La veduta è tale solo se consente all’uomo medio di affacciarsi

Al fine di riconoscere la natura di veduta” alle aperture, la possibilità di affacciarsi e guardare sul fondo del vicino in ogni direzione deve essere agevole e non deve obbligare la persona ad assumere posizioni innaturali, scomode o inusuali secondo il parametro di comune esperienza dell’altezza di un uomo medio.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9994/17 depositata il 20 aprile. Il caso. La Corte d’appello di Venezia, in riforma della sentenza del giudice di prime cure, rigettava la domanda proposta ex art. 904 c.c. dell’attrice prospettando l’esercizio di due vedute arbitrariamente chiuse dalla controparte con un innalzamento del livello della corte. Dalla CTU era infatti emerso che le due aperture non costituivano in realtà delle vedute, ma delle luci irregolari. La sentenza viene impugnata in Cassazione dall’originaria attrice deducendo il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta natura di luce irregolare delle due aperture. Inspicere e prospicere. La Corte di Cassazione condivide l’argomentazione fornita dal giudice d’appello nel negare la natura di vedute delle due aperture oggetto di giudizio, la cui inadeguatezza ad un comodo esercizio di veduta è stata accertata dal CTU. Depongono in tal senso le dimensioni ed il posizionamento delle finestre la prima posta a 110 cm dal suolo, con una larghezza di 24 cm e un’altezza di 35 cm, la seconda posizionata a 85 cm dal suolo, larga 52 cm e alta 60 in relazione alla corporatura media di un uomo che renderebbero quantomeno incomodo l’atto dell’ inspicere e del prospicere . L’art. 900 c.c. infatti, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, riconosce la natura di vedute alle aperture che consentono con comodità di affacciarsi sul fondo del vicino e di guardare davanti, in alto, in basso e lateralmente, considerando la non comodità” come derivante dalla necessità di avvalersi di supporti strumentali o dalla intrinseca difficoltà di affacciarsi e guardare senza assumere posture innaturali, difficoltose o, addirittura, rischiose . Gli Ermellini aggiungono che, dall’esperienza comune, deriva che un uomo, anche se di bassa statura, per affacciarsi ad un’apertura posizionata a 110 cm dal suolo come in una delle due finestre oggetto di contesa e dunque a maggior ragione per quella posta a 85 cm deve prendere una posizione platealmente e scomodamente curva, che se può consentirgli una qualche visione diretta, tuttavia, rende la rotazione del capo e l’affaccio palesemente inusuali o scomodi , con conseguente fatica nel tenere quella posizione che non sarebbe comunque possibile protrarre per lungo tempo. Per questi motivi la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 febbraio – 20 aprile 2017, n. 9994 Presidente Migliucci – Relatore Grasso I fatti di causa La Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata 11 luglio 2011, in riforma della sentenza emessa il 31 maggio 2004 dal Tribunale di Belluno, rigettò la domanda avanzata da T.Z. nei confronti di Tr.Pi. , con la quale, prospettando l’esercizio di due vedute, arbitrariamente chiuse dalla controparte, la quale aveva innalzato il livello della corte, aveva agito ai sensi dell’articolo 904, cod. civ La Corte d’appello rigettò la domanda, andando di contrario avviso rispetto al Tribunale, stante che a seguito della riaperta istruttoria, in seno alla quale era stata svolta CTU, era emerso che le due aperture non avevano le caratteristiche della veduta, bensì della luce irregolare. Avverso la statuizione d’appello ricorre la T. , prospettando due motivi di censura. Resiste con controricorso la Tr. . All’approssimarsi dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione Con il primo motivo la ricorrente deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo. Si assume che la motivazione con la quale era stata esclusa la natura di veduta delle due aperture era in parte controvertibile, in quanto opinabile, per altra parte, non teneva conto delle plurime testimonianze acquisite. Quanto al primo profilo, la Corte locale aveva negato che le due aperture consentissero inspectio e prospectio assumendo a fondamento le conclusioni del CTU e considerata la allocazione delle predette a circa 110 e 85 cm dal pavimento e della loro dimensione una, larga 24 cm ed altra 35 cm e