Per impugnare la delibera assembleare ci vuole un interesse

Sono nulle le delibere adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6128/17 depositata il 9 marzo. Il caso. Veniva impugnata una delibera assembleare del condominio da parte di tre condomini sulla ripartizione delle spese. Gli stessi chiedevano la dichiarazione della nullità della delibera per aver adottato un riparto delle spese sulla base di consumi presunti. La contestazione viene rigettata dal Tribunale evidenziando come gli attori non avevano censurato il metodo di ripartizione delle spese di riscaldamento ma la sola erroneità dei consumi ricavati dai contacalorie. L’appello veniva dichiarato inammissibile e, conseguentemente, i tre condomini, presentavano un ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione articolando due motivi di ricorso violazione degli artt. 1123, 1130 e 1137 c.c. nel disattendere la domanda di declaratoria di invalidità della delibera e degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. per mancata valutazione delle prove e mancata ammissione di deduzioni istruttorie rilevanti ai fini della decisione. Nulle le delibere dell’assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese. Nel respingere a sua volta la domanda dei ricorrenti, la Suprema Corte ribadiva, anzitutto, il principio secondo il quale sono nulle, per impossibilità dell’oggetto, le delibere adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese . Non può l’organo collegiale eccedere nelle sue attribuzioni, seppur limitate alla suddivisione di uno determinato affare o specifica gestione. Gli obblighi dei singoli condomini, fissati per legge o per contratto, aggiunge la Cassazione, possono essere modificati solo previo accordo unanime da parte di tutti i condomini non essendo sufficiente a tal fine la volontà della maggioranza dei partecipanti. E’ da escludersi, dunque, la nullità della delibera impugnata nel caso specifico, non avendo essa modificato affatto i criteri di ripartizione delle spese condominiali di cui all’art. 1123 c.c Il condomino che intende impugnare una delibera assembleare deve allegare e dimostrare di avervi interesse. La Suprema Corte evidenzia, inoltre, come i consumi presunti riguardassero non le unità immobiliari di proprietà degli attori, bensì, altri tre condomini. L’erroneità della disposta ripartizione delle spese di gestione non ha danneggiato, quindi, in alcun modo i ricorrenti. Una delibera può essere oggetto di controversa anche se adottata con la prevista maggioranza, ma il condomino che vi si oppone deve avere un interesse concreto all’impugnazione della medesima. Detto interesse presuppone che la delibera assembleare arrechi allo stesso un apprezzabile personale pregiudizio, in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, sentenza 10 febbraio – 9 marzo 2017, n. 6128 Presidente Petitti – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione I ricorrenti Trodema S.r.l. Unipersonale, R.O. ed V.A. impugnano, articolando due motivi di ricorso, la sentenza n. 1986/2014 del 13 giugno 2014 resa dal Tribunale di Bologna, all’esito della pronuncia di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c. della Corte d’Appello di Bologna con ordinanza del 23 giugno 2015. Il Tribunale di Bologna aveva rigettato l’impugnazione della deliberazione assembleare del Condominio di via omissis del 26 giugno 2013, che aveva adottato un riparto delle spese di riscaldamento sulla base dei consumi solo in minima parte presunti. Il giudice di primo grado evidenziava che gli attori non avevano contestato il metodo di ripartizione delle spese di riscaldamento utilizzato nel condominio nell’ultimo decennio 30% in base ai millesimi e 70% in base ai consumi . A base dell’impugnazione Trodema S.r.l. Unipersonale, R.O. ed V.A. avevano dedotto l’erroneità dei dati di consumo ricavati dai contacalorie collocati nelle singole unità immobiliari. Il primo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 1123, 1130 e 1137 c.c., avendo la sentenza del Tribunale disatteso la domanda di declaratoria di invalidità di un rendiconto che ripartiva le spese di riscaldamento sulla base di consumi presunti o comunque errati, dovendo il riparto avvenire secondo il già richiamato metodo convenzionalmente adottato nei precedenti esercizi. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. per l’erronea valutazione delle prove e la mancata ammissione delle deduzioni istruttorie che avrebbero dimostrato il cattivo funzionamento dei contabilizzatori di calore e l’inesatto rilievo dei consumi. Si difende con controricorso il Condominio di via omissis . La ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380-bis, comma 2, c.p.c Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5 , c.p.c., su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. In via di principio sono da considerare nulle per impossibilità dell’oggetto, e perciò pure impugnabili indipendentemente dall’osservanza del termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137, comma 2, c.c., tutte le deliberazioni dell’assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e dunque in eccesso rispetto alle attribuzioni dell’organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell’autonomia negoziale. D’altro canto, il riparto degli oneri di riscaldamento, negli edifici condominiali in cui siano stati adottati sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore per ogni singola unità immobiliare, va fatto per legge in base al consumo effettivamente registrato si veda l’art. 26, commi 5 e 6, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, come modificato dalla legge n. 220 del 2012 cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22573 del 07/11/2016 . Nella specie, per quanto del contenuto della deliberazione del 26 giugno 2013 risulta specificamente riportato nel ricorso, come prescritto dall’art. 366, comma, n. 6, c.p.c., non può affatto sostenersi che l’assemblea del Condominio di via omissis avesse con essa, esulando dalle proprie attribuzioni, modificato i criteri di riparto delle spese di riscaldamento stabiliti dalla legge o comunque dapprima approvati in via convenzionale da tutti i condomini , sicché è da escluderne la nullità. I ricorrenti propongono a questa Corte di rivalutare le risultanze probatorie e di convenire sull’opportunità di procedere a prove esplorative, negate dal Tribunale, e che avrebbero potuto dar conforto all’assunto degli stessi ricorrenti dell’erroneo rilievo dei consumi di calore posti a base del riparto, con ciò investendo il giudice di legittimità di compiti che esulano dai limiti del suo sindacato. È infine decisivo osservare come il Tribunale evidenziasse che i consumi presunti contabilizzati riguardassero altri tre condomini, e non le unità immobiliari di proprietà degli attori, che quindi nessun danno avevano ricevuto dal recepimento di quei dati. Va al riguardo affermato che il condomino, il quale intenda proporre l’impugnativa di una delibera dell’assemblea, per l’assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese di gestione, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, interesse che presuppone la derivazione dalla deliberazione assembleare di un apprezzabile suo personale pregiudizio, in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale. Peraltro, l’interpretazione dell’esatto contenuto della delibera dell’assemblea dei condomini, impugnata ai sensi dell’art. 1137 c.c., come l’accertamento della situazione di fatto che è alla base della determinazione assembleare, sono rimessi all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 23/11/2016 Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5125 del 03/05/1993 . Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza. Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.