del soprammenzionato cortile interno dello stabile, mentre gli altri condomini vanterebbero solamente una servitù di passaggio sullo stesso - in primo grado il D.M. aveva convenuto in giudizio P.A. e D.R. Carola, innanzi al Tribunale di Santa Maria C.V., chiedendo che si disponesse, con ordinanza ex art. 785 c.p.c., lo scioglimento della comunione sul cortile e l’assegnazione del bene in suo favore, ove questo risultasse non comodamente divisibile, ai sensi dell’art. 720 c.c., con la determinazione dei dovuti conguagli in denaro - i convenuti si costituirono, contestando la divisione e deducendo l’indivisibilità del cortile, poiché esso era da considerarsi privo di autonoma funzione, essendo utilizzato per vari tipi di attività, dai diversi condomini, attività che lo rendevano incompatibile alla destinazione d’uso esclusivo di uno dei comproprietari - con sentenza n. 2036 del 14/11/2006 il Tribunale di Santa Maria C.V. ha rigettato la domanda formulata dal D.M. , condannandolo alle spese di giudizio - il tribunale ritenne che si dovesse applicare non l’art. 720 c.c., ma l’art. 1119 c.c., che dispone che la divisibilità delle parti comuni del condominio è ammessa solo ove ciò non renda più incomodo a ciascun condomino l’uso della proprietà singola, servita dalla parte comune e vi sia l’assenso di tutti i condomini alla divisione - avverso detta sentenza il D.M. propose impugnazione innanzi alla Corte d’appello di Napoli - si costituirono gli appellati, chiedendo il rigetto della domanda e la conferma della sentenza di primo grado e, in subordine, in caso di ammissibilità della divisione, l’attribuzione del bene in loro esclusiva proprietà, con determinazione del conguaglio in denaro dovuto all’appellante - la corte napoletana con sentenza n. 3517 del 2014, ha rigettato il gravame, confermando la sentenza di primo grado - avverso detta pronuncia D.M. propone ricorso per Cassazione, articolandolo in tre motivi, illustrati da memoria - i coniugi P. - D.R. hanno resistito con controricorso. Considerato in diritto che - con il primo motivo il ricorrente denuncia due profili con il primo,la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1118, 1119 e 1103 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la corte di merito ritenuto la presunzione di condominialità, con applicazione delle diverse norme degli artt. 1117 e 1119, in materia di condominio con il secondo profilo denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su punti decisivi della controversia - il ricorrente contesta l’applicazione dell’art. 1119 c.c., al bene in oggetto, in quanto questa si baserebbe sull’erronea convinzione che il cortile fosse da considerare come un bene condominiale -il cortile non sarebbe incluso nella comunione condominiale in base al titolo, atto ad escludere la presunzione di condominialità, ai sensi del 1117 c.c., ma sarebbe solo gravato da un diritto di passaggio pedonale e veicolare in favore di altri condomini - non sarebbe quindi applicabile il 1119 c.c., in quanto norma eccezionale, applicabile ai soli beni condominiali - contesta, quindi, il ricorrente che la corte d’appello avrebbe operato un asservimento della proprietà del cortile alla mera accessorietà - inoltre, che occorre distinguere tra utilità oggettiva del cortile - dare luce e aria all’edificio - e l’uso soggettivo corrispondente all’attività dei vari proprietari dei piani il primo resterebbe invariato anche in caso di divisione, mentre il secondo sarebbe un uso anonimo, inadatto a determinare una destinazione condominiale - anche con il secondo motivo si denunciano due profili il primo attiene alla violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 1117, 1119 e 1112 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la corte di merito escluso lo scioglimento della comunione, per effetto della conseguente privazione per i comproprietari dell’uso del bene, secondo la destinazione tra essi convenuta, non limitata alla naturale funzione del cortile di fornire aria e luce - con il secondo di denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su punti decisivi della controversia - afferma il ricorrente che la definizione di uso, cui accenna il 1112 c.c., non può essere recepita in termini