Costruzioni e distanze legali, inderogabili dalle norme secondarie

Il concetto civilistico di costruzione, stabilito e disciplinato a livello statale, deve essere unico e non può subire deroghe da parte di norme secondarie, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali. A tal proposito, il rinvio ai regolamenti locali, è infatti circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore tra edifici o dal confine.

La vicenda. E’ quanto precisato dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, con sentenza n. 23973/17, depositata il 12 ottobre, respingendo sul punto le ragioni di alcuni ricorrenti che, in seguito ad ampliamento del loro fabbricato, erano stati condannati a rimuovere parti di esso, tra cui il manufatto contenente i contatori di acqua e gas, costruito in aderenza al muretto di recinzione e ritenuto, quale nuova costruzione infissa permanentemente al suolo, non rispettoso della distanza legale. Avverso la condanna alla rimozione, i ricorrenti deducevano che il manufatto in questione fosse da qualificarsi come volume tecnico dunque non computabile, ai fini delle distanze, nella volumetria della costruzione. A tal proposito richiamavano il Regolamento attuativo del Piano Regolatore Generale, che non solo consentiva una siffatta costruzione accessoria – senza tenerne conto nel calcolo della volumetria – ma altresì la escludeva ai fini della misurazione della distanza tra i fabbricati e dal confine. La Corte Suprema ha tuttavia bocciato la censura, innanzitutto, poiché facente leva su una pronuncia di legittimità richiamata dai ricorrenti che esclude il calcolo dei volumi tecnici ai fini delle distanze, riferendosi però alle ipotesi di distanze da stabilirsi in relazione all’altezza. Trattasi dunque di una situazione ben diversa rispetto a quella esaminata, ove si pretende di poter derogare alle distanze legali in ragione della destinazione concreta del manufatto. Manufatto contatori, autonoma costruzione soggetta alle distanze legali. Inoltre, proprio con riguardo alla destinazione, il manufatto de quo non costituisce una parte accessoria del fabbricato principale, ma un’autonoma costruzione eretta sul confine e destinata a contenere i contatori. Edificazione separata che, per le sue dimensioni e caratteristiche costruttive, i giudici di merito hanno incensurabilmente qualificato come nuova costruzione, soggetta come tale alle distanze legali. Invano, pertanto – conclude la Cassazione - parte ricorrente brandisce le disposizioni regolamentari, tentando di legittimare la derogabilità delle distanze legali. D’altra parte, come più volte proclamato dalla giurisprudenza, la nozione civilistica di costruzione - e la relativa disciplina ex art. 873 c.c. - non può subire deroghe da parte di norme secondarie. Distanze legali canne fumarie. Accolte invece le ulteriori censure dei ricorrenti, contro l’ordine di demolizione delle canne fumarie che la Corte d’appello aveva ritenuto, anch’esse, non posizionate a distanza legale . Ebbene, secondo gli Ermellini, nel richiederne la demolizione, i giudici di merito avrebbero trascurato il costante insegnamento secondo cui, la distanza di almeno un metro dal confine che l’art. 889, comma 2, c.c. prescrive per l’istallazione di tubi di acqua, gas e simili, si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose e che, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo del vicino in relazione alla naturale possibilità di trasudamento ed infiltrazioni. Detta norma, pertanto, non risulta applicabile con riguardo alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie, le quali, avendo una funzione identica a quella del camino, sono soggette alla regolamentazione di cui all’art. 890 c.c. e, quindi, vanno poste alla distanza fissata dai regolamenti locali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 gennaio – 12 ottobre 2017, n. 23973 Presidente Bianchini – Relatore D’Ascola Fatti di causa Il tribunale di Verona il 15 aprile 2005 ha accolto parzialmente le domande proposte cinque anni prima da V.G. avverso P.M. e A.G. e ha ordinato agli odierni ricorrenti, che avevano ampliato il loro fabbricato, di rimuovere, per violazione delle distanze legali a il vano contatori b il muretto realizzato sulla terrazza sul retro della casa al primo piano le tramezze del balcone del primo piano tutte le canne fumarie. Il tribunale ha poi accolto la domanda oggetto di causa riunita, instaurata nel 2001 proposta dai signori P. nei confronti del V. , per danni da infiltrazioni di acqua nel muro del vano cantina al piano interrato confinante con l’immobile del convenuto, condannandolo al risarcimento dei danni per Euro 3.700, oltre interessi legali. Con sentenza 31 maggio 2011 la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del tribunale di Verona, rigettando gli appelli delle parti. I P. