Cantine abusivamente trasformate in appartamenti: la violazione del regolamento deve essere provata

La violazione del regolamento condominiale, in riferimento alla destinazione d’uso di alcune unità immobiliari dello stabile, impone l’accertamento in concreto dell’insussistenza delle condizioni previste negozialmente dai condomini, a prescindere da eventuali autorizzazioni amministrative di segno opposto.

Il caso. La vicenda decisa dalla sentenza n. 3221/17della Corte di Cassazione, depositata il 7 febbraio 2017, principia con l’atto di citazione di un condominio che evocava in giudizio il costruttore dello stesso stabile al fine di vederlo condannato per avere abusivamente convertito delle piccole cantine definite cantinole” in mini appartamenti ammobiliati e allacciati agli impianti condominiali di fognatura e riscaldamento. Il condominio chiedeva che il costruttore fosse condannato alla demolizione delle opere abusive e che, in subordine, gli fosse comunque vietato di adibire le cantinole ad appartamenti e fosse tenuto a risarcire il danno causato al condominio. Si costituiva in giudizio il costruttore contestando tutte le domande alla luce della concessione in sanatoria avuta dalla Pubblica Amministrazione e chiedendone il conseguente rigetto. All’esito del processo il costruttore veniva condannato e gli veniva, quindi, vietato di adibire le cantine ad uso diverso da quello di deposito. A seguito della sentenza il costruttore decedeva e, stante la mancata accettazione dell’eredità da parte degli aventi diritto, veniva nominato un curatore dell’eredità, il quale appellava la sentenza di prime cure. Nel giudizio di appello si costituivano il condominio e, in adesione, anche alcuni condomini personalmente. La Corte d’appello, rilevando come la concessione in sanatoria ottenuta dal costruttore avesse solo rilevanza nei rapporti con la PA e quindi fosse ininfluente nei rapporti con i condomini, confermava sostanzialmente l’esito del giudizio di prime cure. Il costruttore ricorreva quindi in Cassazione per ottenere la riforma della sentenza di appello. La Suprema Corte affermava che il regolamento condominiale dello stabile in oggetto recasse diversi divieti di destinazione d’uso tra i quali ad esempio il divieto di realizzare attività quali laboratori, officine, ambulatori o scuole di musica , ma tra questi non figurasse il divieto di destinare le cantine ad appartamenti. Secondo la Cassazione, quindi, la Corte d’appello avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali dal regolamento condominiale potesse desumersi tale divieto . In buona sostanza la Corte d’appello avrebbe mancato da un lato di specificare le ragioni per le quali il regolamento avrebbe vietato di modificare la destinazione d’uso delle cantinole rendendole abitabili e dall’altro avrebbe dovuto chiarire se questa variazione avrebbe potuto costituire un pregiudizio per il pacifico godimento del singolo o collettivo delle altre unità immobiliari, o anche costituire una turbativa dell’igiene, salubrità e buon nome del condominio. La controversia – rinviata alla Corte d’appello, veniva di nuovo giudicata nel senso del rigetto delle domande giudiziali del costruttore o meglio del curatore della sua eredità . In particolare, nel rigettare nuovamente le posizioni della parte soccombente nel primo grado, i giudici d’appello sottolineavano come le cantinole non avrebbero ottenuto né mai potuto ottenere il certificato di abitabilità ai sensi dell’articolo 221 del Testo Unico delle leggi sanitarie poi sostituito dall’art. 24 d.P.R. n. 380/01 . Inoltre la Corte specificava come l’ottenimento della concessione in sanatoria fosse unicamente utile a derogare i requisiti di abitabilità e agibilità delle cantinole, ma non anche a regolarizzare la violazione delle regole in materia di salubrità dell’immobile di cui sopra. Secondo la Corte, quindi, il pregiudizio per l’igiene delle singole unità abitative avrebbe costituito un danno per l’intero stabile, causando il deterioramento delle condizioni di salubrità dello stabile ad esempio comportando un carico maggiore per l’impianto fognario . Alcuni principi di diritto condominiale. La sentenza oggi in commento chiarisce alcuni importanti principi applicabili nell’ambito del diritto condominiale. In particolare, anche accogliendo le ragioni del ricorso del costruttore, non legittima né