di sistematica accessorietà della cosa comune rispetto ad altri beni, perché ciò vanificherebbe l’autonomia della norma, appiattendola sul contenuto del 1119 c.c. - la designazione del cortile come bene pertinenziale non può tradursi in un impedimento assoluto alla divisione, in quanto il nesso strumentale va sempre verificato in concreto, pena un’ingiustificata compressione del diritto del proprietario alla divisione - si contesta anche la statuizione della sentenza d’appello laddove considera varie attività dei condomini, come funzione primaria del cortile posteggio di veicoli, scarico merci, passaggio ad avviso del ricorrente dette attività rappresentano, in realtà, mere funzionalità, rispetto alla funzione principale del cortile che è quella di fornire aria e luce all’edificio cfr. Cass. 15/06/2012 n. 9875 Cass. 138979/10 e non possono costituire un impedimento alla divisione - i primi due profili dei motivi uno e due possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della stretta connessione logico-argomentativa - essi sono infondati per le seguenti considerazioni - si deve premettere che è da condividere la valutazione del ricorrente sulla non applicabilità dell’art. 1119 c.c., infatti, ai sensi dell’art. 1117 c.c., la condominialità di un bene è esclusa dal titolo che disponga diversamente, ma ciò non vuoi dire che il bene sia divisibile - infatti detto cortile, pur non condominiale, è comunque, posseduto in comunione originariamente dal D.M. e dai coniugi P. -D.R. ai sensi delle norme del titolo VII, capo I c.c. - l’art. 1111 c.c., afferma che ciascuno dei comproprietari può sempre chiedere la divisione della comunione, ma questa norma va letta in connessione con quella immediatamente successiva dell’art. 1112 c.c., la quale esclude che tale divisione possa essere chiesta nel caso di beni che, se divisi, cesserebbero di servire all’uso a cui sono destinati - dunque la divisione del bene in comunione non è automaticamente conseguente alla domanda, dovendosi valutare i suoi effetti sulla destinazione d’uso - a differenza di quanto afferma il ricorrente la destinazione d’uso di un cortile non è solamente quella principale, oggettiva, di fornire aria e luce, ben potendo i comproprietari decidere di ampliarne le modalità di utilizzo prevedendo delle funzioni accessorie che vanno ad integrare la destinazione d’uso cfr. Cass. n. 13879 del 2010 n. 621 1977 - al riguardo la corte d’appello ritiene correttamente pag. 4 e 5 della sentenza impugnata che tale destinazione d’uso poteva consistere in varie attività materiali, ulteriori rispetto a quelle consentite dalla servitù di passaggio, come l’apposizione di fioriere, il posteggio del veicolo, lo scarico di merci che sarebbero divenute impossibili, per gli altri compartecipi, se si fosse proceduto a divisione, con attribuzione della proprietà esclusiva al D.M. - al riguardo questa Corte ha la affermato che lo scioglimento della cosa comune può essere escluso dalla volontà dei comunisti di imprimere al bene una determinata caratteristica d’uso, solo quando siffatta volizione trovi attuazione in una situazione materiale che, venendo meno con la divisione, determini la perdita della possibilità di usare ulteriormente la cosa in conformità della sua convenuta destinazione cfr. Cass. n. 5261/2011 id. n. 7274/2006, n. 4176/1983 n. 937/1982 - conseguentemente, se anche si esclude la natura condominiale del bene, esso non è comunque da ritenersi divisibile ex art. 1112 c.c. cfr. Cass. n. 989/1967 n. 708/1970 - d’altronde la stessa sentenza d’appello riconosce una possibile applicabilità dell’art. 1112. c.c. pagg. 10 e 11 , pur in subordine rispetto a quella dell’art. 1119 c.c. - in ultimo non è condivisibile la tesi del ricorrente, secondo la quale una lettura in questo senso dell’art. 1112 c.c., finirebbe per privare questa norma di significato, appiattendola sul contenuto dell’art. 1119 c.c. - le due norme, infatti hanno una ratio diversa e forniscono differenti tutele - infatti l’art. 1119 c.c., contempla una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini, in omaggio al minor favor del legislatore per la divisione condominiale, ed è per questo che esso contiene la prescrizione dell’unanimità e