Quali conseguenze se le aree a parcheggio non vengono realizzate?

Il riconoscimento giudiziale del diritto reale di uso sulle aree vincolate a parcheggio può avere ad oggetto solo le aree effettivamente realizzate e destinate a tale scopo. Ove, difformemente da quanto stabilito nel progetto allegato al titolo abilitativo dei lavori, le aree a parcheggio non siano state effettivamente realizzate, non è possibile chiedere alcuna tutela ripristinatoria essendo possibile solo una tutela risarcitoria.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13210/2017, depositata il 25 maggio. I fatti di causa. L'impresa di costruzione cita in giudizio alcuni condòmini e l'intero condomìnio, lamentando l'occupazione di alcune aree antistanti il fabbricato che, pur essendo ancora di proprietà della società realizzatrice, di fatto, verrebbero utilizzate abusivamente come parcheggio da parte di alcuni condòmini. Il costruttore non si limita a richiedere il rilascio dell'immobile, ma va ben oltre, chiedendo una indennità per l'occupazione abusiva da parte dei condòmini. I convenuti, come da copione, cercano di ribaltare la frittata e presentano una domanda riconvenzionale, chiedendo che fosse riconosciuto, in loro favore, il diritto reale di uso sulle aree adibite a parcheggio. Il giudizio di merito si svolge a fasi alterne. Il Tribunale, in un primo tempo, accoglie le richieste del costruttore e, conseguentemente, ordina il rilascio dell'immobile ed il pagamento di una indennità per l'occupazione abusiva del bene perpetrata dal condomìnio. Successivamente torna sui propri passi e corregge il tiro l'area sarebbe di proprietà del costruttore, ma sarebbe soggetta ad un vincolo di destinazione d'uso in favore dei condòmini, ciascuno dei quali avrebbe il diritto di utilizzare almeno 12 metri quadrati ovvero lo spazio ipoteticamente necessario a parcheggiare una autovettura-tipo . La Corte cambia rotta. La Corte d'appello imposta il problema diversamente e chiede l'intervento di un consulente tecnico che chiarisca la situazione. Dalle indagini tecniche risulta che il fabbricato era stato costruito in base ad una concessione edilizia ormai datata, risalente al 1968. Il progetto dell'epoca evidenziava le aree a parcheggio in alcune aree ben individuate. Lo stato dei luoghi, peraltro, non era corrispondente al progetto approvato per cui, evidentemente, erano state effettuate delle varianti in corso d'opera, peraltro non autorizzate. In seguito a tali varianti, gli spazi progettualmente adibiti a parcheggio avevano avuto, di fatto, un diverso utilizzo ed una diversa destinazione con la conseguenza che il fabbricato, alla resa dei conti, non risultava dotato delle necessarie superfici a parcheggio. Le conclusioni della Corte territoriale. Preso atto dell'inesistenza delle aree adibite a parcheggio, si pone un dilemma nei confronti dei condòmini è possibile una tutela ripristinatoria o bisogna ripiegare su una tutela risarcitoria? La Corte esclude che sia possibile una tutela ripristinatoria in quanto questa presuppone l'esistenza di un diritto che, nel caso in esame, non sarebbe stato effettivamente costituito. Il ragionamento logico-giuridico è semplice se l'area a parcheggio non è stata realizzata, vuol dire, implicitamente, che essa non è stata trasferita con la vendita degli appartamenti non essendo mai venuta ad esistenza. Mancando il bene, non sarebbe possibile far sorgere diritti su di esso e, a cascata, non sarebbe possibile chiedere il ripristino di un quid non venuto neanche ad esistenza. Sulla base di questo presupposto, il giudice d'appello ritiene che sia possibile solo una tutela risarcitoria. In altre parole, i condòmini non potrebbero chiedere la realizzazione delle opere mancanti ovvero la realizzazione delle aree a parcheggio mentre potrebbero chiedere il risarcimento del danno derivante dalla mancata realizzazione delle aree a parcheggio inizialmente previste nel progetto assentito. Il costruttore fornisce le proprie giustificazioni. A suo dire, il rilascio dell'originaria concessione edilizia era semplicemente subordinato alla realizzazione delle aree a parcheggio in misura tale da soddisfare le percentuali richieste dalle norme edilizie ed urbanistiche. Ai fini della validità del titolo concessorio, sempre secondo il costruttore, sarebbe essenziale che le aree a parcheggio vengano effettivamente realizzate, a prescindere dalla loro individuazione fisica. In altre parole, è necessario che il fabbricato sia dotato delle previste aree a parcheggio a prescindere da dove esse vengano effettivamente individuate. La diversa realizzazione delle aree a parcheggio, inoltre, nell'ottica