Androne e terrazzo sono, fino a prova contraria, parti comuni del condominio

Il caso oggetto del commento principiava quando un condomino agiva in giudizio chiedendo al Tribunale di intervenire sanzionando alcuni comportamenti di altri comproprietari. In particolare, secondo l’attore, i convenuti avevano modificato la serratura del portoncino d’ingresso del palazzo impedendo allo stesso l’accesso sia all’androne che al terrazzo condominiale.

Si costituivano in giudizio i convenuti, negando gli addebiti in ragione della circostanza che i luoghi descritti – lungi dall’essere condominiali – sarebbero stati di loro proprietà esclusiva e, in subordine, chiedendo la dichiarazione dell’avvenuta usucapione dei luoghi. Il Tribunale, all’esito del giudizio, rigettava la domanda dell’attore e lo condannava al pagamento delle spese del processo. Il soccombente, quindi, agiva appellando la predetta sentenza. Al termine del processo, però, la Corte d’Appello sovvertiva le valutazioni compiute dal giudice di prime cure e accoglieva l’appello proposto. In particolare il giudice del riesame affermava che le parti in oggetto, androne e terrazzo di copertura, erano pacificamente parti comuni ai sensi e per gli effetti dell’art. 1117 c.c. e quindi i convenuti non avevano alcun diritto di escludere l’appellante dal godimento di detti beni. Gli appellati, quindi, decidevano di ricorrere in Cassazione avverso la sentenza di Appello. I beni in oggetto erano certamente parti comuni del condominio. Il ricorso in Cassazione era articolato in due motivi. Il primo motivo di doglianza consisteva nel lamentare come la Corte d’Appello non avesse tenuto conto nella propria sentenza della circostanza che la presunzione ex art. 1117 c.c. potesse comunque essere superata se la cosa per obiettive caratteristiche strutturali serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile venendo meno in questi casi il presupposto di una contitolarità necessaria . Secondo i ricorrenti, quindi, nel caso in questione il terrazzo e l’androne sarebbero stati asserviti unicamente a loro, consentendo di escludere la comunione di cui al codice civile. Con il secondo di motivo, poi, i ricorrenti lamentavano come la Corte non avesse tenuto conto delle caratteristiche strutturale delle summenzionate strutture, che a loro detta avrebbero comprovato la proprietà esclusiva. Con una sintetica sentenza, la n. 23300 del 5 ottobre 2017, la Corte di Cassazione cassava integralmente il ricorso promosso. In particolare, la decisione si concentrava sul rigetto del primo motivo di ricorso, mentre il secondo veniva ritenuto assorbito da questo. In merito al primo motivo, la Corte sottolineava come il ricorso avesse richiesto una diversa valutazione del fatto così come prospettato dal giudice d’Appello, mentre il compito della Cassazione era quello di statuire sulla legittimità dell’interpretazione delle norme. Affermava, infatti, la Suprema Corte che in tema di ricorso per cassazione il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa . A prescindere dalla validità delle eccezioni, quindi, il ricorso in Cassazione deve necessariamente vertere sulla valutazione delle norme applicate, mentre domandare un riesame delle circostanze di fatto porta necessariamente al rigetto del ricorso. Nel caso in questione, quindi, i ricorrenti non potevano domandare alla Suprema Corte una diversa valutazione in merito alla proprietà privata del terrazzo e dell’androne, dato che tale argomentazione avrebbe dovuto essere fatta nei primi due gradi di giudizio. Alla luce di tale valutazione la Cassazione rigettava integralmente il ricorso promosso, condannando i soccombenti a risarcire le spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 9 giugno – 5 ottobre 2017, n. 23300 Presidente Petitti – Relatore Scalisi Fatto e diritto Preso atto che il Consigliere relatore dott. A. Scalisi ha proposto che la controversia fosse trattata in Camera di Consiglio non partecipata della Sesta Sezione Civile di questa Corte, ritenendo l’infondatezza del ricorso A Infondato il primo motivo giusti i principi espressi da questa Corte con le sentenze. nn. 16698 e 7394 del 2010. B Assorbito il secondo. La proposta del relatore è stata notificata alle parti. Letti gli atti del procedimento di cui in epigrafe. Il Collegio premesso che C.L. con atto di citazione del 20 aprile 2005 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Palermo C.R. , C.M.G. , C.I. e, premettendo di esser comproprietario con le convenute delle parti comuni dell’edificio sito in omissis , lamentava che a seguito della modifica delle chiavi del portoncino di ingresso ad iniziativa delle convenute gli era stato precluso l’accesso all’androne condominiale, ove erano collocati i contatori dell’acqua, nonché l’accesso al terrazzo dello stesso edificio, ove era installata la propria antenna televisiva. Chiedeva, pertanto, che venisse dichiarato il proprio diritto ad accedere liberamente, uti dominus, nelle parti comuni di tale edificio. Si costituivano le convenute, contestando le domande di parte attrice e chiedendo il rigetto, rilevando che C.L. non aveva alcun diritto sulle parti comuni dello stabile, essendo tale edificio di proprietà esclusiva delle convenute ed, eccependo, in subordine, l’avvenuta usucapione. Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 3 giugno 2009, rigettava le domande dell’attore e lo condannava al pagamento delle spese del giudizio. La Corte di Appello di Palermo, pronunciandosi su appello proposto da C.L. , nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1273 del 2016 accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava il diritto di C.L. ad accedere all’androne ed al terrazzo di copertura dell’edificio oggetto del giudizio. Condannava le appellate al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Secondo la Corte di Palermo, dovendo ritenere che l’androne e il terrazzo di copertura, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., sono beni condominiali ed essendo l’appartamento di proprietà di C.L. parte del fabbricato di cui si dice, C.L. non poteva essere escluso dal godimento dei beni condominiali. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da C.R. , C.M.G. , C.I. con ricorso affidato a due motivi. C.I. e C.G. eredi di C.L. hanno resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1.= Con il primo motivo di ricorso C.R. , C.M.G. , C.I. , lamentano la violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 1117 cod. civ. ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. . Avrebbe errato la Corte distrettuale, secondo i ricorrenti nel dichiarare il diritto di C.L. ad accedere all’androne e al terrazzo di copertura all’edificio sito in OMISSIS perché non ha tenuto conto che la presunzione di condominialita di cui all’art. 1117 cod. civ. può essere superata se la cosa per obiettive caratteristiche strutturali serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile venendo meno in questi casi il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria. Nel caso in esame, specificano i ricorrenti, le aree di cui si dice, per la configurazione strutturale degli immobili appartenenti rispettivamente alle odierne ricorrenti ubicati nella via omissis e al sig. C.L. via omissis , avrebbe dovuto essere escluse dalla comunione ex art. 1117 cod. civ. 1.1. = Il motivo è infondato ed essenzialmente perché l’assunta violazione di legge si basa e presuppone una diversa valutazione e ricostruzione delle risultanze acquisiste nel giudizio di merito, censurabile - e solo entro certi limiti - sotto il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma previsto per la formulazione di detto motivo. Va qui ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud. viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa in tal senso essenzialmente cfr. Cass. n. 16698 e 7394 del 2010 . Nel caso in esame, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la Corte distrettuale, ha accertato che i beni di che trattasi erano destinati all’uso comune, specificando che neppure gli appellati odierni ricorrenti avevano contestato l’oggettiva destinazione all’uso comune dell’area dell’ingresso e del terrazzo. 2.= Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. . Secondo le ricorrenti, la sentenza impugnata sarebbe illegittima anche perché la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto delle caratteristiche strutturali degli immobili oggetto della controversia. 2.1.= Il motivo rimane assorbito perché, quali che fossero le caratteristiche strutturali degli immobili oggetto di controversia, comunque, la Corte distrettuale ha accertato la destinazione all’uso comune dell’area di ingresso o del terrazzo. Senza dire che l’unità di piano terra di proprietà di C.L. adesso degli eredi costituisce parte strutturale e funzionale integrante della palazzina condominiale cui ineriscono i diritti sulle parti comuni della palazzina stessa e tra le quali rientrano l’ingresso e la terrazza di copertura, oggettivamente destinati all’uso comune, tanto è vero che, come specifica la stesa sentenza impugnata nell’androne condominiale si trovavano collocati i contatori dell’acqua e sul terrazzo dell’edificio fino a due anni prima vi era installata la antenna televisiva, appartenente a C.L. . In definitiva, il ricorso va rigettato e ricorrenti in ragione del principio di soccombenza condannati a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione, che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condanna ricorrenti in solido a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori, come per legge dà atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.