La “tirannia” della maggioranza e il condomino dissenziente

Vi sono delle norme, come quella ex art. 1132, comma 1, c.c., che sono tese a mitigare gli effetti della regola maggioritaria che informa la vita condominiale. Al di fuori di questi casi, però, l’amministratore è autorizzato a difendere in giudizio le delibere dell’assemblea di condominio impugnate da un condomino, indipendentemente dal loro oggetto.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7095/17 depositata il 20 marzo. Il caso. Il Tribunale di Roma annullava una delibera adottata da un’assemblea condominiale, condannando il condominio alle spese. Una condomina adiva il GdP, impugnando la delibera, per vedere condannato l’amministratore al risarcimento dei danni, cui era addebitato di non aver provveduto alle rituali convocazioni dell’assemblea di cui si è detto e di non aver comunicato la pendenza della lite. Il Tribunale accoglieva la domanda. Ma, nel giudizio d’appello proposto dall’amministratore, il giudice decideva per l’infondatezza della domanda sulla base del fatto che erano state prodotte raccomandate di convocazione per i condomini e che l’amministratore non era tenuto a comunicare la pendenza della lite, trattandosi di controversia non esorbitante dalle proprie attribuzioni ai sensi dell’art. 1131 c.c Le attribuzioni dell’amministratore. La condomina proponeva ricorso in Cassazione, dolendosi del fatto che la controversia presupposta non rientrasse tra quelle ex art. 1131 c.c. e che l’amministratore avrebbe dovuto essere investito dei poteri rappresentativi con apposito mandato dell’assemblea condominiale . Secondo la Corte di Cassazione, però, come già stabilito con sentenza n. 1451/14 , l’amministratore può resistere all’impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, giacché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso . La difesa in giudizio delle delibere assembleari impugnate da un condomino rientra tra le attribuzioni dell’amministratore, indipendentemente dal loro oggetto . Il condomino dissenziente. Il condomino non può far valere neanche la disciplina dell’art. 1132, comma 1, c.c., che consente al singolo condomino dissenziente di separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in caso di lite giudiziaria, in modo da deviare da sé le conseguenze dannose di un’eventuale soccombenza . Il fine della disposizione è quello di mitigare gli effetti della regola maggioritaria. Se non è stata l’assemblea a deliberare la lite attiva o passiva, però egli soggiace alla regola maggioritaria, potendo ricorrere solo all’assemblea o al giudice contro il successivo deliberato dell’assemblea stessa . Oppure ancora, in sede di rendiconto condominiale, può far valere le proprie doglianze all’amministratore. Ma al di fuori di questi percorsi legali, il condomino non ha la facoltà di agire in proprio contro l’amministratore [] ogni qual volta ritenga la condotta di lui non consona ai propri interessi . Pertanto, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 luglio 2016 – 20 marzo 2017, n. 7095 Presidente Migliucci – Relatore Manna Svolgimento del processo Accogliendo l’impugnazione di N.S. , partecipante al condominio di viale omissis , il locale Tribunale con sentenza n. 1167/02 annullava la delibera adottata dall’assemblea condominiale il 14.5.1999, condannando il condominio alle spese di giudizio. Spese che, in seguito ad atto di precetto notificatole e in virtù del vincolo di solidarietà passiva, la condomina B.B. pagava sia per la quota propria che per quella di spettanza di un’altra condomina, D.G.P.R. . A sua volta, subita l’azione di regresso, quest’ultima adiva il giudice di pace di Roma affinché condannasse al risarcimento dei danni l’amministratore del condominio, R.R. , cui addebitava di non aver provveduto alle rituali convocazioni dell’assemblea del 14.5.1999 e di non aver dato comunicazione della pendenza della lite. Resistendo il convenuto, il giudice di pace accoglieva la domanda condannando il R. a pagare all’attrice la somma di Euro 238,21, oltre spese. Appellata da R.R. , tale decisione era riformata dal Tribunale di Roma, con sentenza n. 22599/10. Osservava il Tribunale che la doglianza dell’attrice era infondata perché erano state prodotte le distinte delle lettere raccomandate di convocazione dei condomini per l’assemblea del 14.5.1999 spedite dal R. che non era chiaro quali altre formalità di legge l’amministratore avrebbe disatteso, secondo la tesi attorea e che quanto all’omessa comunicazione della pendenza della lite, si trattava di