dell'impresa realizzatrice, non avrebbe reso necessario la presentazione di una variante progettuale. Tale tesi verrebbe suffragata dall'avvenuto rilascio dell'abitabilità da parte della pubblica amministrazione, atto che presuppone la verifica, da parte del Comune, del rispetto della normativa edilizia e della regolarità dell'edificato. Possibile una tutela meramente risarcitoria. La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13210 del 3 aprile 2017, resa pubblica mediante deposito in cancelleria il successivo 25 maggio, conferma e fa proprie le ragioni della Corte d'appello. Il punto di partenza, spiegano gli Ermellini, è rappresentato dall'art. 41- sexies della vecchia” legge urbanistica del 1942, peraltro modificata dell'art. 18, Legge 765/1967. La normativa prevede che ogni fabbricato di nuova costruzione sia dotato di una superficie a parcheggio la cui estensione è parametrata alle cubature assentite. Più semplicemente, il costruttore dovrebbe adibire a parcheggio, per ogni 10 metri cubi di costruzione, 1 mq di parcheggio. Ove, come nel caso in esame , le aree inizialmente adibite a parcheggio non vengano effettivamente realizzate, ma vengano effettivamente utilizzate in altro modo per esempio a viabilità o a giardino , i condòmini non possono avanzare alcuna pretesa ripristinatoria. In altre parole, non sarebbe possibile obbligare il costruttore a realizzare effettivamente le aree a parcheggio ma, almeno ipoteticamente, sarebbe possibile una tutela meramente risarcitoria. Il ragionamento è semplice non si può chiedere che venga ripristinato un rapporto giuridico che, di fatto, non è mai venuto ad esistenza. La Cassazione nulla dice in merito ma, chi volesse intraprendere la strada del risarcimento danni, dovrà mettere in conto un ulteriore elemento la prescrizione! La tutela risarcitoria, infatti, per forza di cose, è soggetta al consueto termine prescrizionale.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 3 aprile – 25 maggio 2017, n. 13210 Presidente Mazzacane – Relatore Giusti Fatti di causa 1. - Con atto di citazione del 28 maggio 1984, la società CI-DI Edilizia Immobiliare a r.l. conveniva in giudizio Bo.Gi. , G.G. , L.S. , D.M. , B.T. , Ca.Ri. , Ca.Em. , D.P.F. , V.L. , D.M.M. e Ce.Br. , tutti condomini dello stabile in omissis , nonché il Condominio del medesimo edificio, per sentirli condannare all’immediato rilascio della spazio adibito a parcheggio antistante il fabbricato, nonché al pagamento di una indennità di occupazione, dichiarando che i convenuti non hanno diritto di comproprietà, di servitù, di parcheggio o comunque di uso dello spazio antistante il fabbricato. L’attrice chiedeva in subordine di condannare il Condominio al pagamento del valore dell’area sulla base delle spese sostenute per attrezzarla, da determinare a mezzo di consulenza. I convenuti resistevano in giudizio, chiedendo il rigetto delle pretese avversarie e formulando domanda riconvenzionale affinché fossero riconosciuti i parcheggi vincolati ai sensi della 6 agosto 1967, n. 765, poiché realizzati in forza di licenza edilizia rilasciata dopo il 1 settembre 1967, come richiesto dall’art. 18 della citata legge. All’esito del giudizio, il Tribunale di Roma rese la sentenza n. 10488 dell’8 agosto 1988, con cui condannò i convenuti al rilascio dell’area e al pagamento per ciascuno di Lire due milioni, con gli interessi dalla domanda. Contestualmente dichiarò il B. comproprietario del detto terreno con diritto ad utilizzarla a posto auto, poiché soltanto questi aveva dimostrato in giudizio di avere acquistato l’appartamento con le pertinenze prima del 4 giugno 1973, data di vendita dell’area dalla costruttrice a Cu.Ul. . 2. - La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1004 del 1995, rimetteva la causa al Tribunale di Roma quale giudice di primo grado, stante la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di Cu.Ul. . 3. - Con sentenza in data 16 giugno 2003, il Tribunale di Roma, a parziale modifica della precedente sentenza, dichiarava l’area in questione, di proprietà della CI.DI., soggetta al vincolo legale di destinazione a parcheggio in favore del G. e degli altri litisconsorti, determinando in dodici metri quadri per ciascuno di essi la superficie assoggettata al diritto d’uso, condannando i predetti, con esclusione di B.T. , al pagamento del corrispettivo per il predetto diritto di uso da liquidarsi in separato giudizio, rigettando le ulteriori domande e confermando le altre statuizioni della precedente sentenza n. 10488 del 1988 del medesimo Tribunale. 