Anticipazioni effettuate dall’amministratore: decreto ingiuntivo avverso il condominio e pro quota contro i singoli condomini

Le anticipazioni effettuate dall’amministratore possono essere richieste all’intero condominio, anche se la successiva esecuzione deve essere fatta secondo parziarietà e quindi pro quota nei confronti di ciascun condomino.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1851/2018 della Corte di Cassazione, depositata il 25 gennaio. Il caso. Un amministratore di condominio giunto al termine del proprio mandato domandava allo stabile amministrato il rimborso delle somme anticipate per suo conto. A tal fine egli inseriva la somma dovuta nel consuntivo e l’assemblea deliberava per la solidarizzazione” del predetto debito. Stante il mancato pagamento, però, l’amministratore si vedeva costretto ad agire in sede monitoria, ottenendo un decreto ingiuntivo avverso il condominio. Tale decreto veniva opposto dai condomini, i quali sostenevano come l’amministratore avrebbe dovuto agire avverso i singoli condomini in ragione del principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali delineato dalla sentenza 9148/2008 della Cassazione. Il Tribunale di Trieste accoglieva l’opposizione al decreto ingiuntivo. A seguito della soccombenza, però, l’amministratore impugnava la sentenza in Corte d’Appello, lamentando l’erroneità del ragionamento del giudice di prime cure. Nelle more del processo il condominio pagava il debito e la Corte d’Appello emetteva quindi sentenza di cessazione della materia del contendere e – ritenuta la correttezza delle ragioni dell’amministratore – dichiarava la soccombenza virtuale dello stabile e la conseguente vittoria delle spese legali da parte dell’amministratore di condominio. La Cassazione rigetta il ricorso del condominio sulla base della correttezza dell’azione giudiziale dell’amministratore. Il giudizio approda quindi in Cassazione a seguito di deposito di ricorso da parte del palazzo. Tale atto, in particolare, si fondava su 3 motivi di ricorso. In prima battuta il ricorrente chiedeva la riforma della sentenza d’appello sulla base del fatto che la controparte, che era amministratore dello stesso condominio, ben conosceva le quote millesimali dei vari proprietari e avrebbe quindi dovuto agire in via parziaria. Il secondo motivo di doglianza verteva invece sulla presunta nullità della delibera assembleare che avrebbe solidarizzato” il debito tra tutti i condomini. Terzo e ultimo motivo riguardava la conferma del decreto ingiuntivo opposto da parte della Corte d’Appello secondo i ricorrenti tale decisione sarebbe stata illegittima in quanto il decreto era già stato revocato dal Tribunale quando aveva accolto l’opposizione del condominio. La Cassazione, con la sentenza 1851 del 25 Gennaio 2018, rigettava l’impugnazione proposta dal condominio. I 3 succitati motivi, trattati congiuntamente, venivano integralmente rigettati sulla base delle argomentazioni di seguito illustrate. La Cassazione faceva presente come il principio della parziarietà dei debiti condominiali, anche secondo la giurisprudenza della nota sentenza 9148/2008, comportava che questa parziarietà avesse luogo in fase di esecuzione del credito e non anche nella precedente fase della formazione del titolo giudiziale. Vale a dire che l’amministratore aveva agito correttamente domandando il decreto ingiuntivo avverso il condominio, mentre avrebbe dovuto agire contro i singoli condomini pro quota per ottenere la soddisfazione del proprio debito in sede esecutiva. Secondo la Corte, infatti, ogni volta che l’amministratore contragga obbligazioni con un terzo coesistono distinte obbligazioni concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’articolo 1123 c.c. . In conclusione, quindi, la Cassazione rigettava l’impugnazione proposta e condannava il condominio alla corresponsione delle spese del terzo grado di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 7 dicembre 2017 – 25 gennaio 2018, n. 1851 Presidente Manna – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione Il Condominio omissis , ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza 10 giugno 2016, n. 364/2016, resa dalla Corte d’Appello di Trieste, che, dichiarando cessata la materia del contendere in relazione al credito azionato verso il Condominio dall’ex amministratore S.F. con decreto ingiuntivo n. 1088/2012, stante l’avvenuto pagamento, dopo la notifica dell’ingiunzione, della somma pretesa dal S. a titolo di rimborso di anticipazioni effettuate, ha poi condannato il Condominio stesso