La tutela delle parti comuni spetta indistintamente a tutti i condomini

Tutti i condomini sono legittimati ad agire in giudizio per tutelare la proprietà condominiale del sottotetto e la loro assenza dal giudizio non assume valore confessorio.

Con la sentenza n. 7544 del 23 marzo 2017 la II Sezione della Corte di Cassazione svolge alcune importanti considerazioni in materia di diritto condominiale e in particolare sull’annoso tema dell’appartenenza ai beni condominiali del sottotetto. Il fatto e i giudizi di merito. La questione oggetto della sentenza sopra menzionata verte sul giudizio azionato dai condomini di uno stabile che, in opposizione alle pretese di un altro condomino che affermava che il sottotetto fosse di sua esclusiva proprietà, avevano agito in giudizio al fine di tutelare il condominio. Resisteva in giudizio il condomino succitato, il quale fermamente sosteneva come il sottotetto fosse di sua proprietà esclusiva. Il Tribunale, all’esito del giudizio di primo grado, dava ragione ai condomini procedenti. Il convenuto, quindi, appellava la predetta sentenza, ma la Corte d’appello confermava l’esito del processo di prime cure. Il condomino ricorre in cassazione. Con un ricorso articolato in ben nove motivi di doglianza, il soccombente ricorreva in Cassazione al fine di vedere sovvertito l’esito dei giudizi di merito. Nel proprio atto, in buona sostanza, egli sottolineava come egli fosse unico proprietario del sottotetto, anche in virtù di autodichiarazione effettuata presso un notaio al fine di giovarsi di alcuni sgravi fiscali per lavori di manutenzione volti ad ottenere l’abitabilità del sottotetto. Il ricorrente, inoltre, riteneva come i giudici di merito avessero errato nell’estendere il proprio contraddittorio a tutti i restanti condomini del palazzo, stante il fatto che i condomini proprietari di appartamenti siti ai piani inferiori non avevano manifestato interesse a costituirsi in giudizio, e a non valutare l’assenza degli stessi come un implicito riconoscimento delle ragioni del ricorrente. Con ulteriore motivo di doglianza, poi, il succitato sottolineava come nessun comproprietario accedesse mai al sottotetto, che quindi egli avrebbe posseduto con possesso ininterrotto e alla luce del giorno. La Corte di Cassazione rigetta tutti i motivi di ricorso. Con una sentenza decisamente tranchant la Cassazione rigetta tutti i motivi di ricorso proposti dal ricorrente sulla base dei ragionamenti di seguito riportati. In prima battuta, la Corte sostiene la mancanza di pregio dell’eccezione relativa alla legittimazione attiva dei condomini e alla loro mancata costituzione in giudizio. In tema di parti condominiali, infatti, la tutela delle parti comuni spetta indistintamente a tutti condomini, siano essi proprietari di appartamenti anche siti in parti dello stabile fisicamente distanti dalla parte in questione. Nel caso in oggetto alcuni chiamati, pur legittimati, avevano deciso di non comparire in giudizio. Tuttavia, secondo la Corte, la mancanza di interesse nel giudizio non era da interpretarsi come un’ammissione del diritto vantato dal ricorrente, come dallo stesso affermato, e non aveva alcun valore confessorio. Priva di valore, inoltre, sarebbe stata la circostanza della dichiarazione unilaterale mossa dal ricorrente al notaio in quanto detta dichiarazione era stata resa al fine di rendere abitabile il sottotetto, ma non sarebbe stata rilevante nel giudizio de quo , ove la questione verteva sulla proprietà dello stesso privata o condominiale e non sulla sua abitabilità. Da ultimo anche il motivo concernente il mancato accesso degli altri condomini al sottotetto risultava priva di rilevanza nel giudizio. Specificava la Suprema Corte, infatti, come lo stesso ricorrente avesse impedito l’accesso agli altri condomini al sottotetto, ma in ogni caso la presenza di caldaie e strumenti tecnologici all’interno del sottotetto aveva comunque consentito di affermare l’interesse di tutti i condomini alla qualifica di parte comune del sottotetto. All’esito del giudizio, quindi, la Cassazione rigettava il ricorso e – ritenuto soccombente il ricorrente – condannava lo stesso alla refusione delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 gennaio – 23 marzo 2017, n. 7544 Presidente Migliucci – Relatore Grasso Fatti di