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 10 luglio 2012. V. ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 2 Il primo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 113 cpc e 872, 873 e 890 cod. civ Esso concerne il manufatto contenente i contatori di acqua e gas, costruito dai P. in aderenza al muretto di recinzione e divisione dei due lotti e del quale è stata ordinata la rimozione, in quanto nuova costruzione infissa permanentemente nel suolo e non rispettosa della distanza legale. Parte ricorrente sostiene che trattandosi di volume tecnico non era computabile nella volumetria della costruzione e che il Regolamenta attuativo del PRG non solo consente all’art. 10 la costruzione, senza tenerne conto nel calcolo della volumetria, ma all’art. 15 stabilisce che queste costruzioni accessorie sono escluse ai fini della misurazione della distanza tra i fabbricati dal confine. La censura è infondata. Essa fa leva su una sentenza di questa Corte 2566/11 , la quale esclude il calcolo dei volumi tecnici ai fini delle distanze, riferendosi all’ipotesi di distanze da stabilire in relazione all’altezza a tal fine ha considerato rilevante per il computo un torrino e ha escluso che esso fosse un volume tecnico ininfluente nella volumetria e quindi sulla derivata misura della distanza lineare dall’edificio vicino. Il campo di rilevanza è quindi ben diverso da quello, ora preteso, di poter derogare alle distanze legali in ragione della destinazione concreta del manufatto. Né si tratta nella specie di una parte per ipotesi aggettante rispetto ad esso del fabbricato principale, destinata a contenere gli impianti serventi, ma di un’autonoma costruzione parte ricorrente la definisce alta m. 1,16, lunga m. 2,10, profonda 39 cm eretta sul confine e destinata a contenere i contatori. Trattasi quindi di una edificazione separata, che, per le sue dimensioni e caratteristiche costruttive, è stata incensurabilmente considerata dal giudice del merito nuova costruzione, soggetta alle distanze legali. Invano parte ricorrente brandisce le disposizioni regolamentari, tentando di legittimare la derogabilità delle distanze legali. Il concetto civilistico di costruzione, che è stabilito dalla legge statale, deve essere unico e non è derogabile ad opera di norme secondarie. Questo insegnamento, da sempre affermato in sede di legittimità Cass. 12964/06 n. 1556/05 , è stato proclamato di recente anche da Cass. 8 gennaio 2016 n. 144, che ha ribadito che la nozione di costruzione, agli effetti dell’art. 873 c.c., non può subire deroghe da parte delle norme secondarie, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, in quanto il rinvio ivi contenuto ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore tra edifici o dal confine. da ultimo cfr., anche Cass. 10868/16 . 3 Il secondo motivo si articola in due distinti profili. Il profilo A denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 907 cod. civ Il primo riguarda il muretto eretto a lato della terrazza sul retro della casa P. che impedirebbe la veduta dell’attore V. verso l’esterno. Il ricorso che fa cenno anche alle tramezze del balcone al piano secondo sostiene che erroneamente il primo giudice aveva ordinato la riduzione in pristino del muretto perché aveva determinato una limitazione del diritto di veduta. Afferma che in sede di appello i P. avevano lamentato che l’attore avrebbe dovuto dimostrare l’anteriorità del diritto di veduta e che ha errato la Corte di appello nel respingere l’impugnazione considerando eccezione nuova il difetto di prova sul diritto di veduta. Parte ricorrente sostiene, in una più ampia trattazione, che sarebbe stato violato il principio della libera deducibilità dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi rilevabili d’ufficio e che il fatto impeditivo relativa alla mancata prova dell’anteriorità dell’acquisto delle vedute era liberamente deducibile e tantomeno soggetto alle preclusioni di cui al novellato art. 167 cpc La censura non merita accoglimento. Essa impone di rilevare che la Corte di appello ha errato quando considerato come eccezione nuova l’asserito difetto di prova del preesistente diritto di veduta . Trattavasi infatti di una contestazione dell’altri diritto e non di eccezione. Tuttavia parte ricorrente non critica la seconda parte della motivazione resa sul punto dalla sentenza impugnata, pur riportata in ricorso. La Corte di appello non si è infatti limitata a osservare che l’eccezione era nuova perché tardiva, ma ha aggiunto, con