Differenza tra luci e vedute: per le seconde serve, oltre alla inspectio, anche la prospectio!

Affinché sussista una veduta, a norma dell’art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale.

Distanza tra edifici e distinzione tra luci e vedute. Con la pronuncia n. 7705/2016, la Corte di Cassazione ha l’occasione per ribadire importanti principi già presenti nella giurisprudenza di legittimità in tema di distinzione tra luci e vedute. La vicenda sottoposta alla pronuncia riguarda la domanda di abbattimento di alcune opere poste in violazione della disciplina codicistica in tema di distanze tra edifici. In particolare, e per quanto in questa sede interessa, la Corte di Appello, conformemente alle conclusioni raggiunte dalla CTU esperita in corso di causa, qualificava come veduta una apertura posta ad una altezza tale da consentire l’affaccio sul fondo vicino e ritenendo per ciò stesso integrato il presupposto della prospectio , senza tuttavia considerare che in concreto e per le caratteristiche dell’apertura, la quale era dotata di inferiate di ferro, detta prospectio non era materialmente possibile. Proprio con riguardo a tale punto della decisione di merito viene interposto ricorso per Cassazione, deciso con la sentenza in commento. Il requisito della prospectio nelle vedute. La Corte accoglie il ricorso con riguardo alla censura rivolta alla erronea qualificazione dell’apertura come veduta e non come luce nonostante la stessa non consentisse materialmente, nonostante l’altezza, la prospectio sul fondo vicino. Afferma al riguardo la sentenza in rassegna, richiamando sul punto la giurisprudenza di legittimità consolidata, che affinché sussista una veduta, a norma dell’art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio , anche quello della prospectio , dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale Cass., SS.UU., n. 10615/1996 . Peraltro, la pronuncia ha cura di precisare, sempre richiamando alcuni precedenti di legittimità, che quanto all’affaccio esso deve essere sicuro, nel senso che – avuto riguardo al luogo, alle modalità di accesso e alle caratteristiche dell’apertura – la veduta deve essere possibile senza usare particolare accorgimenti o mettere a repentaglio l’incolumità di chi si affaccia Cass., n. 8331/1997 . In tal senso, secondo la Corte, depone anche la nozione di uso corrente dell’espressione affacciarsi che il legislatore ha recepito nell’art. 900 c.c., la quale denota la posizione che l’osservatore assume per potere, comodamente, senza pericolo e senza ausilio di alcun mezzo artificiale, vedere obliquamente e lateralmente sul fondo altrui, tenendo il petto, protetto dall’opera, a livello superiore a quello massimo dell’opera stessa Cass., n. 455/1980 . Su tali presupposti viene quindi censura la sentenza dei giudici di merito per avere erroneamente qualificato l’apertura come veduta, senza considerare che nel caso di specie la stessa, pur essendo posta ad una altezza tale da consentire di affacciarsi, non consentiva, per determinate caratteristiche, una comoda prospectio nel fondo confinante.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 novembre 2015 – 19 aprile 2016, n. 7705 Presidente Nuzzo – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 5 settembre 1991 T.L. e M.M. evocavano, dinanzi al Pretore di Rimini, Z.C. e premesso di essere proprietari di un immobile sito in Rimini, confinante con quello di proprietà del convenuto, esponevano che lo stesso aveva costruito dei locali in muratura in aderenza al muro di loro proprietà, accecando una luce ed una veduta, oltre ad avere innalzato una tettoia sempre appoggiandola al medesimo muro, così accecando altra veduta, il tutto in violazione dell’art. 907 cc. per non essere stata rispettata la distanza di tre metri dal muro dei vicini, per cui chiedevano la condanna del convenuto all’abbattimento delle opere de quibus. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dello Z. , il quale eccepiva preliminarmente l’incompetenza per valore, spiegata domanda riconvenzionale quanto alle vedute realizzate dagli attori che chiedeva di ricondurre nell’ambito delle luci, ed instaurato altro giudizio nei confronti di MO.Ma. , madre dello Z. , in qualità di comproprietaria ovvero di usufruttuaria dell’immobile, riunito al precedente, il giudice adito, nelle more divenuto competente a seguito della riforma del giudice unico di primo grado il Tribunale di Rimini, espletata istruttoria con l’assunzione di prove testimoniali e c.t.u., in accoglimento della domanda attorea, condannava i convenuti alla rimozione dei manufatti, respinta la riconvenzionale. In virtù di rituale appello interposto dallo Z. , deceduta la madre nel corso del giudizio di primo grado, la Corte di appello di Bologna, nella resistenza degli appellati, rimasta senza esito l’ordinanza di integrazione del contraddittorio nei confronti della Mo. , ordinata dal giudice del gravarne, in parziale accoglimento dell’impugnazione, dichiarava la regolarità della tettoia, confermava per il resto la decisione del giudice di prime cure. A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che le aperture di cui l’appellante lamentava la irregolarità