Il singolo condomino non si può appropriare del sottosuolo in quanto di natura condominiale

Sull’utilizzo del sottosuolo da parte di un singolo condòmino, il quale vi aveva intrapreso opere di scavo senza alcuna preventiva autorizzazione da parte del condominio.

Questa la questione di cui si è occupata la Corte di Cassazione con la decisione n. 6154/16, depositata il 30 marzo. Il fatto. Avverso tale comportamento, giudicandolo illegittimo, si rivolgeva al Tribunale competente il condominio in persona del proprio amministratore, con ricorso possessorio con il quale pertanto veniva richiesta la cessazione dello spoglio e la conseguente reintegra nel possesso che veniva accolto in primo grado e, in seguito a gravame presentato dal soccombente, confermato dalla Corte di appello. I giudici del merito, in particolare, rilevavano come il punto decisivo della causa e quindi la ragione per la quale il ricorso andava accolto fosse costituito dal regolamento di condominio opponibile alle parti in quanto richiamato negli atti di compravendita , che prevedeva letteralmente costituiscono proprietà comune il terreno sul quale sorgono gli edifici, le loro fondazioni, strutture portanti . Il regolamento di condominio che preveda la natura condominiale di alcuni beni è opponibile agli acquirenti purchè risulti trascritto negli atti di vendita. Il suolo sul quale era stato eseguito lo scavo, pertanto, osservava in particolare la Corte di appello, per quanto parte di un edificio separato da quello diviso in più porzioni esclusive , è da ritenersi condominiale in forza appunto della disposizione del regolamento di condominio, il che significa che un singolo condòmino non può appropriarsene eseguendo degli scavi a proprio piacere. L’estensione della proprietà condominiale ad un immobile può essere giustificata solo in ragione di un titolo idoneo. La decisone della Corte di appello veniva poi confermata dalla Suprema Corte, la quale nel respingere il ricorso rilevava come un bene non ricompreso nell’elenco di cui all’art. 1117 c.c. possa comunque come nel caso di specie essere considerato comune in forza di un titolo quale appunto il regolamento di condominio. La Cassazione, inoltre, rilevava in applicazione di principi piuttosto noti ed in più occasioni ribaditi dalla stessa Corte Suprema come ai sensi dell’art. 1117 c.c. che fornisce come è noto un elenco non esaustivo delle parti comuni il sottosuolo, da intendersi quale zona esistente in profondità al di sotto dell’area superficiaria che è alla base dell’edificio, va considerato di proprietà condominiale. Non è permesso, pertanto, ad alcun condòmino appropriarsi del bene in questione appunto ad esempio compiendovi uno scavo privandone gli altri condòmini di pari possibilità, anche solo teorica, di utilizzo. Il condomino non può appropriarsi del bene comune come si trattasse di un bene di propria esclusiva proprietà. La condotta del condòmino che senza il consenso degli altri partecipanti proceda a scavi in profondità nel sottosuolo acquisendone la proprietà, finirebbe, osserva la Corte nella decisione in oggetto, con l’attrarre la cosa comune nell’ambito della disponibilità esclusiva di quello , il che ovviamente è vietato in quanto costituisce uno spoglio di un bene comune perpetuato da un singolo. La Cassazione, in sostanza, e così i giudici di merito, una volta acclarato che il suolo in questione era per diposizione del regolamento condominiale di proprietà condominiale, non poteva che ritenere illegittima e pertanto sanzionare l’attività del singolo condòmino che se ne era appropriato considerandolo alla stregua di un bene in esclusiva proprietà.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 11 febbraio – 30 marzo 2016, n. 6154 Presidente Mazzacane – Relatore Scarpa Svolgimento del processo Con ricorso notificato il 5 giugno 2006, il Condominio di via Palladio n. 4/6, Milano, esponeva che la società R.G. & amp C. s.a.s. e la Locat s.p.a., nelle rispettive qualità di utilizzatrice in forza di contratto di locazione finanziaria e di proprietaria di una porzione immobiliare sita al piano terreno dell’edificio condominiale, avevano intrapreso opere di scavo nel sottosuolo senza alcuna autorizzazione del Condominio. Veniva richiesta pertanto la sospensione delle opere e la reintegrazione del Condominio nel possesso del bene comune mediante il ripristino dello stato anteriore, oltre al risarcimento del danno. Il Condominio chiedeva inoltre la rimozione di una nuova