Tutela possessoria: la Cassazione delinea l’ambito di applicazione dell’eccezione feci sed iure feci

Nel giudizio possessorio l’eccezione feci sed iure feci non è ammissibile quando tenda a fare valere non già lo ius possessionis, cioè l’esistenza di un possesso nello spogliatore, ma lo ius possidendi, e cioè il diritto di possedere dello spogliatore medesimo, con la conseguenza che deve escludersi che, in sede possessoria, la prova del possesso possa desumersi dal regime – legale o convenzionale – del diritto reale corrispondente, occorrendo invece che venga dimostrato l’esercizio di fatto del vantato possesso, indipendentemente dal titolo.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4198/2016, depositata il 3 marzo. Giudizio possessorio, onere della prova e difese del resistente. Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione interviene con una interessante pronuncia in tema di giudizio possessorio ed eccezione feci sed iure feci . La vicenda sottesa alla sentenza trae spunto dall’azione possessoria con cui i comproprietari di un fondo a cui vantaggio vi era una servitù attiva di passo agivano nei confronti del comproprietario il quale, pur non avendo mai utilizzato il tratto di strada interessato, nei mesi immediatamente precedenti l’instaurazione del giudizio aveva ricavato dal suo immobile in esclusiva proprietà alcune autorimesse con conseguente notevole aggravamento dell’esercizio del diritto di passo dei ricorrenti. Mentre, in primo grado, il giudice di merito rigettava il ricorso, in appello veniva accolta la domanda dei ricorrenti, con la quale il giudice di merito inibiva al resistente il transito sulla strada e lo condannava al risarcimento del danno da liquidare in separata sede. Contro la decisione di merito veniva, quindi interposto, ricorso per Cassazione, proponendo un unico motivo di ricorso con cui si censurava la decisione di merito per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1140 e 1102 c.c., ricorso che viene rigettato dalla Corte con la pronuncia in commento. Onere della prova e violazione di legge. Preliminarmente, la Corte prende posizione sulla dedotta violazione di legge con riferimento al disposto dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova, laddove il ricorrente asserisce che il giudice di merito gli avrebbe erroneamente addossato l’onere di provare il compossesso sul bene, a fronte dell’affermazione dei resistenti circa la comproprietà del bene con il ricorrente e il possesso pieno ed esclusivo in capo a loro, mentre sarebbe stato onere di chi fa valere una pretesa in giudizio provare la situazione di fatto dedotta. La Corte, oltre a rigettare la doglianza nel merito, ricorda che, secondo la giurisprudenza di legittimità consolidata, la violazione di legge con riguardo all’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata, secondo le regole dettate da quella norma non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi sarà soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. Cass. 2 dicembre 1993, n. 11946 Cass. 14 febbraio 2001, n. 2155 Cass. 5 settembre 2006, n. 19064 . Le difese possessorie e l’eccezione feci sed iure feci. La Corte, nel rigettare il ricorso, si pronuncia anche sulla difesa del ricorrente il quale censurava la sentenza di merito per aver ritenuto irrilevanti le deduzioni dello stesso sul suo diritto di utilizzare la strada in base al suo titolo di proprietà. In merito, la sentenza in commento ribadisce importanti principi con riguardo alla c.d. eccezione feci sed iure feci , in relazione a cui la pronuncia afferma che nel giudizio possessorio detta eccezione non è ammissibile quando tenda a fare valere non già lo ius possessionis , cioè l’esistenza di un possesso nello spogliatore, ma lo ius possidendi , e cioè il diritto di possedere dello spogliatore medesimo. Di conseguenza, aggiunge la Corte, deve escludersi che in sede possessoria la prova del possesso possa desumersi dal regime – legale o convenzionale – del diritto reale corrispondente, occorrendo invece che venga dimostrato l’esercizio di fatto del vantato possesso, indipendentemente dal titolo Cass. 24 maggio 2002, n. 7621 Cass. 22 giugno 1995, n. 7067 . In tale contesto si può, altresì, rilevare come in una più recente pronuncia, la Corte abbia affermato che nelle azioni possessorie, l’eccezione feci sed iure feci , sollevata dal convenuto che deduca di essere compossessore della cosa, rende necessario l’esame del titolo, per stabilire, sia pure ad colorandam possessionem , l’esistenza e l’estensione del diritto che si allega, con la conseguenza che tale eccezione deve ritenersi ammissibile se il convenuto tenda a dimostrare di aver agito nell’ambito della sua relazione di fatto, esclusiva o comune, con il bene, mentre deve ritenersi inammissibile se il convenuto miri a fare accertare il suo diritto sul ben medesimo, non potendo la prova del possesso essere, in sede di procedimento possessorio, desunta dal regime legale o convenzionale del corrispondente diritto reale, occorrendo viceversa dimostrare l’esercizio di fatto del vantato possesso indipendentemente dal titolo così Cass. 29 gennaio 2007, n. 1795 .