Chi propone l'actio negatoria servitutis deve dimostrare il possesso

Chi intende proporre l'actio negatoria servitutis non è tenuto a fornire una prova rigorosa sull'esistenza di un diritto di proprietà del bene, ma è tenuto a dimostrare di esercitare legittimamente il possesso sulla res. Di conseguenza, l'azione non può essere legittimamente proposta ove la questione abbia ad oggetto un'area a cui è permesso l'accesso da parte di una collettività indistinta di persone.

Così la Cassazione con ordinanza n. 31510/19, depositata il 3 dicembre. Il caso in esame. Un cittadino, assumendo di essere proprietario di un'area scoperta limitrofa ad un condominio, cita quest'ultimo in giudizio, in persona del suo amministratore pro-tempore, lamentandosi della circostanza che i singoli condomini utilizzerebbero liberamente l'immobile come parcheggio delle proprie autovetture. Il condominio si difende invocando l'intervenuta usucapione e contestando la legittimazione dell'attore che non avrebbe provato di vantare un diritto di proprietà sull'area. Il giudizio di svolge a fasi alterne. Il Tribunale accoglie la tesi del condominio in quanto l'attore non avrebbe dimostrato di essere effettivo proprietario dell'area in contestazione. L'esito del giudizio viene ribaltato dalla Corte d'appello viene riconosciuta la legittimazione dell'attore e rigettata l'eccezione di intervenuta usucapione. Di conseguenza, il secondo grado si conclude con la condanna del condominio al rilascio dell'area. Chi frequenta le assemblee di condominio sa bene quanto sia difficile raggiungere un accordo ma, questa volta, tutti votano a favore della prosecuzione del giudizio. La questione finisce sui banchi della seconda Sezione della Corte Cassazione che, con la sentenza n. 31510 del 10 aprile 2019, resa pubblica mediante deposito in cancelleria il successivo 3 dicembre, accoglie anche se solo parzialmente le ragioni del condominio. Necessario citare tutti i condomini? Il condominio si lamenta in quanto, a suo parere, l'azione non avrebbe potuto essere proposta contro l'amministratore pro-tempere, bensì nei confronti di tutti i singoli condòmini. In sostanza, il condominio ritiene che, poiché il giudizio mira a negare l'esercizio di un diritto da parte dei singoli condòmini, l'attore avrebbe dovuto integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i singoli condòmini. Gli ermellini ritengono il motivo infondato. Per quale ragione? La Cassazione qualifica l'azione come actio negatoria servitutis che, tradizionalmente, deve essere proposta contro l'amministratore del condominio e non contro tutti i condòmini . Necessario dimostrare il possesso del suolo? Il condominio si lamenta in quanto l'attore non solo non avrebbe esibito alcun titolo di proprietà relativamente all'area in contestazione ma, soprattutto, non avrebbe dimostrato il possesso. Come sappiamo, l'actio negatoria servitutis è disciplinata dall'art. 949 c.c tale norma prevede che il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa e può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre alla condanna per il risarcimento del danno . In linea di principio, l'azione prevede alcuni presupposti a chi propone l'azione non deve fornire una prova concreta e rigorosa sulla proprietà della cosa in contestazione, ma deve dimostrare di essere possessore del bene. L'azione, quindi, presenta l'innegabile vantaggio di sottrarre l'attore all'onere di fornire la prova rigorosa della proprietà cosa che avviene, invece, nell’azione di rivendica b è necessario che il terzo, abusivamente, eserciti una servitù sul suolo di proprietà di colui che agisce c occorre che il pericolo sia attuale e concreto. L'attore segna l'autogoal. Nel caso in esame, non solo l'attore non avrebbe dimostrato di essere possessore del bene in virtù di un titolo legittimo ma, implicitamente, avrebbe egli stesso ammesso il contrario. L'attore, infatti, sostiene che l'area in contestazione era liberamene accessibile da una pluralità di soggetti, non solo appartenenti al condominio convenuto, ma addirittura ad una collettività indistinta di persone”. Come dire chiunque può accedere all'area! Con questa premessa, non si vede come l'attore possa sostenere di essere possessore del bene visto che egli stesso dichiara che l'area era liberamente accessibile a tutti, affermazione che contrasta con la nozione di possesso. La decisione della Cassazione. La Cassazione, con la sentenza in commento, dopo aver riconosciuto che l'attore non aveva il possesso dell'area in contestazione, cassa la decisione di secondo grado e rinvia nuovamente al giudice d'appello.