Non spetta al condomino apparente pagare l’appaltatore

La Cassazione afferma che in materia condominiale, in merito alle azioni promosse dall’amministratore per la riscossione delle spese condominiali di competenza delle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva, sono passivamente legittimati solo i proprietari effettivi delle proprietà, e non anche coloro che possono apparire tali.

Così ha deciso la Cassazione con l’ordinanza n. 23621/17, depositata il 9 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello rigettava l’appello proposto contro la sentenza di primo grado da colui che era condannato da quest’ultima al pagamento di una somma di denaro a titolo di saldo residuo del corrispettivo dei lavori di ristrutturazione di un fabbricato condominiale. Nel caso di specie, l’appellante sollevava il fatto che egli fosse solo un condomino apparente, essendo amministratore della società effettiva condomina, e, quindi, solo in quanto tale partecipava alle assemblee condominiali. Per cui, ne derivava che non fosse passivamente legittimato rispetto alla pretesa di pagamento dell’appaltatore. Avvero la pronuncia di Appello il condomino apparente ricorreva in Cassazione. Apparenza del diritto. Il ricorrente lamenta la non applicabilità al caso di specie del principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento del terzo dove sussistono specifici mezzi di pubblicità, come nel caso specifico in cui vi sono appositi registri pubblici immobiliari. La Cassazione afferma che in materia condominiale, in merito alle azioni promosse dall’amministratore per la riscossione delle spese condominiali di competenza delle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva, sono passivamente legittimati solo i proprietari effettivi delle proprietà, e non anche coloro che possono apparire tali. Le argomentazione svolte dalla Corte d’Appello devono essere così, disattese dai Giudici di Legittimità i quali ricordano che le obbligazioni contratte dal condominio con la società appaltatrice, si basano su una delibera assembleare, e non su un rapporto contrattuale del singolo con l’appaltatore. Ne deriva, quindi, che tale situazione si collegata al diritto reale condominiale e perciò è indirettamente collegata alla situazione resa pubblica nei libri fondiari. In conclusione, si ricorda che il principio dell’apparenza può comportare l’individuazione del titolare di un diritto soggettivo, ma non fondare una pretesa di adempimento nei confronti di un soggetto non debitore. Per questo motivo la Corte accoglie il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 12 settembre – 9 ottobre 2017, n. 23621 Presidente D’Ascola – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione T.D. propone ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno n. 598/2015 del 21 settembre 2015. Si difende con controricorso N.P. . La Corte d’Appello di Salerno ha rigettato l’appello di T.D. contro la sentenza n. 55/2008 pronunciata in primo grado dal Tribunale di Salerno, che, pur revocando il decreto ingiuntivo emesso per l’importo di Lire 63.863.196 nei confronti del T. e di S.G. su domanda di N.P. , titolare dell’impresa edile omissis , condannava il medesimo intimato T. , che aveva proposto opposizione, al pagamento della somma di Euro 25.426,96, a titolo di saldo residuo del corrispettivo dei lavori di ristrutturazione del fabbricato condominiale di omissis . La Corte d’Appello di Salerno, avendo il T. dedotto di essere egli soltanto l’amministratore della s.r.l., effettiva condomina, e quindi mero condomino apparente, in quanto tale passivamente non legittimato rispetto alla pretesa di pagamento dell’appaltatore, ha per contro sostenuto che l’apparenza della qualità di condomino manifestata dalla partecipazione alle assemblee condominiali senza mai manifestare tale qualità rileva nei confronti di soggetti terzi, i quali non possono farsi carico di accertare la proprietà dell’immobile. Circa poi la contestazione del T. sull’entità del debito pro quota a lui riferito, la Corte d’Appello di Salerno ha replicato che, avendo l’altro intimato S.G. adempiuto in parte al pagamento della complessiva somma di Lire 63.863.196 oggetto dell’originario decreto ingiuntivo, il residuo impagato deve ritenersi costituire la quota di spettanza dell’appellante . Il primo motivo del ricorso di T.D. denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1189, 1117, 1123 e 2643 e ss. c.c., deducendo la non invocabilità del principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento del terzo ove sussistano specifici mezzi di pubblicità, quali, nella specie, i registri pubblici immobiliari. Il ricorrente evidenzia come egli non fosse condomino del Condominio di omissis , quanto, piuttosto, oltre che amministratore dello stesso Condominio amministratore della s.r.l., proprietaria di alcune unità immobiliari comprese nell’edificio. Il secondo motivo di ricorso allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 534, 1189, 1415 e 1416 c.c., nonché l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., criticando la mancanza assoluta di motivazione circa la buona fede del creditore N.P. e l’affidamento da questo riposto nel fatto che T.D. avesse agito come condomino in proprio e non quale amministratore della s.r.l Viene in particolare richiamata la quietanza del 6 ottobre 1995 rilasciata da N.P. con riferimento al pagamento di un acconto di Lire 5.000.000, ove il creditore dichiarava di ricevere la somma dal T. quale amministratore della s.r.l. e si riconosceva alla medesima società l’avvenuto versamento della somma complessiva di Lire 98.000.000. Si richiamano ancora dieci fatture emesse dall’impresa N. in favore della s.r.l Il terzo motivo di ricorso denuncia, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1123 c.c., non avendo comunque la Corte d’Appello verificato quale fosse la quota di debito riferibile al T. rectius, alla s.r.l. in base alle tabelle millesimali, essendosi limitata a ricavare la stessa quota come residuo dovuto dopo il pagamento eseguito dall’altro condomino ingiunto S. . Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5 , c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio. Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 c.p.c I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e si rivelano fondati. Questa Corte ha più volte affermato che in materia condominiale, quanto meno con riferimento alle azioni promosse dall’amministratore per la riscossione delle spese condominiali di competenza delle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva, sono passivamente legittimati soltanto i rispettivi proprietari effettivi di dette unità, e non anche coloro che possano apparire tali, a nulla rilevando la reiterazione continuativa di comportamenti propri del condomino, né sussistendo esigenze di tutela dell’affidamento di un terzo di buona fede nella relazione tra condominio e condomino Cass. Sez. U, 08/04/2002, n. 5035 Cass. Sez. 2, 03/08/2007, n. 17039 Cass. Sez. 2, 25/01/2007, n. 1627 . La Corte d’Appello di Salerno al riguardo ha sostenuto che diversa è l’ipotesi in cui l’apparenza della qualità di condomino sia rivolta a soggetti terzi . rispetto al condominio, laddove non può farsi carico di accertare la proprietà dell’immobile, in particolare quando il condomino apparente abbia partecipato alle decisioni in sede di assemblea condominiale, senza mai palesare all’esterno tale qualità . . Questo argomentare non tiene conto che la costruzione giurisprudenziale del principio della diretta riferibilità ai singoli condomini della responsabilità per l’adempimento delle obbligazioni contratte verso i terzi dall’amministratore del condominio per conto del condominio, tale da legittimare l’azione del creditore verso ciascun partecipante, poggia comunque sul collegamento tra il debito del condomino e la res, in quanto è comunque la contitolarità delle parti comuni che ne costituisce il fondamento. D’altro canto, la stessa conclusione raggiunta in giurisprudenza, per cui la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, nel senso che le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, è stata costruita spiegando che l’amministratore possa vincolare i singoli comunque nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148 . È pacifico che occorra l’autorizzazione dell’assemblea o, comunque, l’approvazione mediante sua successiva ratifica , ai sensi dell’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., e con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 4, c.c., per l’approvazione di un appalto relativo a riparazioni straordinarie dell’edificio condominiale. È poi dalla deliberazione dell’assemblea, e non dal rapporto contrattuale con l’appaltatore, che discende l’obbligo dei singoli condomini di partecipare agli esborsi derivanti dall’esecuzione delle opere, ponendosi il condominio e non ciascun condomino come committente nei confronti dell’appaltatore stesso. Anche, dunque, la vicenda obbligatoria che si imputa pro quota al singolo partecipante è geneticamente correlata al diritto reale condominiale si vedano, indicativamente, i commi 1 e 2 dell’art. 63 disp. att. c.c., come modificato dalla legge n. 220/2012, pur non applicabile nella specie ratione temporis , ed è quindi quanto meno indirettamente collegata alla situazione resa pubblica nei libri fondiari. Ai fini dell’invocabilità dell’apparentia iuris a garanzia dell’affidamento maturato dal terzo creditore del condominio, non può quindi negarsi, come fatto dalla Corte d’Appello di Salerno, la sussistenza di un legame con il dato pubblicitario emergente dalla trascrizione nei registri immobiliari, trattandosi di trarre conseguenze ai fini dell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria comunque connessa con la titolarità di un diritto reale di proprietà. D’altro canto, è decisivo osservare come nel nostro ordinamento il principio dell’apparenza del diritto art. 1189 c.c. trova applicazione quando sussistono uno stato di fatto difforme dalla situazione di diritto ed un errore scusabile del terzo in buona fede circa la corrispondenza del primo alla realtà giuridica, assumendo comunque rilievo giuridico l’apparenza ai soli fini della individuazione del titolare di un diritto soggettivo, ma non anche per fondare una pretesa di adempimento nei confronti di un soggetto non debitore, atteso che l’affidamento del terzo può legittimare una richiesta di risarcimento danni per il subito pregiudizio, e non invece trasformare in debitore un soggetto che non rivesta tale qualità cfr. Cass. Sez. U, 01/07/1997, n. 5896 Cass. Sez. 1, 10/11/1997, n. 11041 Cass. Sez. 1, 10/11/1997, n. 11040 . L’accoglimento dei primi due motivi assorbe l’esame del terzo motivo, che, come visto, lamenta altresì che la condanna del ricorrente sia stata disposta, in violazione del criterio della parziarietà, non in proporzione dell’esatta rispettiva quota millesimale a lui attribuita, ma per l’intero residuo debito verso il creditore rimasto insoluto dopo il pagamento parziale della somma ingiunta effettuato dall’altro moroso intimato S. . Il primo ed il secondo motivo di ricorso devono, quindi, essere accolti, rimanendo assorbito il terzo motivo, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, che deciderà la causa uniformandosi ai richiamati principi e tenendo conto dei rilievi svolti, e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.