la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva - invece l’art. 1112 c.c., che costituisce un’eccezione rispetto alla regola generale della divisione della comunione, disposta dall’art. 1111 c.c., ha come ratio la tutela della destinazione d’uso del bene, e per questo esso ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l’idoneità all’uso a cui è stato destinato cfr. Cass. n. 867/2012 id. 7667/1995 - con riguardo ai due profili attinenti la dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essi sono inammissibili, non potendo più a seguito della riforma di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv. con mod. con la L. n. 134 del 2012, essere contestata l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione nei sensi prospettati dal ricorrente cfr. Cass. sez. un. 8053/2014 - con il terzo motivo si denunciano ancora due profili con il primo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 1111, 1112 e 720 c.c., avendo la corte di merito ritenuto di escludere l’attribuzione del bene-cortile al ricorrente, costituendo detta attribuzione una modalità della divisione con il secondo l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su punti decisivi della controversia - in particolare, si censura la parte della sentenza in cui la corte d’appello ha ritenuto che, essendo le quote di proprietà del bene uguali, ed avendo entrambe le parti chiesto l’attribuzione esclusiva gli appellati l’avevano chiesta in via subordinata , non era possibile decidere per l’assegnazione esclusiva ai sensi del 720 c.c., in quanto i diritti sulla cosa erano paritari - il ricorrente afferma che la domanda degli appellati, di attribuzione esclusiva del bene, non era stata proposta in primo grado, sicché essa costituiva quindi un’eccezione nuova - secondo il ricorrente, avendo i coniugi P. -D.R. venduto la loro proprietà al signor F.A. - non intervenuto, nè chiamato in causa - sarebbe detto cessionario a poter chiedere l’attribuzione del bene ex art. 720 c.c., in quanto abilitato a stare in giudizio a nome proprio - l’attribuzione del bene in proprietà esclusiva, avanzata dai coniugi P. -D.R. , costituirebbe una richiesta irricevibile, in quanto proveniente da soggetti non legittimati. - il primo profilo del motivo è infondato - nel giudizio di divisione è ammissibile l’eccezione di attribuzione esclusiva, presentata in grado di appello, in quanto questa costituisce una mera modalità di attuazione della divisione e quindi non integra una nuova domanda ex art. 345 c.p.c., ma solo un specificazione della domanda originaria, non assoggettabile alle preclusioni processuali sulle questioni nuove proposte in appello cfr. Cass. n. 4938 del 1981 n. 626 1971 n. 4391 del 1985 n. 9689 del 2000 - la possibilità per le parti originarie di presentare la richiesta di attribuzione esclusiva porta a concludere che questa non dovesse essere presentata, per forza, dal loro avente causa, in quanto il giudizio era idoneo a proseguire tra le parti originarie, essendo il possibile, ma non obbligatorio, intervento del successore particolare, ai sensi dell’art. 111 c.p.c. cfr. Cass. n. 18937 del 2006 n. 17151 del 2008 n. 23936 del 2007 - il secondo profilo del terzo motivo - fondato sul richiamo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è parimenti inammissibile per quanto già sopra precisato in ordine all’incensurabilità dell’insufficienza e contraddittorietà della motivazione -in conclusione, dunque, l’esito sfavorevole di tutti i motivi del ricorso giustifica il rigetto del ricorso e ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la motivazione della sentenza va corretta nella parte in cui conclude per l’indivisibilità del bene in comunione ai sensi dell’art. 1119 c.c., anziché secondo il disposto dell’art. 1112 c.c. - il rigetto del ricorso comporta poi che in applicazione della soccombenza, parte ricorrente vada condannata alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura liquidata in dispositivo - ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M La Corte rigetta il ricorso, condanna parte soccombente alle spese per Euro 4.300,00, di cui 200,00 per spese, oltre 15% per rimborso spese generali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.