L’ex amministratore del condominio deve consegnare tutta la documentazione

In caso di cessazione dell’incarico di amministratore di condominio, questi è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso ed inerente alla gestione dell’immobile ed ai condomini, fermo restando che la mera messa a disposizione di tali documenti non è sufficiente.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6760/19, depositata l’8 marzo. La vicenda. Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda proposta da un Condominio per la condanna del precedente amministratore al rimborso degli importi incassati per la gestione condominiale e mai spesi, nonché per la consegna di tutta la documentazione. La Corte d’Appello riformava parzialmente la decisione condannando l’ex amministratore alla restituzione di un importo fissato comunque in misura inferiore rispetto all’originaria domanda attorea. Il soccombente ricorre dunque in Cassazione. Restituzione delle somme. Il ricorrente lamenta violazione di legge artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. per aver ritenuto la Corte territoriale non dimostrato che la somma era stata regolarmente portata in contabilità ed utilizzata per la gestione condominiale, comportando così un’inversione dell’onere della prova. La Corte di legittimità sottolinea che le censure non contengono un’adeguata denuncia della violazione dei principi in tema di onere della prova, posto che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto soccombente l’ex amministratore che non ha contestato la ricezione della somma. La giurisprudenza è infatti costante nell’affermare che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura laddove il giudice di merito applichi la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo attribuendo cioè l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni . La violazione dell’art. 115 c.p.c. invece sussiste laddove il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, e dunque abbia giudicato in contraddizione rispetto alla norma. Tale ipotesi non può però essere riscontrata nel caso in cui il giudice abbia valutato le prove proposte da entrambe le parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, attività consentita dall’art. 116 c.p.c Nel caso di specie, le censure del ricorrente si risolvono nella mera richiesta di una rilettura nel merito dell’intero compendio probatorio complessivamente acquisito nel giudizio di merito e come tale non prospettabile in sede di legittimità. Documentazione. Per quanto attiene alla restituzione della documentazione relativa alla gestione del Condominio, la Corte ricorda che la mera messa a disposizione di tali documenti non equivale alla materiale consegna, cui peraltro l’amministratore è obbligato dall’art. 1129, comma 8, c.c. come modificato dalla l. n. 220/2012 . La norma citata prevede infatti che alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio ed ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi . Tale affermazione trova conferma nella costante giurisprudenza secondo cui il mancato adempimento di tale obbligo consente l’adozione di un provvedimento d’urgenza anche a norma dell’art. 700 c.p.c In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 27 settembre 2018 – 8 marzo 2019, n. 6760 Presidente D’Ascola – Relatore Falaschi Fatti di causa e ragioni della decisione Il Tribunale di Napoli con sentenza n. 4374/2010, rigettava la domanda proposta dal omissis , per la condanna del C. , quale precedente amministratore condominiale, al pagamento della somma di Euro 9.475,73 a titolo di rimborso di importi incassati nel corso della gestione condominiale e mai spesi, nonché per la consegna di tutta la documentazione relativa alla amministrazione dello stesso. E per l’effetto, poneva le spese di lite a carico della parte attrice, poiché soccombente. In virtù del gravame interposto dall’appellante Condominio, per la riforma della sentenza resa dal Tribunale, la Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 2691 del 2016, accoglieva parzialmente l’impugnazione proposta, e per l’effetto in riforma della decisione di primo grado, condannava l’appellato alla restituzione del solo importo di Euro 1.212,37, oltre a regolare le spese sulla base della soccombenza. Avverso la pronuncia del giudice di secondo grado, il C. propone ricorso per cassazione affidandosi a due motivi, cui resiste il omissis , con controricorso. Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5 , su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno anche depositato memorie illustrative. Atteso che - va preliminarmente esaminata la deduzione di inammissibilità del ricorso formulata dal Condominio nel controricorso, per violazione degli artt. 365 e 83 c.p.c., in quanto la procura speciale non conterebbe nè riferimenti specifici all’impugnazione per cui è stata rilasciata, nè risulterebbe congiunta con apposito timbro al testo del ricorso, oltre ad essere priva dell’indicazione di una qualsiasi data. Quanto dedotto da parte resistente muove dall’assunto che la procura speciale, necessaria per il giudizio dinanzi alla Suprema Corte, debba contenere precipuamente l’indicazione specifica del provvedimento che si intende impugnare, non essendo sufficiente la generica dicitura delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio di Cassazione , nonché l’apposizione della data di rilascio, essendo quest’ultima fondamentale al controllo per l’indispensabile anteriorità della procura rispetto all’atto di ricorso. Orbene, tali argomentazioni non possono trovare accoglimento, poiché prive di fondamento. Secondo l’insegnamento di questa Corte, infatti, il requisito della specialità della procura, posta a margine del ricorso, richiesto per il giudizio di cassazione dall’art. 365 c.p.c., risulta ottemperato con la semplice indicazione, nel mandato di rappresentanza e difesa, della dicitura nel presente procedimento avanti la Corte di Cassazione Cass. n. 13688 del 2001 . Inoltre, l’apposizione della procura in calce o a margine di specifici atti del processo fonda la presunzione che il mandato abbia effettiva attinenza al grado o alla fase del giudizio cui l’atto che lo contiene inerisce e, qualora questo sia privo di data, deve intendersi estesa quella del ricorso Cass. n. 15538 del 2015 , ben potendo essere rilasciato contemporaneamente alla sottoscrizione del ricorso. Del resto, la giurisprudenza ha altresì precisato che qualora la procura sia apposta al seguito dell’atto del ricorso, essa costituisce un corpus inscindibile con quest’ultimo, escludendosi, perciò, ogni dubbio sulla volontà della parte di proporre quello specifico mezzo di gravame. Pertanto, la specialità è garantita indipendentemente dal tenore delle espressioni usate nella redazione dell’atto medesimo Cass. 4935 del 2005 . Ne deriva che la procura speciale rilasciata dal C. al suo legale deve ritenersi valida ed efficace - passando al merito del ricorso, con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, 4, 5, la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere il giudice pronunciato condanna alla restituzione, in favore della parte oggi resistente, della somma di Euro 1.212,37, sull’assunto che il C. non avrebbe provato che il suddetto ammontare era stato regolarmente portato in contabilità e utilizzato per la gestione condominiale, senza però considerare che detta statuizione comportava un’inversione dell’onere della prova, giacché incombeva all’appellato l’onere di dimostrare non solo il mancato incasso della somma portata nei vaglia postali inviati dagli eredi G. e A.F.W. , ma anche l’inserimento di questa nella contabilità condominiale. Il C. insiste nel ritenere che la Corte territoriale abbia errato nell’affermare che il Condominio, riproducendo copia dei vaglia postali inviati allo stesso dai sopra citati eredi, avesse effettivamente provato quanto contestato, ossia l’avvenuto incasso da parte del ricorrente di tali somme. A detta di quest’ultimo, infatti, i condomini avrebbero dovuto dimostrare, altresì, che tali somme non erano state correttamente portate nella contabilità dell’ente condominiale ovvero utilizzate nella gestione del condominio, con la conseguenza che il giudice, in ottemperanza di quanto statuito dall’art. 115 c.p.c., non poteva non porre a fondamento della sua decisione fatti non contestati rappresentati dall’avere egli ammesso l’incasso della somma de qua, oltre ad averla inserita in un rendiconto presentato all’assemblea in occasione della riunione del 07.02.2003. La censura è infondato. Quanto dedotto dal ricorrente, appare privo di logica, poiché la prova della ricezione delle somme contestate, costituisce l’in sé della domanda di parte appellante, che come sopra riportato si fonda sulla richiesta di restituzione di quanto percepito dal C. , e non utilizzato nella gestione condominiale, qualificandosi essa stessa come fatto costitutivo. Sennonché, come correttamente statuito dalla Corte di Appello di Napoli, ben avrebbe dovuto l’odierno ricorrente dimostrare il mancato incasso delle somme come risultanti dai due vaglia, o quantomeno