erano complessivamente cinque, tre poste a piano terra e due al primo piano delle prime solo una poteva essere definita venduta per le sue dimensioni, mentre le altre due, per la loro altezza da terra, erano da qualificare quali luci. Quanto alle opere realizzate dallo stesso appellante - tettoia, servizio igienico ed autorimessa - riteneva di confermare la decisione del primo giudice quanto al servizio igienico che era posto ad una distanza inferiore ai tre metri rispetto all’apertura costituente veduta eguali considerazioni venivano svolte con riferimento all’autorimessa che seppure conforme rispetto alla prima apertura che era una luce, tale regolarità veniva meno con riferimento alla seconda apertura che fronteggiava, trattandosi di veduta, per cui anche l’autorimessa doveva essere arretrata a tre metri. Né poteva essere riconosciuto il diritto dell’appellante a mantenere le costruzioni in violazione delle distanze legali per essere stata la causa introdotta nel 1991 ed avere l’appellante acquistato la proprietà del bene nel 1982, non provato alcunché rispetto al periodo antecedente all’acquisto. Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione sempre lo Z. , sulla base di quattro motivi, cui hanno resistito con controricorso la M. con T.K. e Giuseppe, nella qualità di eredi di T.L. . In prossimità della pubblica udienza entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697, comma 2, oc. in relazione all’art. 345 c.p.c., ratione temporis applicabile, per non avere la corte territoriale qualificato correttamente come eccezione di usucapione le argomentazioni da lui avanzate in appello al fine di mantenere le costruzioni realizzate, avendo peraltro già in primo grado eccepito la costruzione ultratrentennale dei manufatti in questione, facendo solo un richiamo generico ed inadeguato alla decisione di primo grado. L’illustrazione del mezzo è conclusa dalla formulazione del seguente quesito di diritto Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2697, comma 2, c.c., in relazione all’art. 345 c.p. c., quest’ultimo nella sua formulazione anteriore alla novella introdotta dalla legge n. 353 del 1990 e successive modifiche e/o integrazioni, deve considerarsi eccezione riconvenzionale ogni richiesta che, pur rimanendo nell’ambito della difesa, amplia il tema della controversia, senza tuttavia tendere ad altro fin e che non sia quello della reiezione della domanda, opponendo al diritto fatto valere dall’attore controparte un diritto idoneo a paralizzarlo, e dunque se deve considerarsi eccezione riconvenzionale di usucapione qualsiasi deduzione e richiesta, anche implicita e istruttoria, da parte del convenuto odierno ricorrente in rivendica, volta a dimostrare il possesso ultraventennale del bene controverso, eccezione che anche se non espressamente formulato o proposta impiegando formule sacramentali e senza necessità di spiegare domanda riconvenzionale, è comunque idonea a paralizzare la pretesa di controparte . Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando un vizio di motivazione circa il fatto controverso relativo alla data di costruzione dei manufatti per cui è causa autorimessa e servizio igienico , insiste nelle circostanze di riprodotte nella seconda parte del primo mezzo. I primi due motivi - i quali, stante la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente - sono fondati, nei termini di seguito precisati. Rientra nel potere discrezionale - e come tale insindacabile - del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare all’uopo le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti, ma egli deve supportare con adeguata e congrua motivazione l’esito del procedimento accertativo e valutativo seguito. D’altro canto la parte convenuta può utilmente contrastare un’azione di carattere reale esercitata nei suoi confronti, per ottenere di esserne assolta, anche sollevando soltanto un’eccezione riconvenzionale di usucapione, senza necessità di formulare la relativa domanda cfr., tra le altre, Cass. 29 aprile 2004 n. 8225 Cass. 18 luglio 2002 n. 10441 . Il ragionamento posto a base delle conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata non è caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico. In primo luogo, la Corte di appello non ha compreso tra le fonti del proprio convincimento la collocazione temporale relativa all’epoca di realizzazione delle opere, limitandosi a fare riferimento alla data di acquisto dei beni, avvenuto nell’anno 1982. In secondo luogo, ha escluso una incidenza dei dati contrari a tale circostanza, evidenziando come il dato oggettivo riportato dal consulente e le ricerche dallo stesso svolte appaiono ben più credibili delle contrarie dichiarazioni rese dai testi di parte appellante pag. 15 della decisione impugnata ma erroneamente, posto che non ha considerato che l’eccezione di usucapione costituiva, logicamente, parte necessaria dell’accertamento devoluto con la domanda presentata dagli attori per ottenere la regolarizzazione delle distanze delle opere edilizie realizzate dal convenuto. In questi limiti, la sentenza impugnata non si sottrae alle censure del ricorrente. Con il terzo motivo il ricorrente censura la decisione impugnata per vizio di motivazione laddove ha qualificato come veduta la seconda apertura posta al piano terra, nonostante abbia utilizzato gli stessi elementi di giudizio del giudice di prime cure, la c.t.u., che aveva condotto il medesimo giudice a definirle tutte e tre vedute. In altri termini, ha ritenuto rilevante solo l’altezza dell’apertura senza dedurre alcunché sulla inspectio e prospectio. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 900 e ss. c.c. sulla distinzione tra luci e vendute, in - particolare per avere considerato come veduta la seconda apertura posta al piano terra che invece andava qualificata quale luce essendo - secondo la descrizione del consulente tecnico di ufficio - munita di infisso in legno con vetro scuro, apribile verso l’interno, con inferriata in ferro a protezione. Il mezzo è concluso dalla formulazione del seguente quesito di diritto Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se, in relazione agli arti. 900 e ss. cc., sporgere e protendere il capo verso il fondo attiguo attraversando con la testa un’inferriata, costituisce manovra poco agevole e sicuramente eccezionale, di per sé sufficiente ad escludere al normale, naturale, comoda e permanente destinazione dell’apertura alla vista e all’affaccio sul fondo altrui e dunque tale da escludere la sua natura e configurazione tecnico-giuridica di veduta per essere la stessa da inquadrare e qualificare come luce . Anche i restanti due motivi, che per eguali ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, affinché sussista una veduta, a norma dell’art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio sul fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale tra le tante v. Cass. SS.UU. 28 novembre 1996 n. 10615 Cass. 16 ottobre 2002 n. 14693 Cass. 25 ottobre 2006 n. 22844 . In particolare, quanto all’affaccio, questa Corte ha affermato che esso deve essere sicuro, nel senso che - avuto riguardo al luogo, alle modalità di accesso e alle caratteristiche dell’apertura - la veduta deve essere possibile senza usare particolari accorgimenti o mettere a repentaglio l’incolumità di chi si affaccia Cass. 1 settembre 1997 n. 8331 . È stato ulteriormente puntualizzato che, secondo l’uso corrente, che deve ritenersi recepito dal legislatore nella definizione delle vedute art. 900 c.c. , l’espressione affacciarsi denota la posizione che l’osservatore assume per potere, comodamente, senza pericolo e senza l’ausilio di alcun mezzo artificiale, vedere obliquamente e lateralmente sul fondo altrui, tenendo il petto, protetto dall’opera, a livello superiore a quello massimo dell’opera stessa Cass. 19 gennaio 1980 n. 455 Cass. 12 dicembre 1980 n. 6403 . In ogni caso, è rimesso all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, verificare in concreto se l’opera - in considerazione delle caratteristiche strutturali e della posizione degli immobili rispettivamente interessati - permetta a una persona di media altezza I affaccio sul fondo del vicino o il semplice prospetto Cass. 8 marzo 2011 n. 5421 Cass. 17 novembre 2003 n. 17347 . Nella specie, la Corte di Appello ha accertato, in punto di fatto, che delle tre aperture poste al piano terra solo una poteva essere considerata veduta per le dimensioni, la seconda contrassegnata come n. 2 e ciò sulla base dell’altezza, m. 0,90 dal pavimento, della larghezza, m. 0,50 e della altezza dell’apertura, m. 0,73. Ciò posto, il giudice del gravame ha ritenuto che stante l’altezza da terra, questa consente anche ad una persona di media statura di cm. 170-175 di altezza di sporgere il capo oltre il bordo esterno dell’apertura. Nel pervenire a tali conclusioni, la Corte territoriale ha fatto riferimento alle foto prodotte e all’esito della c.t.u Deve subito evidenziarsi che le argomentazioni addotte dal giudice di merito per attribuire all’apertura in questione la natura di veduta appaiono del tutto carenti e insoddisfacenti sotto il profilo logico. Nel ricorso si evidenzia che lo stesso ausiliare del giudice con riferimento all’apertura de qua oltre alle dimensioni, ne ha illustrato le caratteristiche munita di infisso in legno con vetro scuro apribile verso l’interno, con inferriata in ferro a protezione , che per come descritta, non poteva consentire una comoda prospectio nel fondo confinante, alla luce della giurisprudenza formatasi circa il requisito essenziale della prospectio, ovviamente non praticabile in tali condizioni, certamente tali da non consentire l’affaccio. Tenuto conto delle caratteristiche dell’apertura in questione, infatti, non si vede, in base alla semplice applicazione delle leggi fisiche ed anatomiche, come possa una persona di normale statura guardare e sporgere comodamente il capo verso il fondo limitrofo da una apertura che seppure posta ad altezza di m. 0,90 dal pavimento, abbia una inferriata di protezione, senza descrivere le caratteristiche di detta protezione. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto nei limiti di cui in motivazione, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna, la quale procederà a nuovo esame, alla luce dei rilievi innanzi enunciati e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.