Atto lecito dannoso e rapporti condominiali: sì al risarcimento del danno!

In una situazione di coesistenza di due diritti – quello del condominio di eseguire le opere, imposte dalla pubblica amministrazione, di consolidamento delle strutture portanti della proprietà comune, da una parte e quello del singolo condomino a non vedersi menomato nel godimento del proprio diritto di proprietà esclusiva sulla unità immobiliare posta nello stesso edificio condominiale, dall’altro – l’obbligo di indennizzare il condomino danneggiato dall’esecuzione dell’opera costituisce la soluzione adottata dall’ordinamento giuridico per contemperare e comporre i due interessi in contrasto, nessuno dei quali appare interamente sacrificabile all’altro.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25292, depositata il 16 dicembre 2015. Tutela della proprietà esclusiva e ingerenza del condominio. Con la pronuncia in commento la Suprema Corte si pronuncia su una interessante questione riguardante i rapporti tra condominio e singolo condomino con riferimento alla ingerenza del condominio sulla proprietà esclusiva di un condomino in adempimento di un atto dovuto. In particolare, la fattispecie sottesa alla pronuncia in commento trae spunto dalla richiesta di un condomino di ottenere l’indennizzo derivante dalla realizzazione, ad opera del condominio, di opere di consolidamento della struttura senza il suo previo consenso. Il condominio si oppone alla richiesta rilevando che le opere in questione erano state poste in essere in adempimento di un provvedimento della pubblica amministrazione che imponeva al condominio la messa in sicurezza dell’edifico. Mentre in primo grado i giudici rigettano la domanda, in appello la Corte territoriale accoglie il gravame ritenendo che l’appello rispettava i criteri di specificità dei motivi di appello ed affermando che nel caso di specie ricorresse una ipotesi di responsabilità da fatto lecito dannoso. Proprio su tali aspetti viene interposto ricorso per cassazione, deciso con la sentenza in commento. Specificità dei motivi di appello. La Corte, prima di considerare l’aspetto centrale del ricorso, vale a dire la risarcibilità del danno derivante da un atto lecito dannoso, prende in considerazione il primo motivo di ricorso con il quale si censura la decisione dei giudici di secondo grado nella parte in cui ha statuito che il gravame rispettasse i criteri di specificità dei motivi di appello. La Corte ritiene infondato il motivo ritenendo che la statuizione sia conforme alla giurisprudenza di legittimità sul punto, la quale con riguardo al requisito della specificità dei motivi di appello ha affermato che qualora l’appellante lamenti un errore di diritto è necessario e sufficiente che l’atto di appello invochi l’applicazione di un principio di diritto diverso rispetto a quello enunciato nella sentenza impugnata Cass. 26 marzo 2009, n. 7341 . Principio di giustizia distributiva e atto lecito dannoso. La Corte passa poi a considerare il secondo motivo di gravame avente ad oggetto la statuizione dei giudici di merito che, in accoglimento delle domande dell’attore, avevano condannato il condominio a risarcire il danno subito in conseguenza dell’atto lecito dannoso posto in essere. La pronuncia in rassegna rigetta anche tale motivo di ricorso ricordando che i giudici di merito avevano accertato che l’opera di consolidamento delle strutture portanti dell’edificio condominiale ha determinato un pregiudizio alla proprietà esclusiva del singolo condomino, sotto il profilo della riduzione della superficie e della cubatura fruibile. Su tale presupposto, i giudici di merito hanno riconosciuto sussistente in capo al condominio un obbligo indennitario per il sacrificio imposto, nell’interesse della collettività condominiale, al diritto dominicale del comunista, in una fattispecie nella quale quest’ultimo non ha neppure prospettato la possibilità per il condominio di evitare il danno mediante una diversa esecuzione dell’opera. Ritiene la pronuncia in commento che con tale decisione la Corte d’appello abbia fatto corretta applicazione del principio