Il sottotetto è sempre pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano?

Il sottotetto, se risulta destinato, anche solo potenzialmente, all’uso comune o all’esercizio di un servizio comune, ricade nella disciplina ex art. 1117 c.c. parti comuni dell’edificio .

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11184/17 depositata l’8 maggio. Il caso. La proprietaria di un appartamento, collocato all’ultimo piano e facente parte di un condominio, aveva occupato una parte del sottotetto del fabbricato realizzando una scala interna, dopo aver praticato un’apertura nella soletta. La Corte d’appello accoglieva le domande del condominio, dichiarando la natura condominiale del sottotetto, nonché l’illegittimità delle opere eseguite dalla condomina, condannando quest’ultima al ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento del danno. Essa ricorreva in Cassazione, lamentando sia l’erronea interpretazione degli atti negoziali prodotti, relativamente alla natura giuridica del sottotetto e al titolo, sia la presunzione indimostrata di un danno subito dal Condominio, ritenuto esistente in re ipsa dal giudice di merito. La natura del sottotetto. Il primo motivo, a detta della Corte di Cassazione, non è fondato. Ai sensi dell’art. 1117, comma 1, c.c., nella formulazione dell’epoca dei fatti anteriori rispetto a quella introdotta dalla l. n. 220/2012 , costituiscono parti comuni dell’edificio, se il contrario non risulta dal titolo, il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, etc., e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune . Criterio principale, quindi, è la presenza o assenza di titoli. Solo in difetto di questi ultimi, il sottotetto può dirsi comune, se risulti destinato, anche solo potenzialmente, all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune . Se, invece, l’esclusiva funzione che riveste è quella di isolare e proteggere l’appartamento sottostante dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria , e se non è dotato di dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo , allora può considerarsi pertinenza di tale appartamento. La ricorrente non è riuscita a dimostrare, inoltre, che all’atto d’acquisto il sottotetto sia stato trasferito in proprietà alla stessa. Il danno in re ipsa. Per quanto attiene al secondo motivo, invece, come deciso in sentenza n. 19215/16 l’utilizzazione in via esclusiva di un bene comune da parte del singolo condomino in assenza del consenso degli altri condomini, ai quali resta precluso l’uso, anche solo potenziale, della res , determina un danno in re ipsa , quantificabile in base ai frutti civili tratti dal bene dall’autore della violazione . Anche questa doglianza, quindi non trova accoglimento presso la Suprema Corte. Per questi motivi il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 marzo – 8 maggio 2017, n. 11184 Presidente Bianchini – Relatore Lombardo Fatti di causa 1. - La vicenda oggetto della causa trae origine dai lavori con i quali M.L.C. , proprietaria di un appartamento all’ultimo piano facente parte del Condominio dell’edificio di via omissis , occupò una parte del sottotetto del fabbricato, ponendolo in collegamento col proprio appartamento attraverso una scala interna realizzata praticando un’apertura nella soletta del detto sottotetto. 2. - La Corte di Appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, accogliendo le domande proposte dal Condominio nei confronti della M. , dichiarò la natura condominiale del sottotetto e l’illegittimità delle opere eseguite dalla M. , condannando quest’ultima alla rimozione di tali opere, al ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento del danno liquidato in Euro 4.000,00 . 3. - Per la cassazione della sentenza di appello ricorre M.L.C. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il Condominio dell’edificio di via omissis . La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 1. - Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. , nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. , per avere la Corte di Appello erroneamente interpretato gli atti negoziali prodotti atto costitutivo del condominio, regolamento contrattuale condominiale, titoli di provenienza della proprietà della M. , pervenendo così alla conclusione del difetto di un titolo che stabilisse la natura giuridica del sottotetto e della necessità di fare ricorso al criterio sussidiario della destinazione oggettiva del bene all’uso comune. Il motivo non è fondato. Va premesso che la fattispecie per cui è causa è soggetta, ratione temporis , alla disciplina di cui all’art. 1117, primo comma, n. 1 cod. civ. nel testo anteriore a quello introdotto dalla legge 11/12/2012 n. 220, a tenore del quale costituiscono parti comuni dell’edificio, se il contrario non risulta dal titolo, il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, etc., e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune . Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, in tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato anche solo potenzialmente all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune. Il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo Cass., Sez. 6 - 2, n. 17249 del 12/08/2011 . In particolare, per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicché, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato anche solo potenzialmente all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, può applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117, comma 1, cod. civ. viceversa, allorché il sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, va considerato pertinenza di tale appartamento Cass., Sez. 2, n. 6143 del 30/03/2016 Sez. 2, n. 24147 del 29/12/2004 Sez. 2, n. 8968 del 20/06/2002 . Nella specie, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi di diritto. Prima i giudici di merito hanno motivatamente escluso che i titoli prodotti dalle parti attribuissero la proprietà del sottotetto alla M. . Sul punto, i giudici hanno sottolineato che, seppure dai titoli non risulta che il sottotetto dell’edificio sia di proprietà comune dei condomini, dall’atto di acquisto della M. non risulta affatto che il sottotetto sia stato trasferito in proprietà alla stessa. Le doglianze mosse in proposito dalla ricorrente si risolvono in censure di merito relative all’interpretazione di atti negoziali, interpretazione che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità, quando - come nella specie - non risultano violati i canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 e segg. cod. civ. e la motivazione della sentenza impugnata nella specie esaustiva cfr. p. 2-3 è esente da errori logici e giuridici cfr., ex multis, Cass., Sez. L, n. 17168 del 2012 Sez. 2, n. 13242 del 2010 . Una volta escluso che dai titoli possa ricavarsi la proprietà del sottotetto, esattamente i giudici di merito hanno fatto applicazione del criterio sussidiario della destinazione del bene dettato dall’art. 1117 primo comma n. 1 cod. civ. nel testo vigente ratione temporis , ritenendo il sottotetto di proprietà condominiale per il fatto di essere destinato all’uso comune tale uso comune i giudici di merito hanno dedotto dal fatto che il locale è costituito da un unico spazio comune compreso tra la scala A e quella B, con accesso dalla scala condominiale e dal fatto che in esso sono collocate tubazioni condominiali, parti dell’impianto condominiale di riscaldamento centralizzato e dell’antenna centralizzata TV, nonché il vano tecnico dell’ascensore installato nella scala B . La statuizione della sentenza impugnata sul punto è conforme alla giurisprudenza di questa Corte e risulta esente dai dedotti vizi di legittimità. 2. - Il secondo motivo - col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. , nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. , per avere la Corte di Appello omesso di dichiarare il difetto di legittimazione attiva del condominio, senza considerare che quest’ultimo aveva esercitato l’azione di rivendicazione relativamente ad una porzione di stabile esclusa dalle parti comuni - rimane assorbito nel rigetto della prima censura. 3. - Col terzo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. , per avere la Corte di Appello condannato la M. al risarcimento del danno per l’occupazione del sottotetto, in assenza della prova di qualsiasi pregiudizio economico ed erroneamente ritenendo che il danno fosse in re ipsa . La censura non è fondata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, l’utilizzazione in via esclusiva di un bene comune da parte del singolo condomino in assenza del consenso degli altri condomini, ai quali resta precluso l’uso, anche solo potenziale, della res , determina un danno in re ipsa , quantificabile in base ai frutti civili tratti dal bene dall’autore della violazione Sez. 2, n. 19215 del 28/09/2016 . Sul punto, va precisato che, a seguito della occupazione illegittima della cosa comune da parte di un condomino, le facoltà dominicali del condominio possono risultare compromesse sia per il venir meno di un pregresso godimento del bene, sia per l’impossibilità di trarre in futuro dalla res le utilità che la stessa è idonea a produrre in base a calcoli di tipo figurativo. Tale danno, qualificabile in entrambi i casi come lucro cessante interrotto o impedito , in tanto ricorre in quanto la parte comune sia suscettibile di utilizzazione e sia di natura potenzialmente fruttifera, potendosi da essa ricavare una utilità. Nella specie, la Corte territoriale si è adeguata al richiamato principio di diritto ed ha verificato la natura potenzialmente fruttifera del locale occupato dalla M. . Esattamente, perciò, ha ritenuto la sussistenza del danno in re ipsa , peraltro liquidato in misura minima, neppure contestata dalla ricorrente. 4. - Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo. 5. - Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, applicabile ratione temporis essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013 , sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 tremila per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.