porta d’accesso dall’immobile dei resistenti nel cortile condominiale, di una tubazione per il gas, di altra tubazione per l’esalazione degli odori dei locali rifiuti e di una canna fumaria correnti lungo le facciate dell’edificio, ed ancora l’eliminazione della muratura di un varco del cortile, con ripristino del cancello. Sia LOCAT S.p.A. che, quale locatrice finanziaria, deduceva l’esclusiva disponibilità dell’immobile in capo all’utilizzatrice sia la società R.G. & amp C. s.a.s. si costituivano chiedendo il rigetto delle domande. Il Tribunale di Milano dapprima, risultando le denunciate opera ultimate, con ordinanza del 24 luglio 2006 rigettava l’istanza cautelare, quindi, con sentenza del 23 aprile 2008, accoglieva il ricorso e ordinava la reintegrazione del Condominio di OMISSIS nel possesso del terreno su cui sorge il fabbricato, e del quale le società Locat s.p.a. e R.G. & amp C. s.a.s. sono, rispettivamente proprietaria e conduttrice in locazione finanziaria, ordinando il ripristino dello stato dei luoghi. Veniva proposto appello dalla R.G. & amp C. s.a.s., e tale gravame veniva rigettato dalla Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 1179/2011 del 21 aprile 2011. La sentenza della Corte di merito riteneva che il punto decisivo della causa fosse costituito dal Regolamento condominiale, il quale, all’art. 1, secondo quanto trascritto in sentenza, stabilisce. formano oggetto del presente regolamento di condominio gli stabili di Milano, via Palladio n. 4 6 ai mappali 33, 32, 31 del fg. 527, nonché il terreno sul quale i fabbricati sono eretti e il cortile annesso al mappale 34 mentre all’art. 2 prevede che costituiscono proprietà comune in modo inalienabile e indivisibile a tutti i condomini e devono essere mantenuti efficienti a spese comuni il terreno sul quale sorgono gli edifici, le foro fondazioni, strutture portanti, il cortile al mappale 34 . Acclarata l’opponibilità di tale regolamento alle parti in causa, in forza del richiamo di esso nell’atto di compravendita dell’unità immobiliare concluso dai danti causa, la Corte di Milano ha affermato che il suolo ed il sottosuolo su cui poggia l’immobile condotto in locazione dalla R.G. & amp C. s.a.s., seppure parte di un edificio separato da quello diviso in più porzioni esclusive, rientrano tra i beni comuni proprio in forza delle richiamate clausole regolamentari che si riferiscono, come visto, al terreno sul quale i fabbricati sono eretti . I giudici d’appello rigettavano poi l’eccezione di carenza di legittimazione passiva di Locat s.p.a., in quanto comunque proprietaria dell’unità immobiliare esclusiva detenuta dalla conduttrice. Avverso la sentenza n. 1179/2011 della Corte d’Appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione in due motivi la R.G. & amp C. s.a.s., con riguardo al quale si difende con controricorso il Condominio di OMISSIS , mentre Unicredit Leasing s.p.a. già Locat s.p.a. propone ricorso incidentale in unico motivo. Motivi della decisione Il primo motivo del ricorso della società R.G. & amp C. censura l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonché la violazione e falsa applicazione degli articoli 1168 e 2697 c.c. e 116 c.p.c., per aver la Corte di Milano ritenuta l’esistenza del possesso del Condominio sul terreno di copertura del locale autorimessa, oggetto degli scavi denunciati, pur in mancanza di ogni prova al riguardo. La ricorrente contesta che i giudici di appello si siano soffermati solo sul titolo di proprietà del suolo e del sottosuolo, senza considerare la situazione di fatto, ed in particolare il dato che tale terreno fungesse da sostegno per la sola autorimessa di proprietà esclusiva, in maniera da non dare, quindi, alcuna utilità al condominio. Col secondo motivo del ricorso principale si censura l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonché la violazione e falsa applicazione degli articoli 1168 c.c. e 703 c.p.c., in quanto mancavano, nel caso di specie, i presupposti della tutela possessoria, quali l’animus spoliandi e la clandestinità, giacché la stessa società R.G. & amp C. sapeva che i restanti condomini ritenevano il capannone un bene a sé stante, escluso dalla situazione condominiale. Unicredit Leasing s.p.a., nel suo unico motivo di ricorso incidentale, contesta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ad opera della corte territoriale, la quale ha ritenuto sussistere la legittimazione passiva della locatrice finanziaria, pur comportando il contratto