Possesso e usucapione: è necessario il dominio esclusivo

La conservazione del possesso acquisto animo et corpore non richiede l’esplicazione di continui e concreti atti di godimento essendo sufficiente che il bene posseduto in relazione alla sua natura e destinazione economico-sociale possa ritenersi nella virtuale disponibilità del possessore nel senso che questi possa, quando lo voglia, ripristinare il rapporto materiale con lo stesso. Ne consegue che, permanendo l’animus, il possesso perdura finché persiste la possibilità di ripristinare il corpus, la quale viene meno quando l’animus derelinquendi sia inequivocabilmente manifestato.

Rivendica ed accertamento della proprietà per usucapione. Con la sentenza n. 3133/17, depositata il 17 febbraio, la Corte di Cassazione ribadisce interessanti principi in tema di possesso ed usucapione, specie con riguardo alla situazione di compossesso. La vicenda sottesa alla sentenza in esame ha ad oggetto la domanda di accertamento della proprietà, con conseguente rilascio dei beni immobili, da parte di un Comune nei confronti di un soggetto che li occupava da tempo illegittimamente. All’atto di costituzione, il convenuto, contestando la domanda attorea, domandava in via riconvenzionale l’accertamento in proprio favore dell’acquisto della proprietà per usucapione, asserendo di avere il possesso del bene da oltre 20 anni. Tanto in primo grado quanto in appello, per quanto in questa sede interessa, i giudici di merito accoglievano la domanda di rivendica del Comune, rigettando invece quella riconvenzionale del convenuto, sul presupposto che l’utilizzo dei locali oggetto del contendere da parte di quest’ultimo non fosse né esclusivo né continuativo, essendo pertanto non idoneo a costituire un possesso utile ai fini dell’usucapione. Conservazione del possesso e perdita della relazione di fatto con la cosa. Viene in primo luogo censurata la decisione di merito che avrebbe erroneamente escluso la perdita del possesso da parte del Comune. La Corte disattende il gravame, ricordando che la conservazione del possesso acquisto animo et corpore non richiede l’esplicazione di continui e concreti atti di godimento essendo sufficiente che il bene posseduto in relazione alla sua natura e destinazione economico-sociale possa ritenersi nella virtuale disponibilità del possessore nel senso che questi possa, quando lo voglia, ripristinare il rapporto materiale con lo stesso. Ne consegue che permanendo l’animus il possesso perdura finché persista la possibilità di ripristinare il corpus la quale viene meno quanto l’ animus derelinquendi sia inequivocabilmente manifestato Cass. n. 4360/1995 . Su tale presupposto, la Corte disattende il relativo motivo di ricorso, ritenendo che, in base alle circostanze di fatto rilevate dal giudice di merito, non si sia mai manifestato l’ animus derelinquendi con riguardo ai beni oggetto del contendere. Usucapione, possesso e compossesso. Con riguardo ad altro profilo di ricorso, la Corte prende le mosse dal principio per cui il possesso continuativo ed interrotto, per il tempo necessario a far maturare l’usucapione, deve tradursi in un possesso esclusivo con riguardo sia al corpus che all’animus incompatibile con il permanere del possesso altrui, la cui prova grava su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene Cass. n. 9325/2011 Cass. 6382/1999 . In tale contesto, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori, non è di per sé idoneo a far ritenere lo stato di fatto così come determinatosi, funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem e non anche conseguenza dell’atteggiamento di mera tolleranza da parte del compossessore risulta, invece, necessaria ai fini dell’usucapione la manifestazione di un dominio esclusivo attraverso un’attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’usucapione Cass. n. 5412/2015 Cass. n. 19478/2007 . Su tali presupposti, la Corte rileva che in una fattispecie come quella sottoposta alla sua attenzione, ciò che rileva non è tanto la qualificazione della situazione di fatto del soggetto interessato in termini di possesso o detenzione, quanto il suo dominio esclusivo, quale presupposto dell’usucapione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 