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 gennaio – 3 marzo 2016, n. 4198 Presidente Mazzacane – Relatore Matera Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 9-10-2003 C.A., G.P., G.C.I. e B.L., premesso di essere comproprietari, in Suisio, della strada di accesso ai mappali di rispettiva proprietà, nonché titolari di servitù attiva di passo carrale e pedonale su detta strada, insistente sui mappali 1100\c e 182\c, lamentavano che nei trascorsi mesi estivi G. P., il quale in precedenza non aveva mai utilizzato il tratto di strada insistente sul mappale 182\c, aveva ricavato dal suo immobile alcune autorimesse, con notevole aggravamento dell'esercizio del diritto di passo dei ricorrenti. Denunciavano, inoltre, che il vicino aveva aperto sulla stessa strada delle finestre munite di persiane a bandiera, che impedivano il passaggio di furgoni telonati. Tanto premesso, i ricorrenti chiedevano la condanna del G. all'immediata chiusura delle autorimesse e delle vedute o, in subordine, alla eliminazione delle ante a bandiera,cosi reintegrando o mantenendo i ricorrenti stessi nel possesso del transito lungo il tratto di strada insistente sui mappali 1100\c e 182\c. Il G. sì costituiva sostenendo di essere proprietario esclusivo della strada insistente sul mappale 182\c e negando, comunque, di aver procurato, mediante la realizzazione di autorimesse, alcun pregiudizio al possesso del passaggio in capo ai ricorrenti quanto alle vedute e ai sistemi di chiusura, eccepiva la decadenza per lo spirare dei termine annuale. Con sentenza in data 7-2-2006 il Tribunale di Bergamo rigettava la domanda. Il giudice rilevava che dalle testimonianze raccolte si evinceva che le vedute e le ante a bandiera erano state realizzate oltre un anno prima del ricorso, di modo che risultava fondata l'eccezione di decadenza formulata dal resistente. Quanto alla realizzazione delle autorimesse, escludeva che tale comportamento avesse arrecato un pregiudizio all'esercizio del diritto di transito vantato dai ricorrenti sulla strada aggiungeva che il G. risultava comproprietario della strada e che, pertanto, la valutazione dell'estensione del possesso e dei modi di suo esercizio avrebbe dovuto compiersi tenendo conto dei titoli vantati dai compossessori e secondo criteri di contemperamento suggeriti dalle esigenze della civile convivenza e dei rapporti di buon vicinato. Avverso la predetta decisione proponevano appello i soccombenti. Con sentenza in data 17-2-2009 la Corte di Appello di Brescia, in accoglimento del gravame, inibiva a G. P. di transitare e di autorizzare a terzi il transito della strada di cui al mappale 182\c per raggiungere la sua proprietà condannava, inoltre, l'appellato al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese di doppio grado. La Corte territoriale, nel dare atto che, prima della realizzazione delle autorimesse, il G. non aveva mai esercitato alcun passaggio sul ristretto sedime stradale di cui si discute, riteneva che il comportamento tenuto dall'appellato, consistente nel transito sul mappale 82\c, con persone e mezzi alla volta della sua proprietà, comportava una sensibile limitazione e, quindi, una molestia del possesso esercitato in modo pieno sulla stessa particella dagli appellanti, ai quali, pertanto, doveva essere accordata tutela manutentiva. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso G. P., sulla base di un unico motivo. C.A., G.P., G.C.I. e B.L. hanno resistito con controricorso. Motivi della decisione 1 Con l'unico motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1140 e 1102 c.c. Nel premettere che è pacifico che il G. è comproprietario dei tratto di strada di cui al mappale 182\c, sostiene che, avendo i ricorrenti allegato la comproprietà del bene e il possesso pieno ed esclusivo dello stesso, sarebbe stato loro onere fornire la prova di tale situazione di fatto, e non già onere dei resistente dimostrare il proprio compossesso. I ricorrenti, pertanto, avrebbero dovuto dare la prova rigorosa di avere attratto il sedime nella loro sfera di materiale ed esclusiva disponibilità, esercitando un possesso esclusivo