di leasing in essere con la R.G. & amp C. s.a.s. l’assunzione in carico alla medesima utilizzatrice dell’immobile di ogni rischio e responsabilità. Il primo motivo di ricorso, inerente alla mancanza di prova del possesso del Condominio sul terreno oggetto dell’intervento di escavazione, concerne questioni di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata né nell’esposizione dei motivi di appello né in motivazione. La parte ricorrente, al fine di escludere un’inammissibile novità della censura, ha allegato di aver dedotto la questione della carenza della prova del possesso sia nella comparsa di costituzione e risposta in primo grado che, poi, nell’atto di appello, e che però la Corte d’appello abbia omesso di dare risposta alla sue doglianze. Tuttavia, il profilo è stato sottoposto all’esame di questa Corte come vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ovvero come violazione e falsa applicazione degli articoli 1168 e 2697 c.c. e 116 c.p.c Trattandosi, invece, di omessa pronuncia su un motivo di appello, per totale carenza di considerazione dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante così come in ogni ipotesi di omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio -, e risolvendosi la stessa nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, tale vizio andava denunziato come difetto di attività del giudice di secondo grado, che doveva essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione delle norme di diritto sostanziale ex art. 360 n. 3 c.p.c. o del vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare, o non giustificando adeguatamente, la decisione al riguardo resa , ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità - in tal caso giudice anche del fatto processuale - di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo Cass. 27 ottobre 2014, n. 22759 . È invece infondato il secondo motivo di ricorso principale, quanto alla carenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi dell’azione di reintegrazione. Dall’esame del regolamento di condominio e dalla destinazione funzionale del terreno in oggetto, posto in rapporto di strumentalità col fabbricato principale, la Corte di Milano ha ricavato, ad colorandam possessionem , l’inclusione dello stesso fra le parti comuni dell’edificio ex art. 1117 c.c., così accertando che le denunciate utilizzazioni da parte della società R.G. & amp c. eccedessero i limiti segnati dalle concorrenti facoltà dei condomini compossessori. In base all’art. 1117 c.c., infatti, l’estensione della proprietà condominiale ad un immobile, quale quello oggetto di lite, che appare come corpo di fabbrica separato rispetto all’edificio in cui ha sede il condominio, può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del condominio stesso avendo la Corte di merito inteso come tale il regolamento di condominio richiamato nell’atto di acquisto dei danti causa di Locat S.p.a. , qualificando espressamente tale bene come ad esso appartenente articoli 1 e 2 del citato Regolamento . D’altro canto, la norma regolamentare che ricomprende nella proprietà comune il terreno sul quale sorgono gli edifici appare mera riproduzione della regola attributiva dell’art. 1117 c.c., la quale abbraccia pure il suolo su cui sorge l’edificio . Oggetto di proprietà comune, agli effetti dell’art. 1117 c.c., è non solo la superficie a livello del piano di campagna, bensì tutta quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l’intero fabbricato e dunque immediatamente pure la parte sottostante di esso. Il termine suolo , adoperato dall’art. 1117 citato, assume, invero, un significato diverso e più ampio di quello supposto dall’art. 840 c.c., dove esso indica soltanto la superficie esposta all’aria. Piuttosto, l’art. 1117 c.c., letto sistematicamente con l’art. 840 dello stesso codice, implica che il sottosuolo, costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell’area superficiaria che è alla base dell’edificio seppure non menzionato espressamente dall’elencazione esemplificativa fatta dalla prima di tali disposizioni , va considerato di proprietà condominiale in mancanza di un titolo, che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini. Pertanto, nessun condomino può, senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, procedere all’escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, in quanto, attraendo la cosa comune nell’orbita della sua disponibilità esclusiva, verrebbe a ledere il diritto di