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 10 aprile – 3 dicembre 2019, n. 31510 Presidente Lombardo – Relatore Besso Marcheis Premesso che 1. Con atto di citazione del 19 maggio 2006 V.L. conveniva in giudizio il Condominio omissis , affermando di essere proprietario di un’area adiacente al Condominio e chiedendo che venisse accertato che i singoli condomini non avevano il diritto di utilizzare l’area quale parcheggio, con conseguente condanna del Condominio alla cessazione di ogni molestia e turbativa al godimento del bene. Costituitosi in giudizio, il Condominio anzitutto eccepiva il difetto di legittimazione attiva in capo all’attore, dovendo egli provare il suo diritto di proprietà sull’area, e il proprio difetto di legittimazione passiva nel merito, eccepiva di avere comunque acquistato per usucapione la proprietà dell’area avendo i condomini utilizzato come parcheggio l’area sin dal 1965. Il Tribunale di Genova, con sentenza n. 1370/2010, in accoglimento della prima eccezione, dichiarava la carenza di legittimazione attiva dell’attore e, per l’effetto, rigettava la domanda. 2. Contro la sentenza proponeva appello V.D. . La Corte d’appello di Genova - con sentenza 10 dicembre 2014, n. 1571 - riformava la pronuncia impugnata affermata la legittimazione dell’attore a proporre l’azione e rigettata l’eccezione di usucapione, condannava il Condominio al rilascio dell’area oggetto di causa. 3. Avverso la sentenza ricorre in cassazione il Condominio. Resiste con controricorso V.D. . Il Condominio ha depositato memoria una volta decorso il termine di cui all’art. 380-bis 1 c.p.c Considerato che 1. Il ricorso è articolato in tre motivi, rubricati I. violazione o falsa applicazione di norme di diritto II. nullità della sentenza III. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. II. Va anzitutto esaminato il secondo motivo che denuncia nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 a fronte della proposizione, da parte del Condominio, della eccezione di carenza di legittimazione passiva in quanto - avendo la causa ad oggetto la negazione di diritti spettanti ai condomini come singoli - il contraddittorio doveva essere integrato nei confronti di tutti i condomini, nulla avrebbe detto la Corte di appello, con evidente vizio di omessa pronuncia e di motivazione. Il motivo è infondato. A prescindere dalla errata qualificazione del vizio - secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito così, da ultimo, Cass. 25154/2018 - il rigetto dell’eccezione del Condominio è da ritenersi implicita nella decisione del giudice d’appello di esaminare nel merito l’impugnazione. D’altro canto, l’azione proposta da V. è stata qualificata quale actio negatoria servitutis e questa Corte afferma la legittimazione passiva all’amministratore del condominio, con esclusione della necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, in relazione all’esercizio da parte di un terzo o di un singolo condomino dell’azione di negazione della servitù cfr. Cass. 919/2014 e, più di recente, Cass. 22911/2018 . I. Il primo motivo, genericamente rubricato violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 si declina in sei diversi profili, dei quali i primi tre sono attinenti al riconoscimento della qualità di proprietario del bene a V. lett. a, b, d a Il ricorrente anzitutto lamenta la violazione degli artt. 2644 e 2650 c.c La Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere sussistente la continuità delle trascrizioni in capo a V. , contrariamente a quanto emerso dagli atti prodotti in giudizio, da cui si evincerebbe invece l’anteriorità delle trascrizioni degli atti di trasferimento dell’area controversa dalla dante causa di V. ai condomini. La censura, per prima cosa generica in quanto il ricorrente si limita a richiamare note di trascrizione e atti di trasferimento senza riportarli nel ricorso e neppure depositarli insieme ad esso, è poi inammissibile in quanto contesta l’interpretazione posta in essere dalla Corte d’appello dei titoli della proprietà prodotti da V. e della nota di trascrizione di un atto di vendita di un appartamento del Condominio pp. 3-4 della sentenza impugnata , interpretazione che spetta al giudice di merito e che, se motivata, non può essere censurata da questa Corte. b Il ricorrente lamenta poi violazione degli artt. 2649, 2659 e 2665 c.c La Corte d’appello, nell’affermare che il legato testamentario è stato debitamente trascritto e la nota di trascrizione contiene l’identificazione precisa dell’immobile con l’indicazione dei suoi dati catastali , ometterebbe di considerare che ai sensi dell’art. 2648 c.c., letto in combinato disposto con l’art. 2659 c.c., la trascrizione degli atti mortis causa può avvenire solo con l’esatta individuazione catastale degli stessi, il che potrebbe avvenire, ove come nel caso di specie tale individuazione manchi nella scheda testamentaria, a seguito di espressa dichiarazione del beneficiario, dichiarazione che va riprodotta nel verbale di pubblicazione del testamento e nella nota di