giustifica il comportamento di colui che edifichi strutture abusive in violazione delle norme edilizie, ma obbliga gli interpreti a ragionare sugli istituti di diritto. La Cassazione specifica come non sia stato provato che il costruttore, anche violando le norme in materia di salubrità e di igiene nell’adibire abusivamente le cantinole all’uso abitativo, abbia cagionato un danno allo stabile. Secondo il ricorrente, infatti, la violazione delle regole di salubrità ad esempio l’assenza di finestre nelle cantinole si sarebbe ripercossa unicamente sugli occupanti e non avrebbe anche cagionato un pregiudizio all’igiene dello stabile. Il Collegio chiarisce, quindi, che sarebbe stato compito della Corte d’appello specificare senza operare salti logici come la violazione delle norme di salubrità relative alle singole unità immobiliari avrebbe potuto costituire un pregiudizio per l’intero palazzo. Inoltre la Suprema Corte chiarisce come nella sentenza di appello i Giudici abbiano errato a collegare alla suddetta disciplina pubblicistica dell’abitabilità la nozione di contrarietà all’igiene del fabbricato di cui all’articolo 13 regolamento condominiale . In ragione del parziale accoglimento del ricorso, quindi, la Corte cassava la sentenza di appello e rinviava per un nuovo giudizio.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 ottobre 2016 – 7 febbraio 2017, n. 3221 Presidente Bianchini – Relatore Cosentino Svolgimento del processo Con citazione notificata il 5 ottobre 1992, il Condominio dello stabile di via , lotti , di omissis , denominato omissis , costituito da due edifici per civile abitazione con sottostante zona adibita a parcheggio, conveniva dinanzi al tribunale di Bari il costruttore del fabbricato, signor A.M. , lamentando come costui avesse modificato talune porzioni immobiliari ad uso non abitativo rimaste in sua proprietà - e precisamente dieci piccole cantine o cantinole al piano seminterrato e due volumi tecnici sul lastrico solare - trasformandole in appartamentini ammobiliati, corredati da servizi igienici collegati all’impianto idrico e fognario del complesso condominiale il Condominio chiedeva, quindi, che l’A. fosse condannato alla demolizione delle opere abusivamente eseguite e, in subordine, che gli fosse vietato di adibire ad abitazione i menzionati locali scantinati e volumi tecnici, con condanna del medesimo convenuto al risarcimento dei danni conseguenti all’uso illegittimo dí detti locali. Si costituiva l’A. contestando le domande e chiedendone il rigetto. Espletata una consulenza tecnica d’ufficio, l’adito tribunale, con sentenza depositata il 9 agosto 2000, accoglieva la domanda subordinata del Condominio e, per l’effetto, inibiva all’A. di destinare le dieci cantinette interrate e i due volumi tecnici insistenti sul lastrico solare ad uso diverso da quello proprio di deposito, quanto alle prime, e di sede per impianti di interesse generale, quanto ai secondi il tribunale inoltre condannava l’A. al risarcimento dei danni, liquidati in Lire 800.000, oltre accessori. Deceduto l’A. , ed avendo i suoi eredi rinunciato all’eredità, veniva nominato un curatore dell’eredità giacente, il quale appellava la sentenza del tribunale. Nel giudizio di secondo grado si costituiva il Condominio ed intervenivano adesivamente i condomini M.S. , L.A.E. , P.M. , G.P. . La corte d’appello di Bari, con la sentenza n. 656/08, rigettava il gravame. Per quanto ancora rileva, la corte territoriale - premesso che la concessione in sanatoria ottenuta dall’A. concerneva solo il rapporto con la pubblica amministrazione e quindi era ininfluente nel rapporto fra í condomini, nel quale trovavano applicazione le disposizioni del codice civile e delle leggi speciali in materia di edilizia - argomentava che il cambio di destinazione delle dieci cantinette e dei due vani insistenti sul lastrico solare contrastava con le disposizioni del regolamento condominiale di natura contrattuale e, per altro verso, aggravava le servitù a carico degli impianti condominiali. Avverso tale sentenza la Curatela dell’eredità giacente di A.M. ricorreva per cassazione e questa Corte, con la sentenza n. 16119/12, accoglieva il secondo ed il terzo mezzo di gravame rigettando il primo e dichiarando assorbito il quarto e annullava con rinvio la sentenza impugnata. La Cassazione affermava che - pacifico essendo che nessuna