causa Con sentenza n. 5362/08 il Tribunale di Torino, accogliendo la domanda avanzata da T.D. , +Altri , dichiarò la proprietà condominiale del locale sottotetto dell’edificio, anche nella parte sovrastante l’appartamento, sito all’ultimo piano, di proprietà di C.P. porzione di sottotetto che il convenuto aveva trasformato in mansarda ad uso esclusivo. Con sentenza depositata il 17/6/2011 la Corte d’appello di Torino rigettò l’impugnazione proposta da C.P. . Avverso la sentenza d’appello il C. ricorre per cassazione. Resistono con controricorso T.D. , +Altri non hanno svolto difese. Non hanno, del pari, svolto difese Ba.Er. , +Altri terzi chiamati appellati . Hanno depositato memorie illustrative sia il ricorrente, che i resistenti. Ragioni della decisione Con il primo ed il secondo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 100 - 112, cod. proc. civ. e 2697, cod. civ. Secondo il C. la Corte locale aveva errato nel ritenere che l’estensione del contraddittorio, operata dal Tribunale, nei confronti di tutti i condomini dovesse considerarsi inutile. Tenuto conto della peculiare struttura dell’edificio i chiamati avevano dichiarato di non avere interesse alla contesa. Quindi non si era in presenza di un difetto di legittimazione, ma della manifestazione, nel merito, della mancanza d’interesse a contraddire la domanda del C. . Con la conseguenza che l’adesione dei medesimi avrebbe dovuto essere valutata come una confessione, sia pure, se del caso, extragiudiziale e, allo stesso tempo, importare la carenza di legittimazione anche in capo agli attori principali. L’esposta doglianza è radicalmente priva di giuridico fondamento. La circostanza che un gruppo di condomini, le cui unità abitative facciano parte di una diversa parte del complesso condominiale, abbiano ritenuto di non avere interesse alla contesa, che perciò sono stati giudicati carenti di legittimazione, non implica affatto che un tale giudizio mancanza di interesse debba estendersi al resto dei condomini, che invece, detto interesse hanno prospettato di avere. Né risponde a canoni interpretativi logicamente apprezzabili affermare che la dichiarazione di mancanza di interesse equivalga ad aderire alla tesi del ricorrente, assumendo valore confessorio. Con il terzo motivo il ricorrente allega violazione dell’art. 1117, cod. civ., in quanto il sottotetto, se diversamente non risulti dal titolo, si appartiene ai proprietari dell’ultimo piano, quale pertinenza, salvo l’utilizzazione, anche solo potenziale, da parte del condominio. In quest’ultimo caso, precisa il C. , non può che farsi riferimento alla funzione specifica assolta dal sottotetto. La Corte di merito non aveva considerato che l’art. 5 del regolamento condominiale attribuisce ai proprietari dell’ultimo piano la facoltà di sopraelevare, con la conseguenza, quindi, di avere la disponibilità del sottotetto. La doglianza è infondata. Anche a volere, per ragioni espositive, solo per un momento, omettere di considerare che la circostanza è priva di autosufficienza, non constando che della facoltà edificatoria in parola si discorre nella sentenza impugnata, la prospettazione è, in ogni caso, priva di effettiva efficacia avversativa. Invero, pur ove i condomini dell’ultimo piano esercitino una tale facoltà, vi sarà sempre un volume sottotetto, sull’appartenenza del quale discorrere, senza che la sopraelevazione importi il mutamento del ragionamento in alcun modo. Con il quarto motivo viene denunziata la violazione degli artt. 1117, 817, 2652, n. 6, cod. civ., 3-6 della legge della Regione Piemonte n. 21 del 6/8/1998. Chiarisce il C. di aver provveduto, in applicazione della predetta legge, la quale stabilisce agevolazioni economiche in caso di trasformazione abitativa del sottotetto, a trascrivere presso la Conservatoria dei RR. II. La dichiarazione unilaterale resa davanti al notaio, nella quale si afferma proprietario esclusivo del locale. Con il quinto motivo, deducente violazione dell’art. 2652, n. 6, cod. civ. e 324-336, cod. proc. civ., si assume sussistere, in relazione a quanto esposto nel motivo che precede, la presunzione legislativa di pertinenzialità del sottotetto, che avrebbe potuto essere posta in contestazione solo impugnando la trascrizione di cui s’è detto. Gli esposti motivi 4 e 5, fra loro