controversia non esorbitante dalle attribuzioni dell’amministratore previste dall’art. 1131 c.c., per cui l’attrice non poteva dolersi del fatto di non aver potuto manifestare la propria volontà di estraniazione dalla lite, potere, questo, non esercitabile legittimamente in mancanza di una specifica decisione dell’assemblea. Per la cassazione di detta sentenza D.G.P.R. propone ricorso, affidato a due motivi. R.R. è rimasto intimato. Provocato ex artt. 101 e 384, 3 comma c.p.c. il contraddittorio sulla questione, rilevata d’ufficio, dell’appellabilità della sentenza di primo grado, rientrando il valore apparente della controversia nell’ambito dell’equità c.d. necessaria ex art. 113, cpv., prima ipotesi, c.p.c., la ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. - Sull’appellabilità delle sentenze pronunciate dal giudice di pace questa Corte ha avuto modo di affermare che per stabilire se la sentenza sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all’art. 339, comma terzo, c.p.c., occorre avere riguardo non già al contenuto della decisione, ma al valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli artt. 10 e ss. c.p.c., e senza tenere conto del valore indicato dall’attore ai fini del pagamento del contributo unificato. Pertanto, ove l’attore abbia formulato dinanzi al giudice di pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore a millecento Euro e cioè al limite dei giudizi di equità c.d. necessaria , ai sensi dell’art. 113, comma secondo, c.p.c. , accompagnandola però con la richiesta della diversa ed eventualmente maggior somma che sarà ritenuta di giustizia , la causa deve ritenersi - in difetto di tempestiva contestazione ai sensi dell’art. 14 c.p.c. - di valore indeterminato, e la sentenza che la conclude sarà appellabile senza i limiti prescritti dall’art. 339 c.p.c. Cass. n. 9432/12 v. anche, non massimata, Cass. n. 10921/13 . In altra occasione, invece, è stato ritenuto che qualora l’attore, oltre a richiedere una somma specifica non superiore a Euro 1.032,91, abbia anche concluso, in via alternativa o subordinata, per la condanna del convenuto al pagamento di una somma maggiore o minore da determinarsi nel corso del giudizio, siffatta ultima indicazione, pur non potendosi reputare mera clausola di stile, non può, tuttavia, ritenersi di per sé sola sufficiente a dimostrare la volontà dello stesso attore di chiedere una somma maggiore - ed ancor meno una somma superiore ad Euro 1032,91 - in assenza di ogni altro indice interpretativo idoneo ad ingenerare quanto meno il dubbio che le circostanze dedotte siano potenzialmente idonee a superare il valore espressamente menzionato e, in particolare, quello entro il quale è ammessa la decisione secondo equità Cass. n. 24153/10 . 1.1. - Nelle specie, come si ricava dalla memoria depositata e dall’esame diretto degli atti, cui questa Corte ha accesso in rapporto a questioni di carattere processuale, l’odierna parte ricorrente ebbe a domandare la condanna del convenuto al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 238,21 per il risarcimento dei danni e/o comunque, anche diversamente qualificata la domanda, la condanna del convenuto al pagamento della somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia oltre interessi come per legge ivi compresi quelli sugli interessi scaduti ex art. 1283 c.c. e svalutazione oltre al risarcimento di tutti i danni e/o le spese a qualsiasi titolo dovute, patrimoniali, dirette o indirette, presenti e future, nessuno escluso nella misura che verrà provata in corso in causa e/o equitativamente liquidata nei limiti della competenza del giudice adito . L’ampia latitudine della pretesa risarcitoria, dichiaratamente aggiuntiva rispetto al solo importo di Euro 238,21, e l’espressa volontà di ottenere anche quanto eccedente tale somma purché entro il limite della competenza generale del giudice adito, lasciano intendere che nel caso in esame la parte attrice abbia inteso superare consapevolmente i limiti del giudizio di equità c.d. necessaria del giudice di pace. Con la conseguenza che, non essendo stato contestato il valore così dichiarato, la causa deve ritenersi di valore indeterminato fino al limite della competenza per valore del giudice di pace a nulla rilevando, per il premesso riferimento alla domanda e non al decisum, che la sentenza del primo giudice avesse riconosciuto in favore dell’attrice il solo importo di Euro 238,21 . 