Come valutare la natura condominiale o meno di un bene?

La Suprema Corte richiama importanti principi in materia condominiale, ricordando come valutare la proprietà esclusiva o comune ai condomini di alcuni locali adibiti a stenditoio e lavatoio.

In tal senso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12980, depositata il 22 giugno 2016. Il fatto. Viene proposto ricorso in Cassazione contro la decisione con la quale il giudice di merito decideva della proprietà esclusiva di alcuni locali nella specie lavatoio e stenditoio . La questione al vaglio della Suprema Corte riguarda l’idoneità della deliberazione intercorsa nel lontano 1977 a escludere i locali occupati dalla ricorrente dall’insieme dei beni condominiali, dovendo altrimenti presumersi la natura comune degli stessi. Proprietà. I Giudici di legittimità, nell’affrontare la questione, ricordano come l’orientamento giurisprudenziale oggi dominante è quello in base al quale, laddove la genesi di un condominio avvenga mediante il successivo smembramento di una precedente proprietà individuale, la volontà dei contribuenti di attribuire in via esclusiva la proprietà di un bene che, per sua natura e ubicazione, dovrebbe considerarsi comune ai condomini, deve emergere in maniera chiara e trasparente dall’atto bilaterale di trasferimento delle singole frazioni condominiali. In assenza di una esplicita volontà delle parti, all’atto meramente unilaterale dell’originario proprietario non potrebbe riconoscersi alcuna efficacia costitutiva o probatoria, potendosi al più rilevare l’esistenza di circostanze oggettive tali da escludere ragionevolmente la natura condominiale del bene, qualora i connotati strutturali o la collocazione dello stesso rendano evidente, al momento della compravendita, la destinazione nell’interesse esclusivo del proprietario originario di un numero limitato di condomini. Destinazione condominiale dei locali. Nel caso in esame, dunque, osservano i Giudici, il giudice di secondo grado ha fatto corretta applicazione dei principi vigenti nell’ordinamento, rilevando come le caratteristiche strutturali dei locali contestati ne evidenziano l’obiettiva destinazione condominiale, atteso che il lavatoio e lo stenditoio non appaiono separati dalle altre superfici condominiali, costituendo anzi il ricovero per il serbatoio comune dell’acqua per la comune caldaia. Da ciò ne è conseguita l’esclusione della proprietà esclusiva della ricorrente, non potendosi la stessa dedurre né dal tenore degli atti di trasferimento, né dalla delibera richiamata, il cui contenuto non ha trovato eco nei negozi traslativi delle singole frazioni condominiali. Per tali ragioni, la S.C. rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio in favore della resistente.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 26 gennaio – 22 giugno 2016, numero 12980 Presidente Manna – Relatore Falaschi Considerato in fatto In attuazione della L. numero 9 del 1974, l'I.N.C.I.S. stabiliva il trasferimento graduale del proprio patrimonio a favore dell'I.A.C.P., ivi compreso lo stabile sito in Teramo, viale Mazzini numero 2, ceduto attraverso una serie di successivi atti di alienazione, relativi a singole porzioni dello stabile, con la sola eccezione di taluni distacchi dell'immobile e dei locali adibiti al servizio di portierato, destinati dall'ente cedente a uso esclusivo. Con deliberazione numero 52 del 9 dicembre 1977, 1' A.T.E.R., succeduta nel frattempo allo I.A.C.P. e divenuta proprietaria dell'intero edificio, destinava a uso di archivio e deposito i locali prima adibiti a lavatoio e stenditoio. Successivamente, in data 29 luglio 1980, in conseguenza di un primo atto di alienazione di uno degli alloggi dello stabile si costituiva il CONDOMINIO di Viale Mazzini numero 2, il quale, con atto notificato il 6-12 dicembre 2001, citava in giudizio l'A.T.E.R. dinanzi al Tribunale di Teramo, domandando l'accertamento della proprietà comune dei suddetti locali, nonché la condanna della convenuta alla restituzione degli stessi e al risarcimento dei danni derivanti dall'eventuale ritardo nella consegna. Con sentenza numero 1314 del 13 dicembre 2004, nella resistenza della convenuta, il giudice adito rigettava le domande attoree, accogliendo invece la domanda riconvenzionale dell'A.T.E.R. di rivendica della proprietà esclusiva dei locali controversi. Avverso tale sentenza il soccombente condominio interponeva gravame dinanzi alla Corte di Appello di L'Aquila, la quale accoglieva l'impugnazione e, per l'effetto, riformava il provvedimento suddetto, accertando la proprietà condominiale dei beni de quibus, con condanna della convenuta alla restituzione. Con ricorso notificato il 9 luglio 2013, l'A.T.E.R. ha domandato la cassazione della sentenza d'appello, articolando due motivi. Con il primo ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 2728 c.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione rispetto all'idoneità della delibera del 9 dicembre 1977 a vincere la presunzione di condominialità. Con il secondo motivo, ha dedotto l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione rispetto alla destinazione ad uso particolare ed esclusivo dei locali oggetto di controversia. Il CONDOMINIO di Viale Mazzini numero 2 ha resistito con controricorso. Il consigliere relatore, nominato a norma dell'art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all'art. 380 bis c.p.c. proponendo la reiezione del ricorso. In prossimità dell'adunanza camerale parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa. Ritenuto in diritto Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta `2n via preliminare, occorre evidenziare l'irrilevanza dell'eccezione di inammissibilità proposta dal contro ricorrente, secondo cui lo scrutinio