che detto ammontare fosse stato indicato fra le voci attive nella contabilità dell’ente condominiale, perché utilizzato a tal fine, mentre non è stata offerta alcuna prova di tutto ciò. Dunque, in ragione di tali omissioni il C. è risultato soccombente, avendo la Corte posto a fondamento della sua decisione proprio la mancata contestazione da parte di questi della ricezione della somma di Euro 1212,37, con ciò non contravvenendo a quanto prescritto dall’art. 115 c.p.c In altri termini, le censure illustrate dal ricorrente non contengano alcuna adeguata denuncia del paradigma dell’art. 2697 c.c. e di quello dell’art. 115 c.p.c., essendosi il C. limitato a denunciare unicamente una pretesa erronea valutazione di risultanze probatorie. Sul punto, varrà rimarcare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa corte di legittimità, ai sensi del quale la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c. , mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla valutazione delle prove cfr. Cass. Sez. Un. n. 16598 del 2016, in motivazione . Nel caso di specie, il ricorrente, lungi dal dedurre la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. nei termini indicati, ha limitato la propria doglianza alla contestata mancata considerazione peraltro insussistente della consulenza tecnica di ufficio, espletata in primo grado e neanche riportata nel suo tenore letterale , richiamata nella memoria ex art. 378 c.p.c., che a suo avviso avvalorerebbe la sua tesi difensiva, in tal senso riducendo le censure proposte a una mera rilettura nel merito dell’intero compendio probatorio complessivamente acquisito, come tale non legittimamente prospettabile in sede di legittimità - anche il secondo motivo di doglianza, con il quale il C. lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, 4, 5, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto che lo stesso, a seguito della cessazione dell’incarico di amministratore condominiale, non aveva proceduto alla consegna della documentazione condominiale, avvenuta solo dietro espresso ordine del Tribunale di Napoli, è infondato. Il ricorrente nell’asserire di aver lui stesso consegnato spontaneamente al Condominio la documentazione contabile, fonda la sua affermazione su un assunto del tutto erroneo. Infatti, la semplice messa a disposizione della stessa, non equivale ad una materiale consegna, cui peraltro l’amministratore è obbligato a norma dell’art. 1129 c.c., comma 8, come modificato dalla L. n. 220 del 2012, secondo cui alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi . Del resto, anche prima della riforma, l’obbligo di restituzione, sebbene non previsto espressamente dalla legge, veniva desunto dalla giurisprudenza dai principi generali, costituendo uno dei momenti più delicati quello del passaggio di consegne fra vecchio e nuovo amministratore, dato che all’interesse di chi subentra nell’incarico di prendere il prima possibile possesso di tutta la documentazione inerente al condominio acquisito, può corrispondere il disinteresse dell’amministratore uscente a occuparsi di un condominio con il quale si è interrotto definitivamente il rapporto professionale. E d’altro canto il ritardo nel passaggio di consegne può essere fonte per il condominio di rilevanti danni. Vieppiù, secondo l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, il mancato adempimento di tale dovere rientra tra le ipotesi per cui si può richiedere legittimamente l’adozione di un provvedimento di urgenza, finanche a norma dell’art. 700 c.p.c. Cass. n. 11472 del 1991 . Nello stesso atto di ricorso, la difesa di parte ricorrente, nel riportare un estratto delle dichiarazioni rese dal C. in sede di interrogatorio formale, si legge che la documentazione che quest’ultimo procedeva a depositare nel corso del giudizio di primo grado, era stata sempre presso lo stesso. E ciò a dimostrazione che il deposito è avvenuto solo a seguito di un preciso ordine del giudice di prime cure. Del resto la messa a disposizione della documentazione, riferita dal ricorrente, parrebbe più attinente all’obbligo di rendiconto di cui all’art. 1130 bis c.c., comma 1, u.p Pertanto, anche in quest’ultimo caso la Corte territoriale nel rideterminare il governo delle spese, dichiarando il ricorrente soccombente anche con riferimento all’originaria domanda afferente la consegna dei documenti, rettamente ha fondato la sua statuizione. In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, all’art. 13, il comma 1-quater - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.