29 novembre 2016 – 7 febbraio 2017, n. 3133 Presidente Spirito – Relatore Pellecchia Svolgimento del processo 1. Nel 2005, il Comune di convenne in giudizio l’avv. R.C.R. , al fine di ottenere, previo accertamento del diritto di proprietà dell’ente, il rilascio di locali occupati abusivamente dal convenuto, nonché il risarcimento di tutti danni derivanti dall’illegittima occupazione ed in particolare le spese sopportate a causa della mancata disponibilità dei suddetti locali, che il Comune avrebbe impiegato adibendoli ad uffici giudiziari. A sostegno della pretesa, l’ente attore espose che il convenuto occupava illegittimamente l’ex infermeria omissis , situata in uno stabile adiacente ad altri locali da sempre adibiti ad asilo, dapprima condotti in comodato dal Comune e poi acquistati dal medesimo Comune con contratto di compravendita stipulato nel 2004. Ritualmente costituitosi, l’avv. R. chiese il rigetto della domanda, eccependo che l’immobile oggetto della rivendica non era indicato con precisione, e quindi risultava sconosciuto, e che il Comune di non era proprietario dei locali di cui chiedeva la restituzione domandò inoltre, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’intervenuto acquisto in proprio favore della proprietà del bene immobile, per compiuta usucapione ventennale, avendo lui esercitato pubblicamente, almeno dal 1983, nei locali ex infermeria, attività sportiva e musicale. La causa fu istruita con l’assunzione di testimonianze orali. Il Tribunale di , con la sentenza n. 529/2008, accolse la domanda di rivendica del Comune, respingendo invece la domanda di risarcimento dei danni, nonché la domanda riconvenzionale di usucapione formulata dal R. . 2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 1763/2011 del 1 luglio 2011. La Corte, come il primo giudice, ha ritenuto che il rivendicante avesse offerto prova idonea della propria titolarità, sulla base di una sequenza di atti derivativi risalenti ad oltre un ventennio a ritroso sino al 1953 , non superata da un opposto titolo né efficacemente contrastata dal convenuto che non ha provato il proprio diritto ad usucapire i beni contesi. Dalle testimonianze assunte, infatti, è emerso che l’utilizzo dei locali da parte del R. , dal 1983-1984, quale deposito di attrezzi e di strumenti musicali non può ritenersi, almeno sino al 1988, né esclusivo né continuativo, in presenza di un uso promiscuo, comune agli utenti ed operatori dell’asilo nido sulla scorta del comodato concesso al Comune ed a quelli della società allora proprietaria. Il R. non ha censurato l’affermazione del giudice secondo cui in tale periodo di comune utilizzo non consta alcun atto di interversione del possesso idoneo ad escludere che il godimento del bene fosse fondato sul consenso della società proprietaria sotto il profilo della mera tolleranza, considerata anche la posizione del R. di dipendente della medesima società. Il possesso sarebbe stato al più esercitato, con modalità esclusive, solo a partire dal 1988, mediante la chiusura della porta interna tra i locali dell’asilo e quelli dell’ex infermeria. Non sarebbe quindi decorso il termine ventennale occorrente al maturare dell’acquisto dell’usucapione, vista la notifica nel 2005 dell’atto introduttivo dell’azione di rivendica. Né la dichiarazione contenuta nell’atto di vendita al Comune, con cui si dava atto dell’occupazione abusiva, da parte del R. , di alcuni locali compresi nella vendita, potrebbe avere carattere confessorio circa l’effettiva esistenza dei requisiti dell’usucapione, consistendo in una semplice cautela da parte della venditrice al fine di escludere la garanzia per evizione in relazione a pretese, già note e contrastate, sui locali in oggetto. 3. Avverso tale decisione, propone ricorso per Cassazione, sulla base di un motivo, il Comune di . Deposita anche memoria. 