osmotici, esaminati unitariamente, non meritano di essere accolti. Non assume rilievo e pertinenza di sorta l’evocazione della legge regionale sopra richiamata. Invero la circostanza che il proprietario possa procedere alla trasformazione del sottotetto in locale abitabile non risolve di certo la questione per cui è causa. Qui il punto controverso è proprio attinente alla titolarità del diritto proprietario. Titolarità che non può di certo essere attribuita al ricorrente per il mero fatto che abbia acceduto alla pratica amministrativa prevista dalla normativa regionale. Né tantomeno concludente appare il richiamo alla trascrizione di un atto unilaterale proveniente dallo stesso soggetto, che chiede di valersi del regime amministrativo agevolato, autoproclamandosi proprietario esclusivo. Con il sesto motivo il C. si duole della violazione degli artt. 2727 e seg., cod. civ., in relazione all’art. 5 del regolamento condominiale e alla legge regionale di cui sopra, affermando essere stata violata la regola del più probabile che non , potendo essere praticabile una ricostruzione alternativa favorevole al ricorrente, altrettanto plausibile di quella avversa. Ritiene il ricorrente che la Corte di Torino avrebbe dovuto reputare più probabile che non la funzione di esclusivo asservimento della porzione di sottotetto soprastante l’appartamento del ricorrente, essendo destinata a coibentare e proteggere lo stesso, e, comunque, escludersi l’utilizzazione condominiale. Trattasi di doglianza inammissibile in quanto priva di specificità. Invero, la stessa si limita a protestare la propria non condivisione della scelta operata dalla Corte locale, senza contrapporre ad essa reali ed efficaci argomenti, diretti a scardinarne la tenuta. Con il settimo motivo, si denunzia la violazione degli artt. 1102, 1139 e 1117, cod. civ. Le affermazioni di cui in sentenza, secondo le quali vi era una destinazione funzionale del sottotetto ai servizi condominiali collocamento d’impianti comuni , con l’ulteriore conseguenza che a nessun condomino veniva consentito di godere a titolo personale del predetto volume, a parere del ricorrente, non tenevano conto della pianta dell’edificio e, quindi, del fatto che solo in relazione ad alcune aree dello stesso potevasi affermare la destinazione collettiva, mentre in corrispondenza dell’appartamento del medesimo ciò non potevasi sostenere. In altri termini non poteva considerarsi bastevole l’astratta potenzialità, occorrendo la prova della destinazione del locale in parola a scopi comuni. In ogni caso, soggiunge, poi, il C. , ogni singolo condomino può fare un uso più intenso delle parti comuni, non potendosi intendere che esista corrispondenza fra pari uso e uso identico. L’atteggiamento dei condomini avversari corrisponde ad un uso, nella sostanza, abusivo del processo, perché costoro nessuna utilità particolare traevano da quel trancio di sottotetto. Il motivo non merita accoglimento. Il ricorrente contesta l’uso condominiale, assumendo la sussistenza di un uso individuale, in contrasto con le emergenze probatorie, ben evidenziate dalla sentenza impugnata. Sentenza la quale ha spiegato, sulla base delle acquisizioni probatorie, l’uso condominiale del sottotetto, reso peraltro evidente, dal divieto di accesso allo stesso da parte dei singoli condomini, reso effettivo attraverso l’attivazione del portiere, il quale solo per comprovate e transitorie ragioni poteva temporaneamente far accedere al sottotetto i singoli condomini. L’affermazione, poi, secondo la quale la sentenza non avrebbe preso atto che l’uso condominiale aveva riguardato solo una parte del sottotetto risulta apodittica e non autosufficiente. L’accusa, poi, di abuso del processo è, a dir poco, inconferente a prescindere dall’esito del processo, che la sconfessa radicalmente, in quanto ogni singolo condomino ha il diritto di tutelare la cosa comune, senza che rilevi la collocazione della sua unità abitativa all’interno dell’edificio. Infine, è appena il caso di soggiungere, l’uso più intenso che il singolo condomino può fare della cosa condominiale certamente non può risolversi nell’escludere totalmente dal godimento di una delle parti comuni il condominio e, quindi, gli altri condomini. Non è dubbio, infatti, che l’uso più intenso della cosa comune alla quale