Le distanze legali tra fabbricati sono quelle lineari

Sono lineari le distanze legali oggetto della previsione dell’art. 873 c.c. pertanto a tal fine non possono essere considerate né quelle che si misurano in verticale tra una porzione di fabbricato sottostante e quella sovrastante, né le consistenze immobiliari appartenenti a soggetti terzi.

Il tema è stato affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 98/17 depositata il 4 gennaio. La vicenda di cui si è occupata la Corte è relativa ad un’azione promossa per regolamentare la violazione delle distanze legali tra fabbricati. L’interesse della pronuncia è dato dalla precisazione relativa al computo delle distanze cui fa riferimento l’art. 873 c.c. il quale, come noto, stabilisce che le costruzioni su fondi finitimi, se sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non inferiore a 3 metri. Il fatto. La proprietaria di un immobile sottostante quello dei convenuti si rivolgeva al Tribunale al fine di far accertare la violazione, da parte di questi ultimi, delle distanze legali con riferimento a delle opere murarie eseguite. Chiedeva in particolare la demolizione del fabbricato adiacente il cortile di piano terra, del muro perimetrale nell’ampliamento di una centrale termica al secondo piano, della porzione di fabbricato posta a distanza di confine inferiore a 3 metri, oltre alla demolizione della parte di fabbricato elevata oltre i massimi consentiti, il tutto con richiesta di risarcimento danni. L’Organo di prima istanza rilevava che lo spazio aperto di proprietà dell’attrice, posto al piano terra, era da qualificare quale chiostrina, rispetto a questo vano riscontrava la violazione delle distanze legali rapportate alla centrale termine collocata al secondo piano. Ordinava pertanto la demolizione di quest’opera così come del parapetto delle chiostrine. I convenuti soccombenti proponevano gravame con esiti d’integrale accoglimento dell’impugnazione. Il difetto di legittimazione dell’attrice. La decisione della Corte territoriale era impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione. Si doleva la ricorrente che la sentenza avesse accolto l’appello sull’erronea considerazione che l’attrice non fosse legittimata attivamente a proporre le domande di riduzione in pristino in materia di distanze, giacché proprietaria dell’immobile sottostante quello dei convenuti e non già di quello frontista. In tal senso essa lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 872 ed 873 c.c., nella misura in cui, quale proprietaria del fondo finitimo, avrebbe potuto far valere i corrispondenti diritti e dunque richiedere il rispetto della distanza legale minima. Affermava altresì essere suo interesse recuperare luce ed aria limitate dalla costruzione dei vicini che avrebbe violato le norme sulla distanza legale dalla chiostrina a piano terra. Il computo delle distanze quali lineari. La censura era rigettata dalla Corte di Cassazione che riconosceva la correttezza della decisione dell’organo di appello. Quest’ultimo, partendo dalla circostanza che l’attrice aveva agito facendo valere la titolarità dell’abitazione posta al piano sottostante, senza specificazione di come avesse rivendicato la violazione delle distanze legali su di un’area di proprietà esclusiva, rilevava come le distanze individuate dall’art. 873 c.c. fossero quelle lineari. Conseguentemente escludeva che le distanze di cui al citato articolo fossero diversamente riferibili all’intervallo intercorrente tra una porzione di fabbricato sottostante e quello sovrastante parimenti negava che l’articolo citato fosse applicabile agli immobili appartenenti a soggetti terzi. Concludendo. Il ricorso quanto a questa censura mossa era rigettato, trovava invece accoglimento la censura relativa alla omessa motivazione in merito alla domanda di risarcimento dei danni subiti a causa delle opere edilizie illecite, non analizzata dal Giudice di seconde cure.