di giustizia distributiva in forza del quale l’onere necessario alla produzione di un’utilità collettiva nell’interesse di tutti i condomini deve essere proporzionalmente distribuito tra tutti i comunisti e non deve finire per gravare esclusivamente sul singolo condomino, la cui proprietà esclusiva sia risultata menomata a seguito e per l’effetto della realizzazione delle opere dirette a consolidare l’edificio condominiale pericolante. Ritiene in conclusione la Corte, che in una situazione di coesistenza di due diritti l’obbligo di indennizzare il condomino danneggiato dall’esecuzione dell’opera costituisce la soluzione adottata dall’ordinamento giuridico per contemperare e comporre i due interessi in contrasto, nessuno dei quali appare interamente sacrificabile all’altro. Il fondamento normativo della responsabilità da fatto lecito dannoso. La sentenza in commento non manca altresì di individuare i riferimenti normativi della risarcibilità del danno derivante da un atto lecito dannoso. Afferma al riguardo la Corte che il citato principio trovi fondamento nella protezione della proprietà privata, di cui all’art. 42 Cost., e nel precetto di cui all’art. 2041 c.c., il quale, formulato in termini di clausola generale, si oppone agli spostamenti patrimoniali non giustificati, che si risolvono cioè in un ingiustificato arricchimento di un soggetto a danno di un altro. Inoltre, nello specifico ambito dei diritti reali, l’art. 843 c.c., applicabile al condominio – nel prevedere l’obbligo di corrispondere un’adeguata indennità se l’accesso al fondo, resosi necessario al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune, ha cagionato danno – costituisce una fattispecie riconducibile al modello di responsabilità da atto lecito dannoso, basato sull’insorgenza di un obbligo indennitario in capo al proprietario autore di un pregiudizio non antigiuridico alla sfera del proprietario confinante. Infine, aggiunge la Corte, una funzione di bilanciamento tra interessi collidenti si rinviene, in materia condominiale, nella disciplina dettata dall’art. 1127 c.c., il quale allo scopo di bilanciare il vantaggio lecitamente conseguito dal proprietario esclusivo del lastrico solare a discapito degli altri condomini, prevede che in detta ipotesi debba essere a questi corrisposta una indennità.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 24 novembre – 16 dicembre 2015, n. 25292 Presidente Mazzacane – Relatore Giusti Ritenuto in fatto 1. - T.A. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Prato il Condominio di via OMISSIS per sentirlo condannare, in tesi, all'eliminazione dei plinti e delle travature poste, senza il suo consenso ed a sua insaputa, nel fondo di sua esclusiva proprietà, o, in ipotesi di impossibilità della eliminazione dei manufatti senza danno per la stabilità dell'immobile, al pagamento della somma corrispondente al minor pregio del bene in conseguenza delle opere, oltre rivalutazione ed interessi. Il Condominio si costituì, concludendo per il rigetto della domanda. Dedusse che il fabbricato, di cui il T. era stato il costruttore, nel 1984 aveva presentato lesioni fessurative che avevano provocato il cedimento di un solaio ed interessato, oltre al fondo dell'attore, anche quelli di altri due condomini e le strutture della proprietà comune. In sede di precisazione delle conclusioni l'attore limitò la domanda alla condanna del Condominio al pagamento corrispondente al minor valore e pregio del fondo di sua proprietà in conseguenza della costruzione dei plinti e delle travature poste nello stesso. 2. - Con sentenza depositata il 14 giugno 2005, il Tribunale di Prato rigettò la domanda. 3. - La Corte d'appello di Firenze, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 7 dicembre 2010, ha accolto il gravame del T. e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato il Condominio a pagare al T. la somma di Euro 2.813,94, oltre interessi al tasso legale, ponendo a carico del Condominio le spese del doppio grado. 