fa riferimento il ricorrente importa, appunto, che fermo restando la fruizione condominiale di quella parte, il singolo condomino, che con essa venga a trovarsi in una situazione di particolare prossimità, può goderne con particolare intensità, senza, tuttavia, si ripete, mutarne la destinazione e negarne la natura comune. Questa Corte ha già affermato più volte che la nozione di uso della cosa comune cui fa riferimento l’art. 1102, cod. civ. - che in virtù del richiamo contenuto dell’articolo 1139 cod. civ. è applicabile anche in materia di condominio negli edifici - non va intesa nel senso di uso identico contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intenso utilizzazione, a condizione che questo sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze di interesse di tutti i partecipanti alla comunione con la conseguenza che, qualora sia prevedibile che gli altri partecipante alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto Sez. 2, n. 8808, 30/5/2993, Rv. 563813 1499/1988, Rv. 512558 . Si tratta delle ipotesi in cui il condomino apra una ulteriore porta d’accesso sul pianerottolo, un varco nella recinzione comune, che gli consenta di mettere in comunicazione uno spazio condominiale con l’area pubblica, ecc. Nel caso alla mano, tuttavia, il richiamo all’uso più intenso si mostra, all’evidenza, fuori luogo. Qui, infatti, il C. pretende, come già si è chiarito, di escludere del tutto il condominio, e quindi, gli altri condomini, dal godimento di una parte del sottotetto, della quale il medesimo rivendica, a torto, la proprietà esclusiva. Sottotetto, fruibile da parte di tutti i condomini e, infatti, fatto sede di impianti tecnologici comune. Inoltre, il medesimo si pone in una posizione radicalmente incompatibile con il titolo condominiale di appartenenza del bene, che assume essere di sua esclusiva proprietà. Con l’ottavo motivo il ricorso allega vizio motivazionale su un punto controverso e decisivo, non avendo la Corte di Torino provveduto a descrivere puntualmente l’edificio, né, tantomeno, l’uso condominiale del sottotetto, né, infine, chiarito in cosa fosse consistita la vocazione condominiale potenziale dello stesso, nonostante la comprovata autonomia topografica del locale segregato dal ricorrente. Non può, inoltre, condividersi, prosegue il ricorrente, l’assunto del CTU secondo il quale la funzione del sottotetto non è solo quella di proteggere gli appartamenti dell’ultimo piano, ma tutto l’edificio, così da scongiurare sbalzi termici, onerosi energeticamente. Perché così ragionando il sottotetto sarebbe sempre e comunque condominiale. L’unico vera parte comune destinata allo scopo predetto è, invece, il tetto, il quale costituisce una delle parti comuni per legge. Anche questo motivo va rigettato. Al contrario di quel che assume il C. la Corte territoriale, anche avvalendosi dell’apporto del CTU, mostra di avere acquisito piena conoscenza della struttura del condominio in questione e, in particolare, della destinazione a funzione condominiale del sottotetto, all’interno del quale risultano alloggiate impianti collettivi. Alla luce di quanto acquisito risulta, pertanto, priva di decisività l’affermazione proveniente dal CTU sopra criticata in ricorso. Con il nono motivo viene assunta la violazione degli artt. 91 e 92, cod. proc. civ., in quanto il ricorrente contesta l’addebito delle spese legali, anche di quelle di primo grado in relazione ai chiamati su ordine del giudice. La doglianza va disattesa. La regola da salvaguardarsi, in via prioritaria, con il riparto delle spese è diretta ad evitare che il costo del processo si scarichi sul soccombente che risulti vincitore. Ciò premesso, deve ritenersi consequenziale che, salvo le eccezioni di legge, il costo del processo deve essere sopportato dal litigante che ha visto soccombere la propria pretesa, senza che rilevi la circostanza che il detto costo, in tutto o in parte, possa attribuirsi a decisioni giudiziarie non condivise nei gradi successivi del processo, in quanto quel che rileva è l’aver messo in moto la macchina giudiziaria, avanzando un diritto risultato insussistente o, nel non avere impedito l’avvio del processo, difendendo un diritto risultato insussistente. Le spese legali seguono la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.