proprietà degli altri partecipanti su una parte comune dell’edificio, privandoli dell’uso e del godimento ad essa pertinenti Cass. 13 luglio 2011, n. 15383 Cass. 2 marzo 2010, n. 4965 Cass. 24 ottobre 2006, n. 22835 Cass. 27 luglio 2006, n. 17141 Cass. 9 marzo 2006, n. 5085 Cass. 28 aprile 2004, n. 8119 Cass. 18 marzo 1996, n. 2295 Cass. 23 dicembre 1994, n. 11138 Cass. 11 novembre 1986, n. 6587 . La condotta del condomino che, senza il consenso degli altri partecipanti, proceda a scavi in profondità del sottosuolo, acquisendone la proprietà, finirebbe, in pratica, con l’attrarre la cosa comune nell’ambito della disponibilità esclusiva di quello. Sicché, avendosi nella specie riguardo all’utilizzazione del sottosuolo di un fabbricato compreso nel condominio, la configurabilità di uno spoglio denunciabile con azione di reintegrazione dall’amministratore condominiale, al fine di conseguire il recupero del godimento della cosa, sottratto illecitamente, postula il riscontro di una situazione di compossesso del sottosuolo medesimo, qui desunta dalla destinazione funzionale del bene la Corte di Milano afferma in proposito di aver accertato un rapporto imprescindibile di strumentalità con il fabbricato principale , oltre che, ad colorandam possessionem , dalla sua verificata inclusione fra le parti comuni dell’edificio, nonché il riscontro ulteriore che l’indicata utilizzazione ecceda, appunto, i limiti segnati dalle concorrenti facoltà del compossessore cfr. Cass. 4 dicembre 1974, n. 3965 Cass. 28 gennaio 1985, n. 432 Cass. 16 dicembre 2004, n. 23453 . Del resto, la prova dell’animus spoliandi può essere desunta, per via di logica astrazione, dallo stesso comportamento dell’agente, e tale consapevolezza di mutare lo stato di fatto preesistente contro la volontà del Condominio, secondo l’incensurabile valutazione del giudice di merito, sarebbe stata implicita nella situazione di fatto dei luoghi . Il ricorso principale della società R.G. & amp c. va perciò rigettato. Va altresì rigettato il ricorso incidentale proposto da Unicredit Leasing s.p.a., la quale deduce il proprio difetto di legittimazione passiva, in quanto semplice concedente del bene in locazione finanziaria all’utilizzatrice R.G. & amp c. s.a.s. Certamente l’art. 1168 c.c. configura la legittimazione passiva all’azione di reintegrazione secondo uno schema di tipo personale, sicché la domanda è esperibile contro l’autore dello spoglio. Vi sono, tuttavia, fattispecie in cui il provvedimento di reintegrazione va eseguito nella sfera possessoria o proprietaria di un soggetto estraneo all’episodio lesivo, ma vincolato al bene da un unico ed inscindibile rapporto giuridico. Sicché, quando l’attuazione della richiesta tutela possessoria imponga la rimozione dello stato di fatto abusivamente creato, con l’abbattimento di opere appartenenti in proprietà anche a terzi non presenti in giudizio, sussiste la necessità di integrare nei loro confronti il contraddittorio altrimenti, la sentenza resa nei confronti soltanto dell’autore dello spoglio, e non anche del proprietario dell’opera, sarebbe inutiliter data , giacché la demolizione della cosa pregiudizievole inciderebbe sulla sua stessa esistenza e necessariamente quindi sulla proprietà di quel terzo pretermesso, a nulla rilevando, in contrario, che costui possa poi fare opposizione all’esecuzione nelle forme previste dall’art. 615 c.p.c. Cass. 20 gennaio 2010, n. 921 . Ora, poiché nell’operazione di leasing finanziario, quale quella che si assume intervenuta tra la concedente Locat S.p.a. e l’utilizzatrice R.G. & amp c. s.a.s., la proprietà del bene rimane in capo al concedente, attribuendosi lo stesso all’utilizzatore in forma di detenzione autonoma qualificata fino al momento dell’eventuale esercizio della facoltà di riscatto, sussiste la necessaria legittimazione passiva del medesimo concedente nell’azione di reintegrazione proposta da un terzo, qualora il ripristino della situazione anteriore allo spoglio debba avvenire con la demolizione di un’opera concernente il bene dato in godimento. Al rigetto dei ricorsi principale ed incidentale consegue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, in favore del Condominio controricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e condanna ciascuno dei ricorrenti a rimborsare al controricorrente Condominio di omissis le spese sostenute in questo giudizio, che liquida per ciascuno dei soccombenti in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.