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 28 aprile 2016 – 4 gennaio 2017, n. 98 Presidente Mazzacane – Relatore D’Ascola Esposizione del fatto La lite concerne la violazione in materia di distanze lamentata dalla ricorrente C.B., proprietaria di un immobile sottostante a quello dei convenuti U. e T., in relazione alle opere da essi eseguite nel 2002 in un immobile sito in F.F. via F. 48. Le opere di cui chiedeva la demolizione consistevano nella demolizione della porzione di fabbricato adiacente il cortile di piano terra con arretramento d, a livello di primo piano, del muro perimetrale nell'ampliamento di una centrale termica al secondo piano nella presenza all'interno delle chiostrine a p.p. di travi in cemento armato nell'intera porzione di fabbricato posta a distanza dai confini inferiore a tre metri nonché condanna a demolire la parte dei fabbricato elevata oltre i limiti massimi assentiti e risarcimento danni. Il tribunale di Brindisi sez. F.F. rilevava che lo spazio aperto a piano terra di proprietà dell'attrice era da reputare una chiostrina, vano rispetto al quale ravvisava violazione delle distanze legali quanto alla porzione di centrale termica posta al secondo piano, di cui ordinava la demolizione per m. 5,40. Ordinava altresì la demolizione delle pareti delle chiostrine primo piano poste a mt 2,80 dal corpo di fabbrica a confine la demolizione del parapetto di queste due chiostrine la demolizione del parapetto del lastrico solare, parapetti da sostituire con ringhiere. La Corte di appello di Lecce, investita di appello dei convenuti su tutti i profili, il 16 maggio 2011 ha disposto il rinnovo della consulenza e, all'esito, ha accolto integralmente il gravame. Birtolo ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 14 luglio 2011 con otto motivi. Gli intimati hanno resistito con controricorso. Ragioni della decisione 2 La Corte salentina ha accolto l'appello sul rilievo, fatto valere che la B. non era legittimata alle domande di riduzione in pristino in materia di distanze nei confronti dei convenuti, in quanto proprietaria dell'immobile sottostante e non proprietaria del fabbricato frontista. Ha negato che i parapetti violassero qualsiasi distanza legale. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 872 e 873 cc L'attrice ricorrente sostiene che nella qualità di titolare dei diritto di proprietà del fondo finitimo alla costruzione degli odierni appellanti essa ha ex art. 873 c.c. la titolarità piena di far valere i diritti che ne derivano e in particolare il rispetto della distanza minima legale . Deduce che è proprio interesse recuperare aria e luce che sono state limitate dall'edificazione dei coniugi Urso, che violerebbe le norme sulla minima distanza legale dalla chiostrina a piano terra. La censura non merita accoglimento. Come ha rilevato il controricorso, essa prospetta un profilo nuovo dell'azione proposta, giacchè dalla sentenza di appello emerge che l'attrice aveva agito facendo valere la titolarità dell'abitazione posta al piano sottostante quello sopraelevato e modificato dai convenuti. In relazione a tale presupposto di fatto, è ineccepibile il rilievo della Corte di appello le distanze legali che sono oggetto della previsione di cui all'art. 873 sono le distanze lineari pertanto non possono essere considerate nè quelle che si misurano in verticale tra una porzione di fabbricato sottostante e quella sovrastante, né le consistenze immobiliari appartenenti ai soggetti terzi. Il rilievo non è stato adeguatamente smentito dalla memoria B., che continua a lamentare le conseguenze lesive delle opere denunciate, ma non coglie la rilevanza della propria omissione nel non aver mai indicato, visto che la Corte di appello non ne parla, in quale modo essa abbia fatto inequivocabilmente valere la violazione delle distanze legali da un'area di proprietà esclusiva. 2.1 La Corte di appello ha errato nel definire come carenza di legittimazione attiva la condizione scaturita dall'insussistenza della qualità di frontista in capo all'appellata. Più correttamente avrebbe dovuto rilevare la carenza del diritto sostanziale controverso, rilievo che può essere svolto d'ufficio, come di recente ritenuto dalle Sezioni unite della Corte Suprema SU n. 2951/16 e che può essere oggetto di mera difesa esposta dal convenuto in ogni fase dei giudizio, trattandosi di contestazione de un elemento costitutivo della domanda che attiene al merito della decisione. Trova così rigetto anche il sesto motivo, che denuncia violazione degli artt. 167, 183 e 345 c.p.c. in relazione al rilievo di difetto di legittimazione attiva. 3 II secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 880 c.c., norma che definisce la presunzione di comunione dei muro divisorio. Si sostiene che la B. sarebbe legittimata anche quale comproprietaria di un muro frontista che fungerebbe da divisorio tra due chiostrine al piano terra e che il muro sarebbe fino alla sua sommità comune tra la B. e altri proprietari C.