La natura di beni comuni del cortile e del vano scala condannano al ripristino dello stato dei luoghi

Relativamente all’elencazione, esemplificativa e non tassativa, prevista dall’art. 1117 c.c. dei beni che si presumono comuni, la Cassazione ha qui precisato che tale presunzione non opera con riguardo ai beni che per le caratteristiche strutturali devono ritenersi destinati oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari.

Così si è espressa la Suprema Corte con sentenza n. 14794/17 depositata il 14 giugno. Il caso. Il Tribunale rigettava la domanda dell’attore relativa all’accertamento del diritto a realizzare opere edili di ampliamento del suo appartamento e lo condannava al ripristino dello stato dei luoghi. La Corte d’appello confermava la decisione del Tribunale e rilevava che il primo rogito prevedeva il diritto a costruire su parti comuni ma l’attore non aveva superato la presunzione di proprietà comune della relative aree. Con il successivo rogito la facoltà di costruire non veniva più riportata e il richiamo allo stato di fatto e di diritto dell’immobile nel rogito, fatto dall’attore, non era idoneo a trasferire il diritto di natura personale, stante anche l’intervenuta prescrizione del diritto per mancato esercizio nel periodo intercorso tra il primo e il secondo rogito. L’attore ricorre per cassazione. Facoltà di costruire. La Suprema Corte afferma che l’art. 1117 c.c. contiene un’elencazione solo esemplificativa e non tassativa dei beni che si presumono comuni poiché sono tali anche quelli aventi un’oggettiva e concreta destinazione al servizio comune, salvo che risulti diversamente dal titolo . Per contro, tale presunzione non opera con riguardo a beni che, per le proprie caratteristiche strutturali, devono ritenersi destinati oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari . Nella fattispecie, il cortile e il vano scala del condominio sono stati correttamente ritenuti dai Giudici di merito beni comuni. La facoltà di costruire su tali beni non era richiamata negli atti di vendita successivi al primo rogito e, in particolare, non lo era nell’ultimo rogito, con il quale l’attore aveva acquistato l’immobile. Allo scopo di conseguire detta facoltà non risultava utile neppure l’inserimento della clausola di acquisto del bene nello stato di fatto di diritto. Pertanto, rilevata anche l’intervenuta prescrizione del diritto come configurato nel primo rogito per mancato esercizio per più di 20 anni, gli Ermellini rigettano il ricorso e condannano il ricorrente alle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 24 febbraio – 14 giugno 2017, n. 14794 Presidente Bianchini – Relatore Picaroni Fatti di causa 1. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza depositata il 22 ottobre 2012, ha rigettato l’appello proposto da G.R. avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 1439 del 2008, e nei confronti del Condominio omissis sito in Reggio Emilia. 1.1. Il Tribunale aveva rigettato la domanda proposta nel 2003 dal sig. G. , di accertamento del diritto a realizzare opere edili di ampliamento del suo appartamento, e condannato l’attore al ripristino dello stato dei luoghi, come richiesto in via riconvenzionale dal Condominio. 2. La Corte d’appello ha confermato la decisione, rilevando che il rogito del 1959 - con cui S. aveva alienato l’immobile a C.A. , dante causa di Co.Fe. e B.R. , a loro volta danti causa dell’appellante G. aveva previsto un diritto a costruire su parti comuni, e l’appellante non aveva superato la presunzione di proprietà comune delle relative aree, giacché nel rogito successivo, risalente al 1987, la facoltà di costruire non era più riportata, né il richiamo allo stato di fatto e di diritto dell’immobile nel rogito di acquisto del G. era idoneo a trasferire il diritto di natura personale. 2.1. La Corte d’appello ha inoltre rilevato l’intervenuta prescrizione del diritto, eccepita dal Condominio, per mancato esercizio nel periodo intercorso tra il 1959 e il 1987, e, infine, la non conformità dei lavori eseguiti dal sig. G. alle previsioni contenute nel rogito originario del 1959. 3. Per la cassazione della sentenza G.R. ha proposto ricorso sulla base di sette motivi. Resiste con controricorso il Condominio omissis . Ragioni della decisione 1. Il ricorso è infondato. 1.1. Con il primo motivo è denunciato omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione art. 360, n. 5, cod. proc. civ. in relazione alle norme in materia di interpretazione del contratto artt. 1362, 1364, 1366, 1367, 1368, 1369 cod. civ. e si contesta che la Corte d’appello, pur sollecitata dall’appellante, non aveva esaminato la questione della preesistenza di un balcone-ballatoio in legno - risalente al 1959 e nel quale era posizionato un gabinetto - che, in base ai titoli di provenienza, il sig. G. poteva ampliare e chiudere in muratura. Ciò che trovava conferma nella metratura dell’immobile, come indicata nel regolamento condominiale. 2. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione delle norme in materia di interpretazione del contratto artt. 1362, 1364, 1366, 1367, 1368, 1369 cod. civ. , e si contesta il significato attribuito dalla Corte d’appello alla clausola contenuta nel titolo di acquisto, che concedeva la facoltà di costruire un balcone e di ampliare l’andito di ingresso, esercitata in concreto dal ricorrente. 