2. - Il primo motivo deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione e la violazione degli artt. 1136, sesto comma, 2909 e 2697 c.c., 66, terzo comma disp. att. c.c. e 25, primo, terzo e quinto comma del regolamento condominiale, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. Sostiene parte ricorrente che il Tribunale di Roma con la sentenza n. 1167/02 ha dichiarato la delibera del 14.5.1999 invalida per difetto di convocazione di tutti gli aventi diritto a partecipare all’assemblea, e che di questo dato di fatto la sentenza impugnata avrebbe dovuto tenere conto. Invece il giudice d’appello, senza valutare nello specifico se la notizia della convocazione potesse comunque evincersi da circostanze univoche, si è attenuto alla sola documentazione attestante l’invio delle convocazioni, né ha preteso dal R. , che vi era onerato, la prova dell’avvenuta ricezione dell’avviso di convocazione alla N. . Inoltre, l’art. 25 del regolamento condominiale prevede che la convocazione dell’assemblea debba essere comunicata ai condomini con ritiro di dichiarazione di ricevuta ovvero con raccomandata a.r Pertanto, come nella causa proposta dalla N. , così in quella in oggetto il R. non ha provato l’adempimento del proprio obbligo di comunicazione. Né egli ha dimostrato di aver provveduto a verificare la regolare costituzione dell’assemblea, violando gli artt. 1136, sesto comma, 66, terzo comma, disp. att. c.c. e 25 del regolamento condominiale, sì da provocare un danno risarcibile alla parte odierna ricorrente. 3. - Il secondo mezzo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1131, secondo comma e 1132 c.c., nonché dell’art. 20, primo e secondo comma, del regolamento condominiale, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. Contrariamente a quanto ha ritenuto il giudice d’appello, la controversia presupposta, avendo ad oggetto l’impugnazione di una delibera sul regolamento e la ripartizione delle spese di un locale condominiale, non rientrava tra quelle di cui al 2 comma dell’art. 1131 c.c. Richiama a sostegno Cass. nn. 15684/06 e 2170/95, per poi concludere che l’amministratore avrebbe dovuto essere investito dei poteri rappresentativi con apposito mandato dell’assemblea condominiale. Di riflesso, l’odierna ricorrente avrebbe potuto in tale sede assembleare manifestare il proprio dissenso. 4. - Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Premesso che le richiamate Cass. nn. 15684/06 e 2170/95 cui adde Cass. n. 4209/14 sono del tutto non pertinenti alla fattispecie, riguardando l’amministrazione di una comunione ordinaria ex art. 1100 e ss. c.c., lì dove nella specie si tratta di condominio negli edifici, va osservato che l’amministratore può resistere all’impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, giacché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso Cass. n. 1451/14 . Pertanto, la difesa in giudizio delle delibere dell’assemblea impugnate da un condomino rientra nelle attribuzioni dell’amministratore, indipendentemente dal loro oggetto, ai sensi dell’art. 1131 c.c Per contro, non si versa nell’ipotesi dell’art. 1132, primo comma, c.c. Com’è noto, tale ultima disposizione, tesa a mitigare gli effetti della regola maggioritaria che informa la vita del condominio, consente al singolo condomino dissenziente di separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in caso di lite giudiziaria, in modo da deviare da sé le conseguenze dannose di un’eventuale soccombenza. Dunque, ove non sia stata l’assemblea a deliberare la lite attiva o passiva ai sensi del predetto art. 1132 c.c., il condomino dissenziente soggiace alla regola maggioritaria. In tal caso egli può solo ricorrere all’assemblea contro i provvedimenti dell’amministratore, in base all’art. 1133 c.c., ovvero al giudice contro il successivo deliberato dell’assemblea stessa nei limiti temporali, è da ritenere, previsti dall’art. 1137 c.c., richiamato dall’art. 1133 c.c. . E in ogni caso il condomino dissenziente può far valere le proprie doglianze sulla gestione dell’amministratore in sede di rendiconto condominiale, la cui approvazione è, però, anch’essa rimessa all’assemblea e non al singolo condomino. Se ne deve ricavare che questi, al di fuori dei descritti percorsi legali, non ha la facoltà di agire in proprio contro l’amministratore salvo il ben diverso caso dell’iniziativa di revoca giudiziale ex art. 1129 c.c. ogni qual volta ritenga la condotta di lui non consona ai propri interessi, perché ciò contrasta con la natura collettiva del mandato ex lege che compete all’amministratore. 4. - Il ricorso va, pertanto, respinto. 5. - Nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.