disposizione del regolamento condominiale vietava espressamente la destinazione ad uso abitativo dei locali ubicati nel piano interrato e dei volumi tecnici collocati sul lastrico solare - la corte d’appello avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali dal regolamento condominiale potesse desumersi tale divieto. In proposito, nella sentenza di questa Corte n. 16119/12 si sviluppa la seguente argomentazione, che pare opportuno trascrivere - In tale situazione regolamentare, dunque, la Corte d’appello, lungi dal potersi limitare ad una mera elencazione di disposizioni regolamentari, avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali dal regolamento condominiale potesse desumersi il divieto di mutamento di destinazione delle cantinole e dei volumi tecnici sul lastrico solare. Ciò tanto più sarebbe stato necessario in presenza di una disposizione regolamentare, quale quella di cui all’art. 13, che, sotto la rubrica Osservanze, divieti e limitazioni, individua specifici divieti di mutamenti di destinazione sia per gli appartamenti che per il locale seminterrato stabilendo che È vietato ai Condomini ed eventuali locatori a di destinare gli appartamenti ad uso di laboratorio, officine di qualsiasi azienda industriale o commerciale, anche se artigiana, di ambulatori o gabinetti per la cura di malattie infettive o contagiose, casa di salute di qualsiasi specie, dispensari, sanatori, magazzini, scuole di musica, di canto o di ballo, ed in genere a qualsiasi altro uso che possa turbare la tranquillità del Condominio e sia contrario all’igiene, alla decenza, o a buon nome del fabbricato b di destinare il locale seminterrato o anche parte di esso ad industrie rumorose o emananti esalazioni sgradevoli o nocive, ad opifici e stabilimenti In funzionamento notturno, a deposito di polveri piriche o di altri materiali facilmente infiammabili e comunque a qualsiasi destinazione che turbi il pacifico godimento singolo o collettivo degli appartamenti. La Corte d’appello avrebbe quindi dovuto specificare le ragioni in base alle quali la disposizione relativa al locale seminterrato poteva ritenersi significativa nel senso del divieto di mutamento di destinazione dello stesso ad abitazione, espressamente non contemplato, e non dovesse piuttosto essere interpretata in un senso non preclusivo di un siffatto mutamento di destinazione, secondo un canone ermeneutico restrittivo che, come prima ricordato, deve ispirare l’interprete in considerazione della diretta incidenza delle norme regolamentari sul diritto di proprietà esclusiva dei singoli condomini interessati. Ed ancora, la Corte d’appello avrebbe dovuto chiarire se la destinazione in concreto data al locale seminterrato e ai volumi tecnici integrasse una destinazione idonea a turbare il pacifico godimento singolo o collettivo degli appartamenti, ovvero ancora se una siffatta destinazione potesse turbare la tranquillità del Condominio o fosse contraria all’igiene, alla decenza e al buon nome del fabbricato. Ma tali valutazioni sono del tutto assenti nella sentenza impugnata, non potendosi ritenere che le stesse siano state assorbite dal riferimento alla violazione della norma regolamentare in tema di servitù, attesa la non pertinenza della stessa rispetto alla questione oggetto del giudizio. La Corte d’appello avrebbe inoltre dovuto illustrare le ragioni per le quali dalle singole norme richiamate in motivazione, quand’anche esaminate nel loro complesso e le une per mezzo delle altre, si poteva pervenire alla conclusione della esistenza, nel regolamento condominiale, del divieto di mutamento di destinazione dei locali di proprietà esclusiva dell’A. in abitazioni . Riassunto il giudizio in sede di rinvio, la medesima corte di appello di Bari confermava, con la sentenza n. 920/15, il rigetto dell’appello avverso la sentenza di prime cure. La corte distrettuale ha argomentato, in sostanza, che a Le cantinole ed i volumi tecnici adibiti ad abitazione non avevano ottenuto - né, per le loro caratteristiche, avrebbero potuto ottenere – la certificazione di abitabilità di cui all’articolo 221 del testo unico delle leggi sanitarie, vigente all’epoca dei fatti e successivamente sostituito dall’articolo 24 del d.p.r. 380/01. In proposito la corte barese evidenzia, sulla scorta dei rilievi del consulente tecnico di ufficio, come tali unità immobiliari