al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. Resiste con controricorso S.F. . L’importo di Euro 10.704,08, oltre accessori, oggetto del decreto ingiuntivo, trovava fondamento nel bilancio consuntivo dell’esercizio 1/1/2011 - 31/12/2011, approvato con deliberazione dell’assemblea condominiale del 31 maggio 2012, che aveva contabilizzato un credito dell’ex amministratore S. per spese anticipate nell’interesse del Condominio. Il Tribunale di Trieste accolse l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal Condominio di omissis , motivando sulla natura parziaria dell’obbligazione dei condomini. La Corte d’Appello di Trieste, adita dal S. , premesso che, alla luce dell’avvenuto pagamento dell’importo ingiunto, la controversia avesse ragion d’essere unicamente in punto di spese legali, ritenne che correttamente il decreto ingiuntivo fosse stato richiesto ed emesso per l’intero importo nei confronti del Condominio, in quanto la natura parziaria delle obbligazioni dei singoli condomini, come affermata da Cass., Sez. U. n. 9148/2008, rileva poi solo nella fase esecutiva. Aggiunse la Corte d’Appello di Trieste che in ogni caso l’azione giudiziale portata unitariamente nei confronti del Condominio, in persona del suo attuale amministratore, sarebbe stata giustificata in virtù della volontà assembleare di solidarizzare il debito espressa con delibera dd. 04.07.12 . Il primo motivo di ricorso del Condominio omissis , deduce la violazione falsa applicazione degli artt. 1115, 1123 e 1139 c.c., nonché dell’art. 348 bis c.p.c., in quanto il S. aveva precisa cognizione delle quote di debito dei singoli condomini morosi e non aveva perciò nessuna necessità di agire per il suo intero credito nei confronti del Condominio. Il secondo motivo di ricorso censura la violazione degli artt. 117, 1135, 1136, 1137 e 1421 c.c., per non aver la Corte d’Appello comunque rilevato la nullità della delibera che aveva a maggioranza solidarizzato tra tutti i condomini il debito della condomina P. . Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 641, 645, 653, comma 2, e 348 bis c.p.c., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, censurando la statuizione della Corte d’Appello di conferma del decreto ingiuntivo opposto , già revocato dal Tribunale in accoglimento dell’opposizione del Condominio. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5 , c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c I tre motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione e si rivelano infondati, in quanto è conforme a diritto il dispositivo della sentenza impugnata che, come detto, ha dichiarato cessata la materia del contendere quanto al credito dell’ex amministratore S. verso il Condominio di omissis , ed ha condannato quest’ultimo alle spese di lite , pur essendo la decisione in parte erroneamente motivata. È consolidato l’orientamento di questa Corte nel senso che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è limitato alla verifica delle condizioni di ammissibilità e validità del decreto, ma si estende anche all’accertamento dei fatti costitutivi, modificativi ed estintivi del diritto in contestazione, con riferimento alla situazione esistente al momento della sentenza ne consegue che la cessazione della materia del contendere verificatasi successivamente alla notifica del decreto - nella specie per avvenuto pagamento della somma portata dal medesimo - travolge anche il medesimo decreto che deve essere revocato, seppur per un fatto estintivo posteriore alla data della sua emissione suddetta, senza che sia neppure necessario disporre expressis verbis in tal senso. Cass. Sez. 1, 22/05/2008, n. 13085 Cass. Sez. L, 17/10/2011, n. 21432 Cass. Sez. 2, 01/12/2000, n. 15378 . Circa l’onere delle spese processuali, esso va regolato secondo il principio della soccombenza virtuale, alla stregua della fondatezza dei motivi dell’opposizione da valutare con riferimento alla data di emissione del suddetto decreto, e con riferimento all’intero giudizio, e non segmentando la fase monitoria e quella di opposizione Cass. Sez. 2, 13/06/1997, n. 5336 Cass. Sez. L, 26/04/1993, n. 4869 . Peraltro, la declaratoria di cessazione della materia del contendere postula che sia venuto meno il dovere del giudice di pronunziare sul merito della domanda creditoria, essendo cessato per le parti l’interesse alla decisione, con conseguente sentenza finale di rito. Di tale sentenza le parti possono allora dolersi in sede di impugnazione solo contestando l’esistenza del presupposto per emetterla, risultando invece precluso per difetto di