3.1. Resiste con controricorso l’avv. R.C.R. , il quale propone ricorso incidentale sulla base di tre motivi. Motivi della decisione 4.1. Con l’unico motivo del ricorso principale, il Comune di lamenta omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia ex artt. 112 e 360, comma 1, n. 4 c.p.c. . La Corte di Appello avrebbe totalmente omesso di pronunciarsi sull’appello incidentale, tempestivamente proposto dal Comune contro la sentenza del Tribunale di nella parte in cui aveva respinto la domanda di risarcimento del danno. Nel corso del giudizio di secondo grado, il ricorrente avrebbe rilevato, la chiara sussistenza di un rapporto di causalità tra il comportamento di occupazione sine titulo dei locali da parte del R. , la mancata utilizzazione di tali locali ed il conseguente pagamento, da parte della p.a., di oneri di locazione per poter usufruire di altri immobili ove situare gli uffici giudiziari. Inoltre, il Comune avrebbe provato sia l’intenzione di adibire i locali occupati dal R. ad uffici, sia l’entità del danno effettivamente subito. Il motivo è fondato. Secondo la giurisprudenza maggioritaria di questa Corte, quando viene dedotto un error in procedendo , il giudice di legittimità può procedere direttamente all’interpretazione dell’atto processuale della cui validità si discuta Cass. n. 16164/2015 Cass. n. 25308/2014 Cass. Sez. Un. n. 8077/2012 . Orbene, nel caso in esame, risulta palese dall’esame della comparsa di costituzione in appello, nonché dagli ulteriori scritti difensivi del secondo grado, che il Comune di aveva proposto impugnazione incidentale nei confronti del capo della decisione di rigetto della sua domanda di risarcimento del danno. Ne consegue che erroneamente la Corte d’Appello ha omesso di pronunciarsi su tale impugnazione. 5.1. Con il primo motivo del ricorso incidentale, il R. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 165, 166, 183, 184, 345, 74 disp. att., omessa motivazione in relazione all’art. 360, n. 4 e 5 c.p.c. . Il Comune di avrebbe prodotto per la prima volta in appello i documenti indicati sub 11 bis-11 quinquies, consistenti in atto di vendita dell’immobile del 1975 e in note di trascrizione degli atti di vendita precedenti a quello del 2004. La Corte di Appello, nonostante l’eccezione di tardiva allegazione sollevata dal R. con le difese conclusionali, avrebbe posto tali documenti a fondamento della decisione, facendone richiamo a pag. 8 della sentenza impugnata, omettendo di motivare. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse. L’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire - sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.comma - va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame, e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata sicché è inammissibile, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico Cass. n. 6543/2016 Cass. n. 13373/2008 . Nella specie, la pronuncia impugnata non risulta affatto fondata sulla documentazione che il R. sostiene essere tardiva. Infatti, come si legge a pag. 7 della sentenza, la documentazione che la Corte di Appello ritiene essere idonea a dimostrare la titolarità dei beni in capo al Comune di , in assenza di sostanziale contestazione da parte del R. , consiste nelle note di trascrizione elencate nelle certificazioni dei registri immobiliari e nelle coerenti visure storiche. Documenti che, come riconosce lo stesso ricorrente incidentale cfr. pag. 36 controricorso, primo rigo , risultano ritualmente prodotti dalla difesa del Comune di nel giudizio di primo grado sub docomma 12 . Pertanto, anche qualora venisse espunto il riferimento all’atto di compravendita del 1975 la cui esistenza, peraltro, viene desunta dalla Corte di Appello dalla menzione dello stesso nell’atto di compravendita del 2004, prodotto con l’atto di citazione di primo grado sub docomma 5 , ciò non avrebbe alcuna influenza in ordine all’accoglimento della domanda di rivendica proposta dal Comune di . 5.2. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 832, 948, 1140, 2967 c.comma e motivazione insufficiente in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5 c.p.c. . La Corte di appello avrebbe erroneamente accolto la domanda di rivendicazione sulla base di documentazione amministrativa, proveniente da uffici fiscali, inidonea ad assolvere l’onere probatorio incombente sull’attore. La funzione della trascrizione degli atti traslativi non sarebbe quella, ritenuta dalla Corte subalpina, di rendere opponibile a terzi gli atti trascritti ma quella di dirimere il contrasto tra più acquirenti dal medesimo dante causa. Inoltre, il giudice