3.1. - La Corte territoriale - premessa l'ammissibilità del gravame per la riscontrata osservanza del requisito della specificità dei motivi prescritto dall'art. 342 cod. proc. civ. - ha ritenuto integrata a carico del condominio nei confronti del singolo condomino un'ipotesi di responsabilità per fatto lecito dannoso, fondata sul principio del contemperamento di esigenze tutte tutelate dall'ordinamento, nel caso di specie l'interesse della pubblica incolumità - perseguito dalla pubblica amministrazione attraverso l'ordinanza di esecuzione di lavori di consolidamento del fabbricato - e le ragioni della proprietà privata, ritenendo sussistente una obbligazione di indennizzo ex artt. 42 Cost. e 844 cod. civ. nei confronti del singolo condomino per il sacrificio imposto alla sua proprietà esclusiva nell'interesse comune del consolidamento della struttura del fabbricato condominiale. La Corte di Firenze ha anche rilevato che, a seguito dei lavori eseguiti dal condominio, l'immobile in proprietà esclusiva del T. ha mantenuto l'idoneità all'uso ad autorimessa, ma ha subito una riduzione di fruibilità, a causa della perdita di superficie, di altezza e di luce libera tra i pilastri, oltre ad un danneggiamento della pavimentazione in gres. 4. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello, notificata il 16 febbraio 2011, il Condominio ha proposto ricorso, con atto notificato il 15 ed il 16 marzo 2011, sulla base di due motivi. Hanno resistito, con controricorso, S.A. , T.G. e T.S. , eredi di T.A. . Considerato in diritto 1. - Con il primo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 163, 342 cod. proc. civ. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della mancata indicazione della causa petendi dell'atto di appello ci si duole che la Corte d'appello abbia ritenuto che l'atto di gravame formulato dal T. soddisfi il requisito della specificità dei motivi dell'atto di impugnazione, prescritto dall'art. 342 cod. proc. civ. Ad avviso del ricorrente, nell'atto di appello del T. difetterebbe la prospettazione di una diversa valutazione delle ragioni di diritto applicabili al caso in contestazione, essendovi una semplice e generica negazione delle soluzioni in punto di diritto offerte dalla sentenza impugnata. L'appellante - si osserva - ha negato la configurabilità di un atto illecito o di un arricchimento senza causa, ma non ha proposto alcuna soluzione alternativa. L'appello proposto avrebbe dovuto, quindi, essere dichiarato inammissibile. 1.1. - Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il requisito della specificità dei motivi d'appello, fissato a pena d'inammissibilità dall'art. 342 cod. proc. civ. nel testo - ratione temporis applicabile - anteriore alle modifiche apportate dall'art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134 , esige la formulazione di censure che siano attinenti alla ratio della sentenza impugnata e contengano notazioni in fatto e in diritto potenzialmente in grado di infirmarla, senza che si richieda lo specifico richiamo delle norme applicabili spettando al giudice d'individuarle , e senza che rilevi, al fine dell'ammissibilità dell'appello, l'indagine in ordine alla dimostrazione, alla consistenza e alla decisività delle allegazioni dell'appellante, trattandosi di profili influenti sul diverso piano dell'esame del fondamento del gravame Cass., Sez. I, 24 novembre 2005, n. 24834 . In particolare, quando l'appellante lamenti un errore di diritto, per soddisfare il requisito della specificità dei motivi di gravame, è necessario e sufficiente che l'atto d'appello invochi l'applicazione di un principio di diritto diverso rispetto a quello enunciato nella sentenza impugnata Cass., Sez. III, 26 marzo 2009, n. 7341 Cass., Sez. lav., 25 marzo 2010, n. 7190 . Nella specie, emerge per tabulas che - a fronte della decisione del Tribunale, che aveva rigettato la domanda per avere ritenuto insussistente la fattispecie di abusiva occupazione del fondo altrui - il T. ha contestato la regula iuris applicata per un verso rilevando di non avere richiesto il risarcimento del danno in quanto tale, bensì un'indennità o risarcimento corrispondente al minor valore e pregio del fondo per le opere eseguite abusivamente