trascrizione e la cui mancanza renderebbe invalida la trascrizione. La censura non può essere accolta il ricorrente anzitutto non riporta, e non produce insieme al ricorso, la nota di trascrizione in secondo luogo pone un requisito di validità della nota di trascrizione che le disposizioni richiamate non prescrivono nè è decisivo al riguardo quanto prevede la menzionata regola n. 8 del consiglio nazionale notarile trascrizione dell’accettazione tacita dell’eredità e la trascrizione degli acquisti mortis causa in genere che al punto 2 precisa che il notaio - tenuto ai sensi dell’art. 2648 c.c., a curare la trascrizione dei testamenti contenenti legati immobiliari - deve essere messo nelle condizioni di procedere a una corretta compilazione della nota di trascrizione , così che, qualora nel caso di pubblicazione di un testamento contenente legati gli immobili non siano identificati nel testamento con gli estremi catastali, questi ultimi saranno individuati in atto o nella nota di trascrizione su indicazione delle parti . d Invocando l’art. 949 c.c., il ricorrente sostiene che la Corte di appello abbia erroneamente dichiarato assolto l’onere probatorio circa la proprietà del V. sulla base di una semplice presunzione, senza considerare gli elementi di fatto e le condotte tenute dalla dante causa dello stesso, non conciliabili con la presunzione applicata. La censura è inammissibile in quanto in realtà non contesta la violazione o falsa applicazione della disposizione richiamata, ma l’accertamento in fatto compiuto dal giudice d’appello, accertamento che, ove motivato, è insindacabile di fronte a questa Corte di legittimità. I restanti profili del primo motivo concernono la mancata prova del possesso dell’area da parte di V. lett. c e il rigetto dell’eccezione del Condominio di acquisto per usucapione dell’area lett. e, f c Invocando l’art. 949 c.c., il ricorrente ritiene che la Corte d’appello abbia violato la disposizione avendo ritenuto provati i requisiti da questa richiesti senza in realtà esaminare il requisito dell’esistenza del possesso in capo all’attore che ha agito con actio negatoria servitutis. La censura, che contesta il mancato esame della sussistenza del possesso dell’area da parte di V. , è poi oggetto del terzo motivo e va con questo vagliata. III. Il terzo motivo riporta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e si articola a sua volta in due distinte censure con cui si lamenta, rispettivamente, l’assenza di possesso in capo al V. sull’area oggetto di causa e la qualificazione della stessa come distacco . La seconda parte del motivo non può essere accolta, attenendo la qualificazione dell’area come distacco a profili che spettano al giudice di merito e che non sono sindacabili in questa sede. È invece fondata la prima parte del motivo se chi agisce in negatoria servitutis non ha l’onere di fornire, come nell’azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà, essendo sufficiente dimostrare di possedere il fondo in virtù di un titolo valido, deve però appunto dimostrare di possedere il bene. Di tale dimostrazione non vi è traccia nella pronuncia impugnata, ove sono anzi presenti elementi in senso contrario. La Corte d’appello osserva infatti p. 4 della sentenza impugnata che l’area era liberamente accessibile, il che non consente di attribuire il possesso a soggetti identificati o identificabili sempre come condomini del caseggiato, anziché a una collettività indistinta di persone , affermazione che contrasta con il riconoscimento del possesso in capo a V. . L’accoglimento del terzo motivo comporta l’assorbimento delle censure di cui alle lett. e ed f del primo motivo, relative – supra sub I - al rigetto dell’eccezione di acquisto per usucapione dell’area da parte del Condominio denunciando la lett. e , in riferimento agli artt. 2728 e 2729 c.c., ed anche in riferimento all’art. 1117 c.c., che il giudice d’appello abbia erroneamente ritenuto, da un lato, che dovesse essere il Condominio a fornire elementi di prova circa la condominialità dell’area oggetto di causa e, dall’altro, che V. avesse comunque fornito prove sufficienti a superare la presunzione di tale condominialità contestando la lett. f , circa gli artt. 949 e 1158 c.c., che il gìudice d’appello abbia ritenuto non dimostrato il possesso del Condominio utile ai fini dell’usucapione dell’area oggetto di causa . 2. La sentenza impugnata va cassata in relazione e nei limiti di cui al motivo accolto la causa deve essere rinviata al giudice d’appello che la deciderà alla luce del principio di diritto sopra precisato il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il terzo motivo, rigetta il secondo e i profili del primo motivo contrassegnati dalle lett. a, b e d assorbiti i restanti profili , cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Genova.