4. - Contro questa sentenza hanno proposto appello principale la Edil Piazza 14 s.r.l., nuova acquirente dell’area de qua, e appello incidentale il Condominio con D.M.M. , V.L. , A.L. , C.C. , Ca.An. , N.I. , P.M. , T.A. . La Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 23 novembre 2011, in parziale accoglimento dell’appello principale ed in riforma, sul punto, della sentenza gravata, ha condannato il G. , il L. , il D. , il D.P. , il B. , la Ca. , la Ce. , il Bo. , la Ca. , il V. e il D.M. a rilasciare in favore dell’appellante il suolo edificatorio per cui è giudizio, ha rigettato l’appello incidentale, ha confermato nel resto la pronuncia appellata e compensato integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. 4.1. - La Corte d’appello ha rilevato che, secondo le risultanze dell’indagine peritale, il provvedimento concessorio prevedeva la localizzazione degli spazi destinati a parcheggio al piano ingresso dell’edificio, parte in corrispondenza del fabbricato, in una sorta di piano pilotis, e parte in due zone laterali sulle testate dell’edificio. La Corte distrettuale ha poi evidenziato che il fabbricato realizzato risultava diverso da quello rappresentato negli elaborati relativi alla concessione e non presentava aree di sosta veicolare al piano ingresso, e ciò per l’intervento di modifiche in corso d’opera, in assenza, peraltro, di concessioni in variante. La Corte di Roma ha quindi ricordato che, in tema di disciplina legale delle aree destinate a parcheggio, interne o circostanti ai fabbricati di nuova costruzione, ove lo spazio da adibire a parcheggio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a tal fine in corso di costruzione e sia stato impiegato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura diversamente dall’ipotesi in cui allo spazio realizzato conformemente al progetto sia stata data una diversa destinazione in sede di vendita , se possono ravvisarsi a carico del costruttore responsabilità di vario genere, non possono, per contro, individuarsi responsabilità d’ordine privatistico né oneri di ripristino dello status quo ante. Infatti, in tale caso, il bene soggetto ex lege al vincolo pertinenziale il parcheggio non è mai venuto ad esistenza e il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione di esso né può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai venuto ad esistenza, ma semmai solo ad una tutela risarcitoria, in ragione dell’ampio campo applicativo proprio degli artt. 871 e 872 cod. civ., in favore degli acquirenti delle singole unità immobiliari. Per questo, la Corte d’appello ha giudicato errata la sentenza gravata nella parte in cui ha, diversamente, ritenuto di poter individuare l’area asservita sulla scorta di unilaterali manifestazioni di volontà della società costruttrice espresse per il rilascio di ulteriori provvedimenti concessori aventi ad oggetto opere diverse dall’edificio cui l’area avrebbe dovuto essere asservita. 5. - Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello l’A. , il C. , il Ca. e la P. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 9 ed il 10 luglio 2012, sulla base di sei motivi. La società Edil Piazza ha resistito con controricorso. Nessuno degli altri intimati ha svolto attività difensiva in questa sede. In prossimità dell’udienza i ricorrenti e la controricorrente hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1. - Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la nullità insanabile del procedimento di appello per difetto del contraddittorio ex art. 300 e ss. cod. proc. civ. per nullità della notifica dell’atto di appello ai già defunti Fernando D.P. e Bo.Gi. . I ricorrenti rappresentano che l’atto di appello della Edil Piazza è stato notificato il 16 luglio 2004 al D.P. presso il procuratore costituito in primo grado, mentre il destinatario era già deceduto in data 15 agosto 2000 nel corso del giudizio di primo grado e fanno presente che anche il Bo. è deceduto l’ omissis , nel corso del giudizio di primo grado. 1.1. - Il motivo è infondato. Nel giudizio di primo grado Fernando D.P. e Bo.Gi. erano costituiti a mezzo del loro difensore, l’Avv. Antonio Di Silvestro, munito di procura per i gradi di merito, e poiché il loro decesso non è stato dichiarato né notificato nel corso del giudizio di primo grado, correttamente l’appello è stato notificato presso il loro difensore munito di procura. Difatti, in caso di morte della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata rispetto alle altre parti ed al giudice nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione. Tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex art. 300, quarto comma, cod. proc. civ. Cass., Sez. Un., 4 luglio 2014, n. 15295 . 2. - Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 765 del 1967 e degli artt. 1362, 1363 e 1367 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Sostengono i ricorrenti che per la costituzione del vincolo di destinazione degli spazi a parcheggio non serve alcuna variante e nella licenza del 1968 i parcheggi non erano al piano pilotis ma la stessa licenza era condizionata alla realizzazione dei parcheggi e la condizione è stata osservata dal costruttore con l’acquisto del terreno necessario alla loro realizzazione. In particolare - si rileva - la licenza è del maggio 1968, l’acquisto del terreno da parte della costruttrice è del 5 agosto 1970, mentre l’abitabilità è stata concessa solo successivamente, il 13 agosto 1970, quando la P.A. ha verificato l’adempimento della condizione posta con la licenza. 2.1. - Il motivo è infondato. La Corte d’appello si è correttamente attenuta al principio secondo cui, in tema di spazi riservati a parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo dall’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967, è subordinato alla condizione che l’area scoperta esista e non sia stata adibita a un uso incompatibile con la sua destinazione qualora lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di costruzione e sia stato invece utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non può farsi ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai sorto, ma semmai a quella risarcitoria, atteso che il contratto di trasferimento delle unità immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione dello stesso Cass., Sez. II, 22 febbraio 2006, n. 3961 Cass., Sez. II, 7 maggio 2008, n. 11202 . I ricorrenti contestano l’applicazione di questo principio, negando che nella licenza del 1968 i parcheggi fossero al piano pilotis e sostenendo che il provvedimento abilitativo era subordinato alla realizzazione dei parcheggi. Ma si tratta di deduzione generica, che non tiene conto della circostanza che il riconoscimento giudiziale del diritto reale di uso degli spazi destinati a parcheggi può avere ad oggetto soltanto le aree che siano destinate allo scopo di cui si tratta nei provvedimenti abilitativi all’edificazione, senza possibilità di ubicazioni alternative Cass., Sez. Il, 11 febbraio 2009, n. 3393 . E, sotto questo profilo, il motivo non spiega come il terreno esterno al lotto ove è avvenuta l’edificazione, acquistato da parte dell’impresa costruttrice nell’agosto del 1970, avesse una destinazione riservata a parcheggio già secondo la licenza del 1968 non spiega, cioè, come la suddetta area risultasse vincolata in base al progetto definitivo relativo alla licenza di costruzione del 1968. D’altra parte, la Corte d’appello ha escluso, con congruo e motivato apprezzamento delle risultanze di causa, privo di mende logiche e giuridiche, che l’asservimento di tale area possa derivare da unilaterali dichiarazioni del costruttore rivolte al rilascio di ulteriori provvedimenti abilitativi aventi ad oggetto nuove opere, diverse dall’edificio cui l’area avrebbe dovuto essere funzionalmente destinata e ciò dopo avere accertato, in punto di fatto, sulla scorta dell’indagine compiuta dal tecnico incaricato, che il progetto originario per la costruzione dell’edificio ed il provvedimento concessorio prevedevano la localizzazione degli spazi destinati a parcheggio all’interno dello stesso lotto edificando in una sorta di piano pilotis e, in parte, in due zone laterali sulle testate dell’edificio . 3. - Il terzo motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. l della legge n. 241 del 1990, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia denuncia che la sentenza impugnata sia contraria ai principi dell’ordinamento, ad una lettura costituzionalmente orientata delle norme in esame, ai principi di buona amministrazione, di legalità, di efficacia e ragionevolezza del suo andamento, ledendo gravemente il legittimo affidamento insorto tra i condomini, siccome scaturito dalla licenza edilizia rilasciata dal Comune di omissis . 3.1. - Il motivo è inammissibile per la sua genericità. L’invocazione di principi generali dell’ordinamento e della norma costituzionale sul buon andamento della pubblica amministrazione non è, da sola, sufficiente a surrogare l’accertata carenza del presupposto di fatto dell’invocata tutela, consistente nella esistenza del vincolo a parcheggio dell’area in contestazione sulla base del progetto e dei provvedimenti abilitativi all’edificazione. 4. - Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano nullità della sentenza di secondo grado art. 111 Cost., 132 e 161 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. , violazione dell’art. 18 della legge n. 765 del 1967, dell’art. 26 della legge n. 47 del 1985 e degli artt. 817 e 818 cod. civ. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. La sentenza d’appello sarebbe nulla per mancanza ed insufficienza di motivazione e per la mancata indicazione delle norme di legge e dei principi di diritto applicabili alla fattispecie. La sentenza avrebbe errato a non riconoscere la proprietà pro quota dell’area anche ad Ca.An. e A.L. , originaria comproprietaria, intervenuta nel giudizio di appello, i quali - si deduce - hanno acquistato l’appartamento, con ogni pertinenza, prima che l’area a parcheggio fosse venduta separatamente dal costruttore al Cu. e pertanto non hanno diritto all’uso in forza del vincolo ex lege, ma hanno diritto, come riconosciuto in primo grado a B. e Ca. , alla stessa proprietà, nella misura di legge oltre lo spazio di manovra, dell’area prospiciente l’immobile e adibita a parcheggio. 4.1. - Il motivo è inammissibile. Esso cumula indistintamente vizio di nullità della sentenza di secondo grado per difetto di motivazione, error in indicando sotto il profilo sia della disciplina legale delle aree destinate a parcheggio sia della disciplina codicistica in tema di pertinenze, e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, senza che, neppure dalla illustrazione del motivo, sia possibile distinguere, dal complessivo coacervo, la doglianza riferibile alla nullità della sentenza, alla interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie, o ai profili attinenti alla ricostruzione del fatto. La censura si risolve, d’altra parte, nella richiesta della costituzione di un vincolo pertinenziale che in realtà, in base alla sentenza della Corte d’appello, non è mai venuto ad esistenza. Ed inoltre la doglianza sul punto è articolata senza riportare le clausole del contratto di acquisto che sarebbero dimostrative dell’esistenza del vincolo pertinenziale sull’area in contestazione e che il giudice del merito avrebbe male o insufficientemente valutato. 5. - Il quinto motivo è rubricato nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 18 della legge n. 765 del 1967, 1374 cod. civ. e 817 e ss. cod. civ., nonché nullità della sentenza per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Erroneamente la sentenza di secondo grado avrebbe confermato il capo 2 del dispositivo della precedente sentenza del Tribunale, ponendo a carico degli appellanti incidentali un indennizzo per il trasferimento del diritto d’uso, indennizzo non dovuto, in quanto il venditore non si è espressamente riservato la proprietà esclusiva degli spazi destinati a parcheggio nei rispettivi contratti di compravendita , stabilendo poi, al capo 3 del dispositivo, a carico degli appellanti incidentali un duplice indennizzo anche per la prolungata occupazione degli spazi destinati a parcheggio . 5.1. - Il motivo è inammissibile. La censura si rivolge in realtà contro la sentenza del Tribunale, mentre, a seguito della sentenza d’appello, è venuto meno il censurato duplice indennizzo , perché la Corte di Roma ha mantenuto ferma la condanna al pagamento dell’indennizzo per l’occupazione capo 3 della sentenza di primo grado , mentre - non avendo riconosciuto il diritto reale all’uso degli spazi sull’area in questione da parte degli acquirenti delle singole unità immobiliari - ha con ciò escluso la debenza di alcun corrispettivo per il riconoscimento giudiziale dello stesso. 6. - Il sesto mezzo lamenta nullità della sentenza per violazione dell’art. 1418 cod. civ. e per omessa pronuncia sulla domanda di nullità del contratto di trasferimento tra il Cu. e la Erre.Ci.Immobiliare, per omessa e insufficiente motivazione e per contraddittorietà della stessa. La sentenza di primo grado, confermata in appello, dichiarando il B. proprietario dell’area a parcheggio, avrebbe dovuto dichiarare, quale conseguenza necessaria, la nullità parziale del successivo contratto citato con il quale la Er-re.Ci.Immobiliare ha illegittimamente ceduto l’area comprensiva del diritto di proprietà del B. e della Ca. nonché del Ca. e della A. . 6.1. - Il motivo è inammissibile. Si tratta di questione non affrontata nel giudizio di appello e i ricorrenti non riportano - in violazione del principio di specificità discendente dalle prescrizioni formali dettate dall’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. - la deduzione difensiva con la quale hanno sottoposto al giudice del gravame la questione stessa. 7. - Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.700, di cui Euro 2.500 per compensi, oltre a spese generali e accessori di legge.