interesse ogni altro motivo di censura, ivi compresi quelli, spiegati nel ricorso in esame, attinenti alla sussistenza delle ragioni di credito, atteso che è comunque onere della parte, che contesti la decisione per questioni di merito, impugnare preliminarmente la declaratoria di cessazione della materia del contendere Cass. Sez. U, 09/07/1997, n. 6226, Cass. Sez. 3, 01/06/2004, n. 10478 Cass. Sez. 1, 28/05/2012, n. 8448 Cass. Sez. 6 - L, 13/07/2016, n. 14341 . Essendo allora sottratta all’ambito del devoluto in sede di legittimità, sulla base dei motivi di ricorso, la statuizione di cessazione della materia del contendere, la quale perciò è coperta da giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c., va ulteriormente evidenziato come spetti al giudice del merito, nel caso in cui dichiari cessata la materia del contendere, di deliberare il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale, con apprezzamento di fatto la cui motivazione non postula certo di dar conto di tutte le risultanze probatorie, e che è sindacabile in cassazione sol quando, a sua giustificazione, siano enunciati motivi formalmente illogici o giuridicamente erronei, cosa che non si evince nel caso di specie. In materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova, invero, ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza, ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, e ciò vale sia nel caso in cui la controversia venga decisa in ognuno dei suoi aspetti, processuali e di merito, sia nel caso in cui il giudice accerti e dichiari la cessazione della materia del contendere e sia, perciò, chiamato a decidere sul governo delle spese alla stregua del principio della cosiddetta soccombenza virtuale Cass. Sez. 1, 27/09/2002, n. 14023 . Quando, pertanto, un giudizio sia stato definito con sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere comprensiva, è ammissibile il ricorso per cassazione sul capo della decisione concernente le spese del giudizio soltanto se il suo oggetto sia limitato alla verifica della correttezza dell’attribuzione della qualità di soccombente, attraverso il riscontro dell’astratta fondatezza delle ragioni delle difese spiegate dal ricorrente per cassazione Cass. Sez. 3, 14/07/2003, n. 10998 . Va allora confermata la valutazione di infondatezza dell’opposizione al decreto ingiuntivo proposta dal Condominio di omissis valutazione posta dalla Corte d’Appello di Trieste a base della conseguente soccombenza virtuale dello stesso tenuto conto proprio dell’orientamento giurisprudenziale di questa Corte sulla questione di diritto oggetto di lite sussisteva, cioè, il credito dell’ex amministratore S. verso il Condominio di omissis per l’intera somma azionata in sede monitoria, senza che alcun rilievo abbiano le apposite deliberazioni assembleari menzionate dal ricorrente. Si ha riguardo, nel caso in esame, a fattispecie sottratta ratione temporis vista l’epoca di insorgenza del credito azionato verso il Condominio all’applicabilità dei primi due commi dell’art. 63 disp. att. c.c. come riformulati dalla legge n. 220/2012. È stato allora già affermato, e va qui ribadito, che l’amministratore cessato dall’incarico può chiedere il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia, come avvenuto nel caso in esame, nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall’espletamento del mandato, che, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti sia, cumulativamente, nei confronti di ogni singolo condomino, la cui obbligazione di rimborsare all’amministratore mandatario le anticipazioni da questo fatte nell’esecuzione dell’incarico deve considerarsi sorta nel momento stesso in cui avviene l’anticipazione e per effetto di essa, e non può considerarsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, che amplia la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali. Soltanto ove l’ex amministratore del condominio agisca nei confronti dei singoli condomini per ottenere il rimborso di dette somme anticipate, ha rilievo il principio della limitazione del debito nei limiti delle rispettive quote, ex art. 1123 c.c. Occorre, invero, considerare, più in generale, come ogni qual volta l’amministratore contragga obblighi con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 c.c. cfr. Cass. Sez. 2, 27/09/1996, n. 8530 Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148 Cass. Sez. 6 - 2, 09/06/2017, n. 14530 . Il ricorso va perciò rigettato e il Condominio ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione. Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.