Per le spese anticipate per le parti comuni dell’edificio si applica la disciplina del condominio

La Cassazione è chiamata a definire quando vi siano le condizioni per la costituzione del condominio e la relativa disciplina applicabile.

Sul punto la S.C. con l’ordinanza n. 23740/17, depositata il 10 ottobre. Il fatto. Il Tribunale, in riforma della decisione del Giudice di Pace, rigettava la domanda della Cassa di Previdenza Aziendale per il Personale di una banca volta ad ottenere, a titolo di ripetizione della quota di partecipazione agli oneri sostenuti per la manutenzione dell’edificio, il pagamento di una somma di denaro dal convenuto. I Giudici di merito avevano evidenziato che la Cassa di Previdenza sosteneva di non agire come amministratore del condominio né in base a delibera dell’assemblea, ma grazie ad un contratto che la chiamava ad anticipare le spese necessarie per le parti comuni del condominio prima della costituzione degli organi di gestione. Nella sentenza si afferma che, però, in tale contratto e nel regolamento di condominio non era prevista alcuna clausola in merito a detto ruolo della Cassa Previdenza ed inoltre, secondo il Tribunale, non sussistevano le condizioni di urgenza di cui all’art. 1134 c.c. Gestione di iniziativa individuale . Infine è riportato nella sentenza che gli attori non avevano documentato in altro modo le spese indicate come anticipate. Avverso la sentenza del Tribunale ricorre in Cassazione la Cassa Previdenza Aziendale. Comunione o condominio? I ricorrenti lamentano che i Giudici di merito abbiano erroneamente applicato, al caso di specie, l’art. 1134 c.c. in quanto, secondo gli stessi, non si è ancora formato nessun condomino nell’edificio. Al contrario, secondo i ricorrenti, doveva applicarsi l’art. 1110 c.c. relativo al rimborso spese a cui ha diritto il partecipante della comunione ordinaria, essendovi nella fattispecie i requisiti, prescritti dall’articolo, della necessità delle spese e della trascuratezza degli altri proprietari. Emerge da quanto affermato dalla Suprema Corte che ai fini della costituzione del condominio non occorra una manifestazione di volontà dei partecipanti per consentire l’applicazione della disciplina relativa al condominio stesso. Infatti, è orientamento consolidato della Corte che la situazione di condominio edilizio si ha per costituita nel momento stesso in cui l’originario unico proprietario opera il frazionamento della proprietà di un edificio . In ragione di ciò, la Cassazione ha ritenuto che il Tribunale abbia correttamente applicato la disciplina del condominio nella controversia, e non la disposizione dell’art. 1110 c.c. che opera in materia di comunione ordinaria. Infatti, come affermato nella sentenza di primo grado, devono applicarsi, al caso di specie, la disposizione di cui all’art. 1117 c.c. parti comuni dell’edificio e all’art. 1134 c.c. in applicazione del quale è stata correttamente considerata non sussistente la situazione di urgenza nella fattispecie. Per questi motivi la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 12 settembre – 10 ottobre 2017, n. 23740 Presidente D’Ascola – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione La Cassa di Previdenza Aziendale per il Personale del Monte dei Paschi di Siena ha proposto ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 19405/2016 del 18 ottobre 2016. Resiste con controricorso U.C. . Il Tribunale di Roma, in riforma della decisione di primo grado resa dal Giudice di Pace di Roma in data 21 maggio 2014, ha rigettato la domanda avanzata dalla stessa Cassa di Previdenza Aziendale per il Personale del Monte dei Paschi di Siena nei confronti di U.C. , volta al pagamento della somma di Euro 3.000,00, oltre accessori, a titolo di ripetizione della quota di partecipazione agli oneri condominiali dell’edificio di via omissis . Il Tribunale ha evidenziato come la Cassa di Previdenza avesse dedotto di agire non quale amministratore del condominio, né in base a delibera dell’assemblea, quanto piuttosto in base ad un contratto che la chiamava ad anticipare le spese occorrenti per la conservazione delle parti comuni prima della costituzione degli organi di gestione. Tuttavia, afferma la sentenza impugnata, alcuna clausola di tale contenuto esisteva né nel contratto di vendita né nel regolamento di condominio prodotti e neppure, prosegue il Tribunale, sussistevano le condizioni di urgenza di cui all’art. 1134 c.c. Per di più, la Cassa di Previdenza non avrebbe neppure documentato le spese indicate come anticipate. L’unico motivo di ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione, l’errata e/o falsa interpretazione degli artt. 1100 e 1134 c.c., e dell’art. 63 disp. att. c.c., nonché l’errata valutazione delle risultanze istruttorie. La ricorrente assume che il Tribunale avrebbe sbagliato a ritenere applicabile l’art. 1134 c.c., essendo piuttosto applicabile nella specie l’art. 1110 c.c., in quanto ancora nessun condominio si era concretamente formato nell’edificio di via omissis , e non era perciò applicabile la disciplina condominiale. Quanto all’art. 1110 c.c., a dire della ricorrente emergerebbero i requisiti della necessità delle spese e della trascuranza degli altri proprietari. Si assume che la ricorrente Cassa di Previdenza fosse intestataria delle utenze di via omissis , e perciò poi ripartiva le spese fra i condomini secondo quanto stabilito dal regolamento condominiale allegato al contratto di vendita stipulato con l’U. , in clausola ignorata dal Tribunale. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 1 , c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. La ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 c.p.c Il motivo di ricorso reca, invero, plurimi profili di inammissibilità. La ricorrente sollecita questa Corte a prescegliere diverse qualificazioni giuridiche della fattispecie o valutare circostanze di cui neppur vi è menzione nella sentenza impugnata né la ricorrente deduce in quale atto del giudizio di merito avesse allegato tali questioni, come impone l’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. , quali il momento in cui si sarebbe formato il condominio nell’edificio di via omissis , o a chi fossero intestate le utenze di via omissis . Egualmente inammissibile è l’invocazione di una diversa valutazione delle risultanze probatorie, la quale non è nemmeno riferibile al parametro di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, in quanto una siffatta censura non si risolve nella prospettazione di un vizio di omesso esame di un fatto decisivo. Inoltre, la ricorrente, nel lamentare l’omessa od erronea valutazione di una clausola del regolamento condominiale allegato al contratto di vendita stipulato con l’U. , non adempie l’onere - imposto sempre dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. - di indicarne il contenuto trascrivendo il documento o riassumendolo nel ricorso . Va infine osservato che il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in ordine all’applicabilità dell’art. 1134 c.c. in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, e l’esame del motivo non offre elementi per mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1 , c.p.c. Cass. Sez. U, 21/03/2017, n. 7155 . La censura propende per l’applicazione, nel caso di specie, dell’art. 1110 c.c., piuttosto che dell’art. 1134 c.c., non essendosi ancora concretamente formato alcun condominio nell’edificio di via omissis . Questa Corte ha però costantemente spiegato come non occorra, ai fini della costituzione del condominio, una manifestazione di volontà dei partecipanti diretta a produrre l’effetto dell’applicazione degli artt. 1117 e seguenti del codice civile. La situazione di condominio edilizio si ha per costituita nel momento stesso in cui l’originario unico proprietario opera il frazionamento della proprietà di un edificio, trasferendo una o alcune unità immobiliari ad altri soggetti, e così determinando la presunzione legale di cui all’art. 1117 c.c. con riguardo alle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano - in tale momento costitutivo del condominio - destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali cfr., tra le tante, Cass. Sez. 2, 18/12/2014, n. 26766 . Costituitosi, pertanto, da tale momento ex facto il condominio, si applica la relativa disciplina codicistica, ivi compreso l’art. 1134 c.c. il quale, a differenza dell’art. 1110 c.c., che opera in materia di comunione ordinaria, regola il rimborso delle spese di gestione delle parti comuni sostenute dal partecipante non alla mera trascuranza degli altri comunisti, quanto al diverso e più stringente presupposto dell’urgenza, intendendo la legge trattare nel condominio con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nell’amministrazione dei beni in comproprietà. Ne discende che, instaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, situazione che si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 c.c. così Cass. Sez. U, 31/01/2006, n. 2046 Cass. Sez. 2, 12/10/2011, n. 21015 . Tale requisito dell’urgenza neppure prospettato dalla ricorrente a sostegno della sua pretesa condiziona il diritto al rimborso del condomino gestore, e si spiega come dimostrazione che le spese anticipate dal singolo fossero indispensabili per evitare un possibile nocumento a sé, a terzi od alla cosa comune, e dovessero essere eseguite senza ritardo e senza possibilità di avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini da ultimo, Cass. Sez. 6 2, 08/06/2017, n. 14326 . Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, e la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione. Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.