del merito della controversia sarebbe precluso dal filtro di cui all'art. 360 bis cp, c., in quanto la sentenza impugnata avrebbe deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurispntden5,,a di questa Corte. LA norma, difatti, alla luce dell'interpretazione consolidata dalla sentenza numero 19051 del 2010 delle Sezioni Unite, impone una valuta,-ione di manifesta infondatezza, e non di inammissibilità, del ricorso, la quale è comunque oggetto di giudizio in questa sede. Ciò precisato, le censure dedotte dalla ricorrente, da valutarsi congiuntamente perla loro stretta connessione, appaiono destituite di fondamento. In sintesi, la ricorrente deduce l'erroneità dell'accertamento svolto dal giudice d'appello, il quale, per avendo correttamente indicato l'ari. 1117 c. c. quale fonte di una presunzione iuris tantum della destinazione condominiale dei beni indicati al secondo comma della medesima norma, avrebbe indebitamente escluso dal novero degli atti contrari idonei a superare tale presunzione l'atto di destinazione unilaterale posto in essere dal proprietario esclusivo di un immobile indiviso, ritenendo invece necessario che tale volontà sia esplicitata nell'ambito del titolo costitutivo del condominio, ossia nel primo negozio di trasferimento delle portoni dell'immobile. La questione riguarda dunque l'idoneità della deliberazione del 9 dicembre 1977 a escludere i locali occupati alla ricorrente dall'insieme dei beni condominiali, dovendosi altrimenti presumere, in virtù dell'aut. 1117, secondo comma, c c. - fondato sul rilievo esperienziale secondo cui determinati beni risultano normalmente connessi da un vincolo di destinatone strumentale alle porzioni di proprietà esclusiva dei singoli condomini - la natura comune degli stessi. Di certo, appare evidente che non può disconoscersi la facoltà dell'unico proprietario dell'immobile di destinare, nell'ambito dell'uso esclusivo dell’edificio, singole frazioni dello stesso a un fine particolare, ma perché tale volontà unilaterale possa imporsi agli eventuali acquirenti delle portoni dello stabile, ossia ai futuri condomini, è necessario che l'elisione del nesso pertinenziale tra la res principale e la res secondaria, laddove non esplicitato in forma chiara nell'atto pubblico di trasferimento, costitutivo del condominio, emerga quantomeno sul piano oggettivo, alla luce dei connotati strutturali o della particolare collocazione del singolo bene la cui natura è controversa. Tale principio, frutto di un approccio ermeneutico attento sia alle prerogative del proprietario sia alle esigenze di tutela degli acquirenti delle porzioni condominiali, trova conferma in numerosi precedenti di questa Corte, atti a tracciare un orientamento giurisprudenziale oggi dominante, in base al quale, laddove la genesi di un condominio avvenga mediante il successivo smembramento di iena precedente proprietà individuale, la volontà dei contraenti di attribuire in via esclusiva la proprietà di un bene che, per sua struttura e ubica ione, dovrebbe considerarsi comune ai condomini, deve emergere in maniera chiara e trasparente dall'atto bilaterale di trasferimento delle singole frazioni condominiali. Del resto, in assen5a di un esplicita manifestazione della volontà delle parti, all'atto meramente unilaterale dell'originario proprietario non potrebbe riconoscersi alcuna efficacia costitutiva o probatoria, potendosi al più rilevare l'esistenza di circostanze oggettive tali da escludere ragionevolmente la natura condominiale del bene, qualora i connotati strutturali o la collocazione dello stesso rendano evidente, al momento della compravendita, la destinazione nell'interesse esclusivo del proprietario originario o di un numero limitato di condomini in tal senso, Cass., nnumero 26766 del 2014 3257 del 2004 16292 del 2002 11877 del 2002 2670 del 2001 5442 del 1999 9221 del 1994 9062 del 1994 6103 del 1993 3679 del 1987 1806 dei 1984 . Pertanto, guardando alle peculiarità del caso di specie, appare doveroso riconoscere che il giudice di secondo grado ha fatto buona applicazione dei suddetti principi rilevando che le caratteristiche strutturali dei locali contestati ne evidenziano l'obiettiva destinazione condominiale, atteso che il lavatoio e lo stenditoio non appaiono strutturalmente separati dalle altre superfici condominiali, costituendo, peraltro, ricovero per il serbatoio comune dell'acqua e per la comune caldaia. Ne è derivata, pertanto, l'esclusione de/l'assenta proprietà esclusiva della ricorrente, non potendosi la stessa dedurre né dal tenore degli atti di trasferimento succedutisi nel tempo, i quali operano una distinzione ristretta ai soli locali destinati al servizio di portineria, né dalla delibera richiamata, il cui contenuto non ha trovato eco nei negozi traslativi delle singole frazioni condominiali v. pag. 5 della sentenza impugnata . Per tali ragioni, appare opportuno procedere in camera di consiglio ai sensi del combinato disposto degli artt. 375 e 380 bis c, p. c., potendosi rilevare la manifesta infondatezza delle deduzioni della ricorrente. . Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio e le critiche formulate dalla ricorrente nella memoria illustrativa non hanno alcuna incidenza su dette conclusioni, giacchè ribadiscono difese che per le ragioni sopra esposte - sono state superate dalle argomentazioni predette e non rappresentano alcuna lacuna motivazionale, non apportando alcun ulteriore elemento di valutazione, e conseguentemente il ricorso va respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. numero 115 del 2002 la Corte è tenuta a dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione in favore del resistente che liquida in complessivi €. 2.000,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.