ed animo domini incompatibile con il permanere di quello del G. ed impedendo a quest'ultimo materialmente e durevolmente il ripristino del corpus. Il motivo è infondato. La Corte di Appello ha rilevato che, secondo la prospettazione contenuta nel ricorso introduttivo, i ricorrenti assumevano di esercitare, sul tratto di strada per cui è causa, il possesso pieno e indisturbato, in quanto G. P., prima della realizzazione delle autorimesse, non aveva mai preteso di transitarvi. Ha ritenuto fondato tale assunto, rilevando che dalle fotografie prodotte dall'appellato risultava che effettivamente la facciata dell'immobile del G., prima della ristrutturazione, non presentava alcuna apertura sul mappale 182\c ad eccezione di alcune finestre e che, pertanto, risultava dimostrato che il G. non aveva alcuna utilità a transitare su quel tratto di strada. Sulla base di tali rilievi, ha ritenuto certo che, prima della realizzazione delle aperture di accesso alle tre autorimesse, sul mappale 182\c non vi era alcun passaggio di persone o di mezzi per accedere o recedere dall'edificio nella disponibilità dei G Così statuendo, la sentenza impugnata non è incorsa nelle denunciate violazioni di legge. Non vi è stata violazione del principio dell'onere della prova, in quanto la Corte di Appello non ha addossato al G. un onere probatorio su lui non gravante, ma ha ritenuto certo, in punto di fatto, sulla base delle risultanze documentali in atti rilievi fotografici e di elementi presuntivi, il possesso esclusivo del tratto di strada in questione in capo agli odierni resistenti e il mancato esercizio di ogni forma di passaggio da parte del G Si tratta di un apprezzamento di fatto che nel presente giudizio di legittimità avrebbe potuto essere censurato solo sotto il profilo del vizio della motivazione, nella specie non dedotto. In tema di ripartizione dell'onere della prova, infatti, la violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c. si configura soltanto nell'ipotesi che il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi sarà soltanto un erroneo apprezzamento sull'esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. Cass. 2-12-1993 n. 11949 Cass. 14-2-2001 n. 2155 Cass. 5-9-2006 n. 19064 . Allo stesso modo, costituisce accertamento di merito, non sindacabile in questa sede se non sotto il profilo del vizio della motivazione, nella specie non dedotto, l'affermazione -sorretta da argomenti di ordine logico secondo cui la situazione possessoria relativa al tratto di strada de quo è stata alterata in modo consistente a seguito delle opere realizzate dall'appellato e del conseguente transito verso le nuove autorimesse secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice del gravame, tale transito, prima inesistente, ha limitato sensibilmente il possesso precedentemente esercitato dagli appellanti, in considerazione del rilievo che, su un ristretto sedime stradale qual è quello di cui si discute sul punto sono state richiamate le fotografie in atti , possono avere la presenza, il transito e la manovra dei veicoli ospitati in tre autorimesse. Correttamente, d'altro canto, la Corte di Appello ha ritenuto irrilevanti le deduzioni svolte dall'appellato riguardo al suo diritto di utilizzare la strada in questione, in base al suo titolo di proprietà. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, infatti, nel giudizio possessorio l'eccezione feci sed iure feci non è ammissibile quando tenda a fare valere non già lo ius possessionis, cioè l'esistenza di un possesso nello spogliatore, ma lo ius possidendi, e cioè il diritto di possedere dello spogliatore medesimo. Di conseguenza, deve escludersi che in sede possessoria la prova del possesso possa desumersi dal regime -legale o convenzionale del diritto reale corrispondente, occorrendo invece che venga dimostrato l'esercizio di fatto del vantato possesso, indipendentemente dal titolo Cass. 24-5-2002 n. 7621 Cass. 22-6 1995 n. 7067 . Nella specie, come si è rilevato, la sentenza impugnata ha accertato, in punto di fatto, il possesso degli appellanti e la mancanza di un possesso attuale del ricorrente, il quale, con l'apertura delle tre autorimesse e il conseguente transito sul tratto di strada in questione, ha arrecato molestia al possesso esercitato dai primi. Nessun rilievo, pertanto, può assumere la circostanza che il G. abbia agito in forza del suo titolo di proprietà, in quanto ciò equivarrebbe a far valere il suo diritto reale, irrilevante nella presente controversia possessoria. 2 Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dai resistenti nel presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.