nello stesso con la precisazione che l'abusività del comportamento del condominio che penetra nel fondo vuoto del T. senza chiedere alcun consenso ed esegue le opere è in re ipsa e per l'altro verso esplicitando che non può essere inquadratfa] in termini di diritto sostanziale la soluzione, offerta dal Tribunale, secondo cui il proprietario di una unità immobiliare posta in condominio è obbligato a sopportare che la propria unità venga ridotta di ampiezza, di cubatura, di agibilità in favore o a vantaggio di tutto il condominio senza avere nemmeno un indennizzo, un'indennità o un risarcimento per il sacrificio subito . Ne consegue che correttamente la Corte d'appello ha ritenuto osservato il requisito della specificità del motivo di appello, posto che la censura articolata con l'atto di gravame consisteva nella critica della soluzione giuridica adottata dal Tribunale - secondo cui non è configurabile un obbligo di indennizzo per il sacrificio subito dal singolo condomino in occasione di lavori eseguiti dal condominio a vantaggio della cosa comune e della collettività dei proprietari - ed era pertanto idonea ad introdurre nel giudizio di appello la relativa quaestio iuris ed a suscitare l'obbligo del giudice di pronunciare in ordine alla medesima, a prescindere dall'allegazione di singoli argomenti intesi a dimostrare l'erroneità della pronuncia di primo grado. 2. - Con il secondo mezzo violazione e falsa applicazione degli artt. 42 Cost., 1173 e 844 cod. civ. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della configurabilità nel caso di specie di specie di un'ipotesi di responsabilità per atto lecito si lamenta che la Corte territoriale abbia valutato la sussistenza di una responsabilità fondata sul contemperamento di diverse esigenze. Infatti, l'atto lecito dannoso costituisce un'ipotesi eccezionale, limitata, in quanto tale, ai soli casi espressamente previsti dalla legge, mentre il caso di specie non troverebbe alcuna regolamentazione e quindi non vi potrebbe essere responsabilità del Condominio. Inoltre la Corte d'appello non avrebbe individuato alcuna norma dalla quale far derivare - per analogia - una regolazione che consenta al singolo condomino di essere risarcito con un indennizzo. Tra l'altro - deduce il ricorrente - nella specie vi era un espresso vincolo giuridico che imponeva l'attività posta in essere l'amministratore del Condominio è stato costretto ad attivarsi, giacché l'intervento di consolidamento statico all'interno del fondo di proprietà dell'appellante era stato ordinato all'amministratore stesso in solido con i proprietari interessati, tra cui il T. dal provvedimento del Sindaco di Prato. Non si sarebbe in presenza di un atto lecito che ha prodotto pregiudizio ad altri, ma di un atto dovuto, al quale il Condominio non poteva sottrarsi. 2.1. - Il motivo è infondato. La Corte d'appello ha accertato che l'opera di consolidamento delle strutture portanti dell'edificio condominiale - eseguita dal condominio in ottemperanza ad un'ordinanza sindacale emanata per la tutela della pubblica incolumità a fronte del pericolo di crollo del fabbricato - ha determinato un pregiudizio della proprietà esclusiva del singolo condomino, sotto il profilo della riduzione della superficie e della cubatura fruibile del suo fondo a piano terra, adibito ad autorimessa. La Corte del merito ha quindi riconosciuto sussistente, a carico del condominio, un obbligo indennitario per il sacrificio imposto, nell'interesse della collettività condominiale, al diritto dominicale del comunista, in una fattispecie nella quale quest'ultimo non ha neppure prospettato la possibilità per il condominio di evitare il danno mediante una diversa esecuzione dell'opera. Cosi decidendo, la Corte d'appello si è attenuta, correttamente, al principio di giustizia distributiva, in forza del quale l'onere necessario alla produzione di un'utilità collettiva nell'interesse di tutti i condomini deve essere proporzionalmente distribuito tra tutti i comunisti e non deve finire per gravare esclusivamente sul singolo condomino, la cui proprietà esclusiva sia risultata menomata