difettino dei requisiti fissati dal decreto ministeriale 5/7/75 in ordine alle caratteristiche dimensionali e, quanto alle cantinette, in ordine alla presenza di finestre apribili. Nella sentenza gravata si argomenta altresì che il mancato rilascio del certificato di abitabilità non risulta superato dal rilascio della concessione in sanatoria, giacché tale concessione consentirebbe di derogare solo ai requisiti abitabilità o agibilità fissati da norme regolamentari e non, quindi, al requisito della salubrità fissato dall’articolo 221 del testo unico delle leggi sanitarie. b Il pregiudizio per l’igiene dei singoli appartamenti si rifletterebbe inevitabilmente, negativamente, sul profilo dell’igiene dell’intero condominio, determinando il peggioramento delle condizioni di igiene e salubrità dello stabile, per il maggior carico umano imprevisto e per il sovraccarico, fra l’altro, dell’impianto fognario. Avverso tale sentenza la Curatela dell’eredità A. propone ricorso per cassazione su sette motivi. Il condominio ha resistito con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale condizionato su un motivo. La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 11.10.16, per la quale entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe. Motivi della decisione Con il primo mezzo di gravame la ricorrente principale denuncia la violazione degli articoli 832, 1122, 1138, 1027, 1350, 1362, 1363 c.c. e degli articoli 384 c.p.c. e 42 Cost., oltre che il vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio e di omessa insufficiente illogica motivazione, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa trascurando di valutare, come richiesto dalla Corte di cassazione, l’argomento interpretativo emergente dall’articolo 13, lettera b , del regolamento condominiale, laddove si vietano specificamente determinate destinazioni dei vani interrati senza che tra le destinazioni vietate rientri quella abitativa. Il motivo va disatteso perché - se è vero che la corte distrettuale non ha specificamente esaminato il tema di indagine, indicato da questa Corte nella sentenza n. 16119/12, concernente l’esegesi testuale della lettera b dell’articolo 13 del regolamento condominiale - tale omissione risulta tuttavia irrilevante in quanto la ratio decidendi della sentenza gravata sì fonda sull’argomento con cui il giudice di rinvio ha risposto all’altra questione pure indicata in detta sentenza che la destinazione abitativa delle unità immobiliari in questione violava il disposto della lettera a del medesimo articolo 13, in quanto era contraria all’igiene, alla decenza e al buon nome del fabbricato. Con il secondo mezzo di gravame la ricorrente principale denuncia la violazione degli articoli 832, 1122, 1138, 1027, 1350, 1362, 1363 c.c., degli articoli 384 c.p.c. e 42 Cost., e degli articoli 2697 c.c. e 112 115 c.p.c Il mezzo si articola in una duplice censura. Sotto un primo profilo si lamenta che la corte distrettuale abbia preso in considerazione, per affermare l’esistenza di un divieto del regolamento condominiale al conferimento di destinazione abitativa alle unità immobiliari in questione, il requisito dell’igiene. In proposito si argomenta che tale requisito è menzionato nell’articolo 13 del regolamento con riferimento alla destinazione degli appartamenti, nella lettera a di detto articolo, ma non con riferimento al locale seminterrato - e quindi alle c.d. cantinole la cui destinazione è regolato dalla lettera b del medesimo articolo. L’argomento non può trovare accoglimento perché il riferimento al requisito dell’igiene era contenuto nella stessa sentenza della Corte di cassazione n. 16119/12, al cui dictum il giudice di rinvio era vincolato. Sotto un secondo profilo la ricorrente evidenzia come nella lettera a dell’articolo 13 del regolamento condominiale l’uso dell’espressione appartamenti manifesti una valutazione di liceità intrinseca della destinazione abitativa, cosicché il riferimento di tale disposizione a qualsiasi altro uso che possa turbare la tranquillità del Condominio e sia contrario all’igiene, alla decenza, o a buon nome del fabbricato andrebbe letto come riferito qualsiasi altro uso non abitativo La censura va disattesa perché attinge l’interpretazione del regolamento condominiale operata dal giudice territoriale senza, tuttavia, individuare specifiche violazioni delle regole legali di