significativo avverbio, che comunque il diritto di veduta da parte del V. sul fondo del vicino non era mai stato contestato in primo grado e pertanto risultava pacifico . Questa seconda ratio decidendi, che attiene alla avvenuta acquisizione della prova dell’esistenza del diritto in forza di non tempestiva contestazione, non superabile con un generico richiamo all’onere della prova, doveva essere criticata dimostrando, con l’analisi dello svolgimento processuale, l’insussistenza dell’assunto di base, cioè del fatto che l’esistenza del diritto fosse pacifica. In mancanza di puntuale censura, il motivo va respinto SU 7931/13 Cass. 4923/16 . Va aggiunto che l’anteriorità del fabbricato V. rispetto all’ampliamento P. denunciato in causa era premessa incontroversa della vicenda basta leggere il ricorso, pag. 2 e segg. , tanto che la lesione del diritto di veduta costituiva il primo punto dell’atto di citazione, riportato nella sentenza impugnata e in ricorso a pag. 3. Ogni tardiva contestazione era pertanto soggetta all’onere di specificità che la Corte di appello non ha ravvisato e che il ricorso non evidenzia. Né la teorica della rilevabilità d’ufficio delle eccezioni su cui si rimanda a Cass. SU 10531/13 e SU 26242/14 può consentire la possibilità che resti aperta indefinitamente la possibilità di contestare ogni fatto precedentemente ammesso o considerato tale in forza di non tempestiva contestazione. Si tratta di istituti diversi, il cui campo di azione non può essere confuso. L’uno attiene ai limiti al rilievo delle eccezioni, l’altro attiene alla prova dei fatti costitutivi, pacifici quando non siano tempestivamente e adeguatamente contestati. 3.1 Quanto alle tramezze sul balcone, la censura non è specifica, né puntuale. Essa, che non è presentata come vizio di motivazione, muove infatti a cavallo tra pag. 24 e 25 da una contestazione della ricostruzione del fatto che sarebbe stata effettuata dal giudice di primo grado, e non dalla Corte di appello, in ordine alla natura della copertura del poggiolo in cui si trovano le tramezze e si sviluppa poi nel criticare la sentenza impugnata per le sole questioni relative al diritto di veduta, senza riprendere la doglianza sulle tramezze. Non vi è quindi congruo motivo di ricorso Cass. 6733/14 . 4 Va invece accolto il profilo B del secondo motivo di ricorso, relativo alle canne fumarie. La Corte di appello ha respinto il gravame ad esse relativo, osservando che camini e canne fumarie sono stati posti a distanza non legale o addirittura appoggiati al confine, restando irrilevante l’assunto che il loro posizionamento costituisca una posizione tecnica indispensabile . Parte ricorrente, dopo aver rilevato che il primo giudice ne aveva disposto l’abbattimento perché pericolose in quanto realizzate in modo irregolare , lamenta che la Corte di appello non abbia risposto alla doglianza relativa alla assenza di alcuna violazione specifica di carattere tecnico o civilistico. Denuncia in particolare che la costruzione delle canne fumarie era consentita dai regolamenti locali, non essendo soggetta al disposto dell’art. 889, ma a quello dell’art. 890 c.c La censura di violazione dell’art. 112, per mancata corrispondenza tra fatto e pronunciato è su questo punto fondata. La Corte di appello ha infatti omesso una precisa qualificazione della fattispecie, avendo trascurato l’insegnamento di questa Corte, ricordato in ricorso, secondo cui La distanza di almeno un metro dal confine che l’art. 889 comma 2 cod. civ. prescrive per l’installazione dei tubi dell’acqua, del gas e simili, si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo vicino, in relazione alla naturale possibilità di trasudamento e di infiltrazioni. Detta norma, pertanto, non è applicabile con riguardo alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie le quali, avendo una funzione identica a quella del camino, vanno soggette alla regolamentazione di cui all’art. 890 cod. civ. e, quindi, poste alla distanza fissata dai regolamenti locali Cass., 2386/03 10652/94 . Tale disciplina imponeva di esaminare la fattispecie alla luce dei regolamenti locali, individuandone la portata e riportandola al caso di specie. Sarà questo il compito del giudice di rinvio, che dovrà conseguentemente riesaminare tutto l’appello sul punto. Detto giudice si individua nella Corte di appello di Trento, sede di distretto più vicina, e meno gravata, di quella cui appartiene Verona. Provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, nonché il profilo A del secondo motivo. Accoglie il profilo B del secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Trento, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.