del merito non avrebbe indicato le prove in base alle quali risulterebbe incontestato il possesso dei beni da parte delle società proprietarie. Il R. , contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, avrebbe adeguatamente contestato la proprietà ed il possesso in capo al Comune ed ai suoi danti causa. Il motivo è infondato. Secondo la sentenza impugnata, la titolarità della proprietà da parte del Comune è stata dimostrata in base ad una serie continua di trascrizioni a ritroso per oltre un ventennio. È noto come la funzione della trascrizione degli atti traslativi nei pubblici registri immobiliari sia l’opponibilità dei medesimi atti a terzi che rivendichino diritti sui beni immobili che ne sono oggetto non solo nel caso in cui terzo sia chi abbia acquistato dallo stesso dante causa per effetto di una vendita successiva del medesimo bene . Secondo i principi affermati in materia dalla giurisprudenza, per stabilire se ed in quali limiti un determinato atto o una domanda giudiziale trascritti siano opponibili ai terzi, occorre aver riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, dovendo le indicazioni riportate nella nota stessa consentire di individuare, senza possibilità di equivoci e di incertezze, gli estremi essenziali del negozio ed i beni ai quali esso si riferisce Cass. n. 12835/2014 Cass. n. 8066/1992 . Il precedente citato dal ricorrente incidentale Cass. 11605/1997 si riferisce proprio ad un caso in cui le note di trascrizione nei rr.ii. prodotte avevano ad oggetto atti di contenuto non precisato. Nella specie, tuttavia, il R. non lamenta che le note di trascrizione prodotte dal Comune non individuerebbero con chiarezza gli estremi essenziali dei negozi o i beni trasferiti con tali negozi, limitandosi ad affermare che tale documentazione, per via della natura amministrativa, non sarebbe idonea a sorreggere un’azione di rivendica. Né, come ha correttamente rilevato la Corte di Torino, risultano contestazioni in ordine al contenuto e alla validità degli atti oggetto delle trascrizioni. Pertanto, è corretta la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che le contestazioni del ricorrente relativamente a tale documentazione fossero solo generiche e non formali e, quindi, sostanzialmente non formulate. Inoltre, per quanto riguarda il possesso dei locali da parte delle società che si sono avvicendate nella proprietà del complesso industriale in cui tali locali sono situati, è da condividere l’affermazione del giudice di secondo grado che ha ritenuto di desumerlo dalla pacifica circostanza che i locali rivendicati fossero stati dalla proprietà adibiti ad infermeria, fino alla chiusura dell’attività e allo smantellamento definitivo delle strutture. Tale circostanza appare confermata dalle risultanze istruttorie di cui si dà atto nel prosieguo della sentenza. Inoltre, l’assunto della perdita del possesso da parte della società proprietaria deve ritenersi smentita dai testimoni che hanno riferito anche successivamente alla cessazione dell’attività l’immobile era presidiato per conto della medesima società e che le chiavi dei locali oggetto di rivendica si trovavano in portineria e quindi non nella disponibilità esclusiva del R. . La persistenza della situazione possessoria in capo agli attori appellanti deve del resto ritenersi in linea con l’insegnamento di questa Corte secondo il quale La conservazione del possesso acquisito animo et corpore non richiede l’esplicazione di continui e concreti atti di godimento essendo sufficiente che il bene posseduto in relazione alla sua natura e destinazione economico-sociale possa ritenersi nella virtuale disponibilità del possessore nel senso che questi possa quando lo voglia ripristinare il rapporto materiale con lo stesso. Ne consegue che permanendo l’animus il possesso perdura finché persista la possibilità di ripristinare il corpus la quale viene meno quando l’ animus dereliquendi sia inequivocabilmente manifestato Cass. n. 4360/1995 . Nella specie, considerate anche le ulteriori circostanze della concessione in comodato dei locali contesi al Comune di nel 1999, nonché dell’invio, nel 2000, della lettera con cui la Come Immobiliare contestava le pretese del R. in ordine a detti locali, non risulta che, da parte delle società che si sono avvicendate nella proprietà, sia mai stato manifestato l’ animus dereliquendi relativamente agli stessi locali. 