ermeneutica contrattuale del tutto generiche appaiono, al riguardo, le doglianze che si leggono alla fine del primo capoverso di pagina 33 del ricorso, secondo cui l’interpretazione della corte distrettuale sarebbe stata libera e spregiudicata , non avrebbe tenuto conto dei canoni restrittivi che devono guidare l’interpretazione e l’individuazione per via indiretta degli ipotetici divieti e non si sarebbe attestata sul dato letterale della disposizione . Con il terzo motivo di ricorso la Curatela dell’eredità A. denuncia la violazione e falsa applicazione della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, dell’articolo 133, primo comma, lett. f . d.lgs. n. 104/10 e dell’articolo 1 c.p.c Secondo la ricorrente la corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione delle richiamate disposizioni con l’assumere che per le unità immobiliari in discorso non sarebbe stato possibile il rilascio della certificazione di abitabilità con tale affermazione, si argomenta, la corte territoriale avrebbe debordato dalla propria competenza giurisdizionale, sostituendosi alla pubblica amministrazione - e, in ipotesi, al giudice amministrativo - nella valutazione dei presupposti per il rilascio del certificato di abitabilità. La censura va disattesa, perché la corte distrettuale non ha valutato la legittimità di alcun provvedimento della pubblica amministrazione avente ad oggetto la certificazione, o il diniego di certificazione, dell’abitabilità delle unità immobiliari in questione, ma ha operato una valutazione della conformità di tali unità immobiliari ai requisiti previsti dall’articolo 121 R.D. n. 1265/1934 T.U. delle leggi sanitarie al solo fine di stabilire se le medesime potessero considerarsi salubri o insalubri, traendo poi, dalla valutazione negativa al riguardo espressa sulla scorta delle risultanze peritali, la conclusione che la destinazione abitativa di tali immobili dovesse ritenersi preclusa dall’articolo 13 del regolamento condominiale. Non ricorrono quindi i denunciati vizi di violazione di legge. Con il quarto motivo la Curatela ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli articoli 832, 1122, 1138, 1027, 1350, 1362 e segg. e 2697 c.c., dell’articolo 42 Cost., e degli articoli 221 e 222 del regio decreto 1265/34, nonché del decreto ministeriale 5/7/1975, in cui la corte distrettuale sarebbe incorsa ravvisando una violazione del divieto di adibire gli immobili ad usi contrastanti con l’igiene, contenuto dell’articolo 13 del regolamento condominiale, nella mera circostanza della non conformità delle unità immobiliari in questione e, in particolare, delle cantinole , in quanto prive di finestre apribili ai requisiti fissati per il rilascio del certificato di abitabilità. Secondo la ricorrente la corte d’appello avrebbe errato nel ritenere sussistente un contrasto tra le esigenze dell’igiene del fabbricato e la destinazione ad uso abitativo delle unità immobiliari in questione sulla base di considerazioni meramente astratte, prescindenti da qualunque accertamento della concreta situazione dell’edificio. In proposito la Curatela dell’eredità A. sottolinea come l’ipotetica insalubrità delle cantinole , derivante dalla mancanza di finestre apribili, potrebbe risultare pregiudizievole solo a coloro che nelle stesse vivono e non sarebbe di per sé contrastante con l’igiene complessiva del fabbricato, giacché quest’ultima potrebbe semmai essere pregiudicata, in astratto, dai comportamenti personali e dalle attività degli abitanti di dette unità immobiliari, non dalle caratteristiche costruttive delle stesse. Sotto altro profilo, nel mezzo di gravame si argomenta come risultino fuori luogo i riferimenti della corte distrettuale al rapporto tra la superficie delle unità immobiliari ed il numero degli abitanti delle stesse giacché, per un verso, da nessuna emergenza processuale risultava quali fosse il numero degli occupanti delle unità immobiliari in questione e, per altro verso, l’eventuale superamento del rapporto all’uopo fissato dalla legge facoltizzerebbe la pubblica amministrazione a disporne lo sgombero, ma non impedirebbe la certificazione di abitabilità. Il motivo è fondato. La corte barese argomenta, in primo luogo, che le cantinole , in quanto interrate, sarebbero prive di finestre e, in secondo luogo, che tutte le unità immobiliari in questione, ossia le cantinole e