-P. II motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità. Nelle poche righe in cui è composto si dice che sarebbe stato accertato in corso di causa che esisterebbe detto muro e che la B. ne sarebbe proprietaria. In tal modo però si demanda alla Corte di Cassazione la necessaria rivalutazione degli atti di causa per comprendere dove, come e quando sia stata fatta valere la violazione delle distanze in relazione a questo muro. Di esso non viene specificato in quale atto e in qual modo sia stato accertato che sarebbe di comproprietà B. La sentenza di appello infatti, dopo aver rilevato che la proprietaria sottostante non può avanzare pretese per distanze lineari, ha negato che sussista violazione che legittimi alla riduzione in pristino in relazione a una solo a consistenza immobiliare a le pareti sul confine ovest del fabbricato delle parti in causa, pareti che sono di proprietà C.-P. ha poi escluso che sia illegittima la trave di cemento armato avente funzione statica, che è in comproprietà C.-B. quanto al piano terra e C.-U. quanto al piano primo, perché anch'essa prospiciente a un muro di proprietà di soggetti estranei alle parti in causa. Il motivo di ricorso, come il precedente, impinge quindi, anche per la sua inammissibile formulazione, nel rilievo di novità che parte controricorrente ha sollevato. Opportunamente i resistenti hanno poi fatto osservare, con precisi rilievi giurisprudenziali, che per vantare il rispetto delle distanze da un muro divisorio che assume di proprietà comune a terzi, la ricorrente avrebbe dovuto documentare a tempo debito la operatività della presunzione di comunione. 4 II terzo motivo lamenta l'addebito delle spese di ctu e ctp, in contrasto con l'ammissione al gratuito patrocinio ottenuta dalla B. nel 2010. Il motivo è infondato, poiché le spese in caso di soccombenza dell'assistito sono prenotate a debito, ma, per esserlo, deve essere stabilito dal giudicante a chi debbano far carico Cass. 14888/12 . 5 II quarto e quinto motivo attengono a violazioni del regolamento edilizio comunale. Il quarto ha riguardo ai parapetti, di cui in sentenza è stato escluso che violino una distanza legale, ancorchè provochino una diminuzione dell'areazione. Il rigetto della domanda che li riguarda è da confermare per le ragioni già svolte. Non esiste infatti una distanza lineare che sia stata fatta idoneamente valere ex art. 873 c.c., ditalchè la questione è assorbita nelle precedenti osservazioni. Altrettanto deve dirsi per la distanza legale delle chiostrine Urso rispetto alla chiostrina al piano terra. 6 Incomprensibile è poi il settimo motivo si osserva colà che la sentenza del tribunale aveva condannato i convenuti alla demolizione di un ampliamento della centrale termica e che su questo punto non vi sarebbe cenno in motivazione. Non viene detto altro. Manca quindi un'indicazione di quale sia l'interesse della ricorrente a far valere una censura di omessa motivazione. Se B. non si duole di un pregiudizio della sentenza di appello, la censura, che resta priva di aggancio concreto e apprezzabile, è inammissibile. 7 Fondato è invece l'ottavo motivo, relativo all'omessa motivazione recte omessa pronuncia, come è inequivocabile in ordine al risarcimento del danno cagionato da controparte. Tale profilo è di notevole rilievo in causa, atteso che eventuali violazioni addebitabili al comproprietario del piano superiore che abbia, sopraelevando o ampliando o modificando il proprio fabbricato, arrecato nocumento al proprietario dei piano inferiore trovano ristoro, ex art. 872 c.c. prima parte, nella tutela risarcitoria. E' questa la distinzione sulla base della quale la sentenza di appello ha respinto la tutela ripristinatoria. La sentenza nulla dice però in ordine al risarcimento danni, sebbene nelle conclusioni di parte B., riportate in epigrafe della sentenza impugnata, si legga che in via di appello incidentale come deduce il ricorso era stato chiesto il risarcimento dei danni subiti a causa delle opere edilizie illecite . Discende da quanto esposto l'accoglimento dell'ottavo motivo di ricorso e il rigetto degli altri. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Lecce anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta i primi sette motivi di ricorso. Accoglie l'ottavo. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Lecce, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese dei giudizio di legittimità.