Il condomino difensore del proprio Condominio non concorre alle spese legali che gli sono dovute

La Suprema Corte ha sancito che qualora un condomino abbia svolto delle attività professionali in qualità di difensore del proprio Condominio, non concorre alla ripartizione delle spese legali.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 4259/18, depositata il 21 febbraio. Il caso. Il Tribunale di Roma rigettava l’appello proposto da un condòmino, nei confronti della pronuncia del Giudice di Pace di Roma, la quale dichiarava improcedibile l’impugnazione della delibera da parte dello stesso poiché proposta con ricorso anziché con citazione. Difatti, il condòmino aveva impugnato la deliberazione assembleare dove, in seguito alla soccombenza del Condominio al decreto ingiuntivo da questi proposto per l’attività svolta in favore dello stesso Condominio, le spese legali venivano ripartite in parti eguali e non per millesimi. Avverso la sentenza del Tribunale di Roma, che dichiarava legittima la pro quota” delle spese in forza dell’inapplicabilità dell’art. 1132 c.c. e dell’inesistenza di tabelle millesimali, il condòmino ricorre per cassazione. La ripartizione delle spese. Il Supremo Collegio, superando la questione sulla improcedibilità sollevata erroneamente dal Giudice di Pace in considerazione dell’esame nel merito delle pretese dell’appellante effettuato dal Tribunale, sottolinea che la ripartizione tra i condomini degli oneri derivanti della condanna del Condominio va comunque fatta alla stregua dei criteri dettati dall’art. 1123 c.c., salvo diversa convenzione , non avendo rilievo la mera mancanza formale delle tabelle millesimali come considerato dal Tribunale di Roma , spettando semmai al Giudice di stabilire l’entità del contributo dovuto dal singolo condomino conformemente ai criteri di ripartizione derivanti dai valori delle singole quote di proprietà . Dunque, la deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione in parti uguali delle spese derivanti dalla condanna del Condominio, in deroga all’art. 1123 c.c., va peraltro certamente ritenuta nulla . La partecipazione alle spese. La Suprema Corte afferma, sulla base di un consolidato orientamento, di aver già sancito l’invalidità della deliberazione assembleare che all’esito di un giudizio che abbia visto contrapposti il Condominio ed un singolo condomino, disponga anche a carico di quest’ultimo, pro quota”, il pagamento delle spese sostenute dallo stesso Condominio per il compenso del difensore nominato in tale processo, non trovando applicazione nella relativa ipotesi, nemmeno in via analogica, gli artt. 1132 e 1101 c.c. . La Corte quindi cassa la sentenza impugnata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 18 gennaio 2017 – 21 febbraio 2018, n. 4259 Presidente Picaroni – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione L’avvocato C.A. , condomino del Condominio omissis , ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi violazione dell’art. 112 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 1123 c.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. , avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 11351/2016 del 6 giugno 2016, che ne ha rigettato l’appello avanzato contro la sentenza resa in primo grado il 27 dicembre 2013 dal Giudice di Pace di Roma. L’intimato Condominio omissis , non ha svolto attività difensive. C.A. impugnò la deliberazione assembleare del 2 aprile 2013 approvata dal Condominio omissis , la quale aveva ripartito in parti uguali Euro 14,00 per ogni condomino , e non secondo millesimi, le spese dovute dal medesimo Condominio per effetto della soccombenza maturata con riguardo al decreto ingiuntivo n. 1780/2013 del Giudice di Pace di Roma, pronunciato su domanda del medesimo avvocato C. per l’attività di difensore svolta in favore del Condominio. Il Giudice di Pace aveva dichiarato improcedibile l’impugnazione di delibera giacché proposta con ricorso e non con citazione. Il Tribunale di Roma ha invece ritenuto legittima la ripartizione in quote paritarie delle spese di soccombenza derivanti dal decreto ingiuntivo n. 1780/2013 non opposto dal condominio, non esistendo tabelle millesimali e non essendo applicabile l’art. 1132 c.c. proprio perché quest’ultimo non aveva deliberato di resistere alla pretesa monitoria. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5 , c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. Il primo motivo di ricorso dell’avvocato C.A. è infondato. Se è vero che il Tribunale non ha espressamente statuito sul motivo d’appello relativo alla declaratoria di improcedibilità della domanda la quale effettivamente contrastava con l’interpretazione fornita da Cass. Sez. Un. 14/04/2011, n. 8491, trovando nella specie applicazione l’art. 1137 c.c. nel testo antecedente alle modifiche introdotte con legge n. 220/2012, e dovendosi perciò ritenere comunque valida l’impugnazione delle delibere dell’assemblea proposta impropriamente con ricorso, purché l’atto risultasse depositato in cancelleria entro il termine stabilito dall’art. 1137 citato , è pur vero che la sentenza impugnata ha esaminato il merito della pretesa dell’attore appellante, con ciò implicitamente superando la questione di improcedibilità sollevata erroneamente dal Giudice di pace. È invece fondato il secondo motivo di ricorso. Ove, come nel caso in esame, vi sia stata una condanna giudiziale definitiva del condominio, in persona dell’amministratore nella specie, a seguito di decreto ingiuntivo non opposto , al pagamento di una somma di denaro in favore di un creditore della gestione condominiale nella specie, dello stesso condomino avvocato C. a titolo di compenso per prestazioni professionali , la ripartizione tra i condomini degli oneri derivanti dalla condanna del condominio va comunque fatta alla stregua dei criteri dettati dall’art. 1123 c.c., salvo diversa convenzione arg. da Cass. Sez. 2, 12/02/2001, n. 1959 . Né ha rilievo in senso contrario alla necessaria ripartizione interna dell’importo oggetto di condanna la mera mancanza formale delle tabelle millesimali come considerato dal Tribunale di Roma , spettando semmai al giudice di stabilire l’entità del contributo dovuto dal singolo condomino conformemente ai criteri di ripartizione derivanti dai valori delle singole quote di proprietà Cass. Sez. 2, 26/04/2013, n. 10081 Cass. Sez. 2, 30/07/1992, n. 9107 . La deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione in parti uguali degli oneri derivanti dalla condanna del condominio, in deroga all’art. 1123 c.c., proprio come avvenuto nell’impugnata delibera del 2 aprile 2013, va peraltro certamente ritenuta nulla Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301 Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233 . È egualmente fondato il terzo motivo di ricorso. Il Tribunale di Roma ha affermato che l’avvocato C. , in quanto condomino, doveva egli stesso partecipare al pagamento delle spese legali in suo favore consacrate nel decreto ingiuntivo n. 1780/2013 non opposto dal condominio, richiamando la giurisprudenza sul necessario concorso del condomino danneggiato al risarcimento del danno da lui subito per effetto della mancata custodia o manutenzione di un bene comune. Questa Corte ha invece già sancito l’invalidità della deliberazione dell’assemblea che, all’esito di un giudizio che abbia visto contrapposti il condominio ed un singolo condomino, disponga anche a carico di quest’ultimo, pro quota , il pagamento delle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore nominato in tale processo, non trovando applicazione nella relativa ipotesi, nemmeno in via analogica, gli artt. 1132 e 1101 c.c. Cass. Sez. 2, 18/06/2014, n. 13885 Cass. Sez. 2, 25/03/1970, n. 801 . Il secondo motivo ed il terzo motivo di ricorso devono, quindi, essere accolti, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato, che deciderà la causa uniformandosi ai richiamati principi e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di cassazione.