3. Con il terzo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti at. 360, n. 5, cod. proc. civ. , e si contesta la valutazione delle prove documentali effettuata dalla Corte d’appello, che non aveva considerato la vicenda storica del fabbricato, l’atto costitutivo del condominio dal quale risultavano i limiti alla proprietà condominiale. 4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 832 e ss. cod. civ. e si contesta la qualificazione della facoltà concessa dai titoli di acquisto come diritto ad edificare sulla proprietà comune, mentre la documentazione in atti dimostrava si trattava di proprietà esclusiva, ovvero di parti dell’immobile sottoposte a vincolo di destinazione a favore della proprietà esclusiva, e la facoltà connessa non poteva estinguersi per prescrizione essendo inerente al diritto di proprietà. 5. Con il quinto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367 cod. civ. e si contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui l’appellante non aveva titolo a costruire in quanto il diritto ad edificare su parti comuni non era richiamato nei rogiti successivi a quello del 1959. Il ricorrente evidenzia che il rogito del 2001 di acquisto dell’immobile richiamava in premessa l’atto di compravendita del 5 marzo 1959, unitamente alle facoltà e limitazioni in esso contenute, nonché il successivo atto del 5 giugno 1987. 6. Con il sesto motivo è denunciato omesso esame di un fatto decisivo art. 360, n. 5, cod. proc. civ. in relazione agli artt. 2697 e 1117 cod. civ., e si contesta la natura di parte comune del vano scala dell’edificio in mancanza di un riferimento in tal senso nel rogito di acquisto dell’appellante, nel quale erano invece richiamate le facoltà previste nel rogito del 1959. La Corte d’appello, inoltre, non aveva considerato che l’onere della prova sull’appartenenza esclusiva di un bene indicato nell’art. 1117 cod. civ. gravava sul Condominio. 7. Con il settimo motivo è denunciato violazione dell’art. 180 cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis , e si assume che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, il Condominio non aveva formulato l’eccezione di prescrizione. 8. Le doglianze sono infondate. 8.1. Risulta immune da censure il giudizio riguardante la disamina dei titoli, che la Corte d’appello ha argomentato senza incorrere in violazioni dei criteri di ermeneutica, né in omissioni sussumibili nel vizio di motivazione come configurato dal nuovo art. 360, n. 5, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis cfr., per tutte, Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053 . 8.2. All’esito dell’esame dei titoli, la Corte territoriale ha ritenuto che il rogito del 1959 prevedesse la facoltà di edificare sulla proprietà comune, non sussistendo prova della tesi dell’appellante, secondo cui oggetto del trasferimento era anche la proprietà esclusiva sui beni inglobati dai lavori. In mancanza di prova contraria - il cui onere indiscutibilmente gravava sull’appellante - la Corte d’appello ha ritenuto che sia il cortile sia il vano scale costituissero parti comuni dell’edificio. In senso conforme, la giurisprudenza di legittimità afferma che l’art. 1117 cod. civ. contiene un’elencazione solo esemplificativa e non tassativa dei beni che si presumono comuni poiché sono tali anche quelli aventi un’oggettiva e concreta destinazione al servizio comune, salvo che risulti diversamente dal titolo, mentre, al contrario, tale presunzione non opera con riguardo a beni che, per le proprie caratteristiche strutturali, devono ritenersi destinati oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari tra le altre, Cass. 29/01/2015, n. 1680 . 8.3. Ritenuta la natura di beni comuni del cortile e del vano scala, la Corte territoriale ha poi rilevato che la facoltà di costruire su tali beni non era richiamata negli atti di vendita successivi a quello del 1959, e in particolare non lo era nel rogito del 2001, con il quale il G. aveva acquistato l’immobile, né allo scopo poteva ritenersi sufficiente l’inserimento della clausola di acquisto del bene nello stato di fatto e di diritto. 8.4. A tale ratio decidendi , la Corte d’appello ha aggiunto l’ulteriore rilievo della intervenuta prescrizione del diritto come configurato nel rogito del 1959, per mancato esercizio ultraventennale, essendo pacifico che i lavori non erano stati eseguiti al momento del trasferimento della proprietà dell’immobile nel 1987. La rilevata prescrizione è oggetto del settimo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente contesta l’avvenuta formulazione della relativa eccezione, e dolendosi anche del richiamo alla delibera assembleare del 2001. 8.5. La doglianza è infondata. Risulta corretta la valutazione della Corte d’appello, che ha ritenuto sollevata l’eccezione di prescrizione a pagina 7 della comparsa di risposta. Costituisce principio giurisprudenziale consolidato che la parte che propone l’eccezione di prescrizione ha l’onere di allegare l’inerzia del titolare del diritto e il fatto del decorso del tempo necessario a farla maturare tra le molte, Cass. 22/12/2004, n. 23817 . 9. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio. Sussistono i presupposti del raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.