5.3. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, il R. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 948, 1140, 1141, 1142, 1144, 1146, 1158, 1165 e motivazione insufficiente e contraddittoria in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. . La Corte avrebbe errato nel ritenere che il possesso da parte del R. , dal 1983 al 1988, fosse avvenuto con la tolleranza della proprietà, non essendo quindi idoneo a fondare l’usucapione. Gli atti di tolleranza, implicando un elemento transitorietà e saltuarietà, comportano un godimento di modesta portata quale non può essere un possesso protrattosi per un lungo periodo di tempo. Il possesso è presunto in chi esercita il potere di fatto sulla cosa, salva la prova che il rapporto sia iniziato come detenzione, e solo in questo caso il detentore deve provare l’interversione del possesso. La decisione sarebbe contraddittoria perché da un lato avrebbe riconosciuto il possesso del R. sin dal 1983, dall’altro avrebbe sostenuto che il rapporto aveva avuto inizio come detenzione. Inoltre, la decisione si fonderebbe sull’errato presupposto secondo cui il possesso non esclusivo del bene sarebbe inidoneo ai fini dell’usucapione. Infine, la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che il possesso del R. fosse stato inizialmente discontinuo, omettendo di rilevare che in relazione alla destinazione data al bene dall’usucapiente deposito di attrezzi da palestra e di strumenti musicali il requisito della continuità poteva ritenersi soddisfatto. Pertanto, la Corte avrebbe dovuto sommare, al possesso esclusivamente esercitato dal 1988, quello esercitato in forma promiscua dal 1983 al 1988 e ritenere conseguentemente maturato il termine utile ad acquistare per usucapione. Il motivo è infondato. In tema di usucapione è stato affermato da questa Corte che il possesso continuativo ed ininterrotto, per il tempo necessario a far maturare l’usucapione, deve tradursi in un possesso esclusivo con riguardo sia al corpus che all’animus incompatibile con il permanere del possesso altrui, la cui prova grava su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene cfr. Cass. n. 9325/2011 Cass. 6382/1999 . Inoltre, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori, non è di per sé idoneo a far ritenere lo stato di fatto così come determinatosi, funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem e non anche conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte del compossessore risulta invece, necessaria ai fini dell’usucapione la manifestazione di un dominio esclusivo attraverso un’attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’usucapione Cass. n. 5412/2015 Cass. Civ., n. 19478/2007 . Alla luce dei suddetti principi, appare irrilevante la questione della qualificazione come semplice detenzione o come possesso dell’uso da parte del R. dei locali nel periodo 1983-1988 senza che peraltro sia riscontrabile alcuna contraddizione nella sentenza impugnata, nella quale il giudice, pur propendendo per la qualifica come detenzione, in considerazione del carattere non esclusivo né continuato dell’utilizzo e della mancanza di atti di interversione, ha evidenziato che anche ritenendo che si tratti di possesso, quello esclusivo e quindi idoneo ai fini dell’usucapione sarebbe stato esercitato dal R. , al più, dal 1988 . Ciò che rileva, invece, è il momento in cui si sia manifestato il dominio esclusivo sul bene da parte dell’interessato. Tale accertamento è stato fatto dal giudice di merito ed il ricorrente non formula in relazione alcuna valida censura ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5. 6. Pertanto, la Corte decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il ricorso principale cassa in relazione la sentenza impugnata, come in motivazione, rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione. Rigetta il ricorso incidentale. P.Q.M. la Corte, accoglie il ricorso principale cassa in relazione la sentenza impugnata, come in motivazione, rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione. Rigetta il ricorso incidentale.