l’altra, larga 52 cm ed altra 60 cm . Senza tenere conto che simili finestre, le quali consentivano comunque di affacciarsi agevolmente, senza l’aiuto di supporti artificiali, erano abbastanza diffuse nei fabbricati di montagna, peraltro, presentavano misure abbastanza prossime a quelle adottate per gli edifici moderni. Quanto all’altro profilo, la sentenza non aveva considerato le dichiarazioni rilasciate dai testi S.A. , R.D. , B.G. e P.L.A. , le quali avevano concordemente affermato che dalle aperture in parola era possibile vedere sia frontalmente, che lateralmente, ed altresì affacciarsi. Con il secondo motivo la T. denunzia la violazione di non meglio specificate norme di diritto, in relazione all’articolo 360, numero 3, cod. proc. civ La ricorrente dopo aver ricordato, che a mente dell’articolo 900, cod. civ. è necessario che la finestra consenta inspectio e prospectio , senza che entrambe le possibilità siano esercitabili in maniera disagevole, ha espresso l’opinione che prospicere in alienum non significa sporgersi con tutto il busto fuori dall’apertura , bensì esclusivamente di affacciarsi a guardare anche lateralmente, attività per la quale è sufficiente affacciarsi con il viso . Di conseguenza, la Corte territoriale aveva errato nel ritenere che l’affaccio implicasse di necessità lo sporgersi con il corpo. Senza contare che dalla finestra più grande era ben possibile anche sporgersi con il busto. Entrambe le censure, da scrutinare unitariamente a cagione della loro connessione, sono radicalmente destituite di fondamento. La inadeguatezza delle due finestre a consentire un comodo esercizio di veduta appare indiscutibilmente conclamato dall’accertamento del CTU, nonché, peraltro dal dimensionamento e dalla collocazione delle predette, che ha permesso alla Corte di merito di svolgere un ineccepibile ragionamento logico, sulla base del quale, tenendo conto dell’altezza e della corporatura media di un uomo sarebbe risultato quanto meno incomodo l’atto dell’ inspicere e del prospicere . In particolare non risponde alla conforme pluridecennale interpretazione dell’articolo 900, cod. civ., elaborate in sede di legittimità la tesi dedotta in ricorso. Laddove deve ritenersi considerazione acquisita che la non comodità deriva non soltanto dalla necessità di avvalersi di supporti strumentali, al fine di consentire l’affaccio e la possibilità di guardare liberamente in avanti, in alto, in basso e lateralmente, ma anche dalla difficoltà intrinseca di far luogo a tale attività, senza assumere posture innaturali, difficoltose o, addirittura, rischiose. Nella specie, e di tutta evidenza, per esperienza comune, che un uomo, anche di bassa statura, per affacciarsi da una apertura posta a 110 cm dal suolo ancor più, ovviamente a 85 cm deve prendere una posizione platealmente e scomodamente curva, che se può consentirgli una qualche visione diretta, tuttavia, rende la rotazione del capo e l’affaccio palesemente inusuali e scomodi. Di talché, a tutto concedere, non potrebbe che trattarsi di assunzione posturale protraibile a fatica e solo per un tempo assai breve, con sforzo e senza alcuna comodità. A ciò, deve aggiungersi l’angustia dell’apertura, che, addirittura, in un caso, consentirebbe appena di introdurre la testa fra le tante, si segnalano per l’assimilabilità della fattispecie, almeno quanto ad altezza dal suolo - in un caso, 90 cm e nell’altro, 120 - Sez. 2, n. 18910, 5/11/2012, Rv. 624113 Sez. 2, n. 4015, 977/1984, Rv. 435985 . Infine, a tutto concedere, stante l’oggettivo apprezzamento dei luoghi, le dichiarazioni dei testimoni, debbono qualificarsi delle mere soggettive opinioni come si è accennato non basta che sia possibile vedere il fondo altrui , non idonee a sconfessare la non rispondenza delle predette aperture alla veduta, per mancanza dei requisiti giuridici previsti dalla legge. In definitiva la decisione censurata risulta esente dai lamentati vizi logici ed ha fatto corretta applicazione dell’articolo 900, cod. civ., siccome interpretato da questa Corte. Le spese legali seguono la soccombenza e, tenuto conto del valore della causa, della sua natura e delle attività svolte, le stesse vanno liquidate siccome in dispositivo in favore della resistente. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della resistente, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.