gli appartamentini sul lastrico, risulterebbero difformi dalle prescrizioni del D.M. 5/7/75 sotto il profilo concernente il numero massimo di abitanti . L’affermazione della corte territoriale secondo cui il mancato rispetto dei requisiti fissati dal D.M. 5/7/75 implicherebbe non solo l’insalubrità delle unità immobiliari in questione, ma anche un pregiudizio per l’igiene dell’intero fabbricato, contiene effettivamente un salto logico, in quanto sovrappone la nozione di salubrità di una unità immobiliare con la nozione, che è quella rilevante ai fini dell’articolo 13 del regolamento condominiale, di contrarietà all’igiene dell’attività a cui l’unità immobiliare venga destinata si veda l’elenco esemplificativo di tali attività contenuto nel detto articolo 13 laboratorio, officine ., ambulatori o gabinetti ., casa di salute ., dispensari, sanatori, magazzini, scuole di musica, di canto o di ballo . Il quinto motivo è riferito alla violazione e falsa applicazione degli articoli 832, 1122, 1138, 1027, 1350, c.c., dell’articolo 42 Cost., degli articoli 221 e 222 R.D. 1265/34 e del decreto ministeriale 5/7/75, nonché al vizio di omesso esame di fatto decisivo e controverso ed al vizio di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili della motivazione. Con tale motivo la ricorrente denucia a la contraddittorietà della sentenza gravata laddove essa, da un lato, afferma che le cantinole sarebbero prive di finestre e, d’altro lato, riporta l’affermazione della c.t.u. secondo cui le stesse avrebbero accesso da un terrazzo pertinenziale così necessariamente risultando dotate di una portafinestra b l’omesso esame del fatto, risultante dalla c.t.u., che la superficie di tutti gli appartamenti variava tra 20 e 30 metri quadri c l’omessa distinzione tra le cantinole e gli appartamenti sul lastrico. Il sesto motivo è riferito alla violazione e falsa applicazione degli articoli 2727, 2729, 2697 c.c., degli articoli 832, 1122, 1138, 1027, 1350 c.c. e dell’articolo 42 Cost., nonché al vizio di omesso esame di fatto decisivo e controverso ed al vizio di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili della motivazione. La ricorrente lamenta che la corte abbia tratto da un fatto ignoto ed in realtà presunto l’idoneità delle unità immobiliari a pregiudicare l’igiene degli abitanti la presunzione di un’ulteriore fatto ignoto l’idoneità delle unità immobiliari a pregiudicare l’igiene del fabbricato condominiale . Il settimo motivo è riferito alla violazione e falsa applicazione degli articoli 832, 1122, 1138, 1027, 1350, 1362 e segg. e 2697 c.c., dell’articolo 42 Cost. e degli articoli 394, 112 115 c.p.c La ricorrente denuncia l’errore in cui la corte distrettuale sarebbe incorsa facendo riferimento al maggior carico umano ed al maggior carico dell’impianto fognario. Il quinto, il sesto ed il settimo motivo del ricorso principale devono ritenersi assorbiti dall’accoglimento del quarto. L’accoglimento del quarto mezzo del ricorso principale impone l’esame dell’unico motivo del ricorso incidentale condizionato dei contro ricorrenti. Con tale motivo contro ricorrenti censurano la sentenza gravata per non avere la stessa rilevato che le unità immobiliari per cui è causa difettavano dei requisiti di luminosità e ventilazione naturale e dei requisiti dimensionali imposti dal D.M. 7/5/75. Il motivo va disatteso, perché la questione della corrispondenza delle suddette unità immobiliare alle caratteristiche previste dalla disciplina pubblicistica dell’abitabilità è travolta dall’accoglimento del quarto mezzo del ricorso principale e dal conseguente annullamento della statuizione della corte distrettuale che ha erroneamente collegato alla suddetta disciplina pubblicistica dell’abitabilità la nozione di contrarietà all’igiene del fabbricato di cui all’articolo 13 del regolamento condominiale. In definitiva il ricorso principale va accolto limitatamente al quarto motivo, con reiezione dei primi tre ed assorbimento degli altri, il ricorso incidentale va rigettato e la sentenza gravata va cassata in parte qua, con rinvio alla corte distrettuale. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale, rigettati i primi tre ed assorbiti gli altri, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza gravata e rinvia alla corte d’appello di Bari, altra sezione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.