a seguito e per effetto della realizzazione delle opere dirette a consolidare l'edificio condominiale pericolante. Invero, in una situazione di coesistenza di due diritti - quello del condominio ad eseguire le opere, imposte dalla pubblica amministrazione, di consolidamento delle strutture portanti della proprietà comune, da una parte e quello del singolo condomino a non vedersi menomato nel godimento del proprio diritto di proprietà esclusiva sulla unità immobiliare posta nello stesso edificio condominiale, dall'altra - l'obbligo di indennizzare il condomino danneggiato dall'esecuzione dell'opera costituisce la soluzione adottata dall'ordinamento giuridico per contemperare e comporre i due interessi in contrasto, nessuno dei quali appare interamente sacrificabile all'altro. Infatti, dalla coesistenza dei due diritti e dalla necessità di tutelarli entrambi deriva che, ogniqualvolta l'esercizio dell'uno provochi una menomazione dell'altro, al soggetto danneggiato nella sua proprietà esclusiva deve essere accordato un compenso equivalente al sacrificio sopportato, al fine di evitare che il peso del pregiudizio gravi interamente sulla sua sfera giuridica. Si tratta di un principio che rinviene il proprio fondamento nella protezione della proprietà privata art. 42 Cost. e art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, emendato dal Protocollo n. 11 e, inoltre, nel precetto di cui all'art. 2041 cod. civ., il quale, formulato nei termini di una clausola generale, si oppone agli spostamenti patrimoniali non giustificati, che si risolvono cioè in un ingiustificato arricchimento di un soggetto a danno di un altro. Nell'ambito dei diritti reali, del resto, l'art. 843 cod. civ. applicabile anche in materia di condominio Cass., Sez. II, 30 dicembre 1967, n. 3032 Cass., Sez. II, 5 settembre 1969, n. 3059 - nel prevedere l'obbligo di corrispondere un'adeguata indennità se l'accesso al fondo, resosi necessario al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune, ha cagionato danno - costituisce una fattispecie riconducibile al modello della responsabilità da atto lecito dannoso, basato sull'insorgenza di un obbligo indennitario in capo al proprietario autore di un pregiudizio non antigiuridico alla sfera giuridica del proprietario confinante, e mira ad evitare, in una logica di conciliazione di opposti interessi, che l'attività connessa alla costruzione o alla riparazione dell'opera propria o comune si risolva in uno svantaggio per un altro proprietario, e ciò pur al di fuori di condotte stricto sensu illecite . Una funzione di bilanciamento tra interessi collidenti si rinviene, in materia condominiale, nella disciplina dettata dall'art. 1127 cod. civ., il quale - dopo aver previsto che il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio ovvero il proprietario esclusivo del lastrico solare può, a determinate condizioni e salvo che risulti altrimenti dal titolo, elevare nuovi piani o nuove fabbriche - introduce una perequazione del vantaggio lecitamente conseguito a discapito degli altri condomini, prevedendo che in detta ipotesi debba essere corrisposta a questi ultimi un'indennità. Deve pertanto escludersi che la Corte d'appello sia incorsa in un'arbitraria dilatazione delle ipotesi di obbligazioni derivanti dalla legge. L'espressione ordinamento giuridico” che accompagna, nell'art. 1173 cod. civ., il riferimento alla terza specie di fonti delle obbligazioni, quelle che derivano da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico”, non si risolve - contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente - in una mera indicazione riassuntiva di un elenco chiuso costituito da tutte le altre fonti diverse dal contratto o dal fatto illecito nominate, ossia espressamente disciplinate dal legislatore, ma consente un'apertura all'analogia, e quindi alla possibilità che taluni accadimenti, ulteriori rispetto a quelli previsti nominativamente dalla legge, siano ritenuti idonei alla produzione di obbligazioni alla luce dei principi e dei criteri desumibili dall'ordinamento, considerato nella sua interezza e complessità e nella sua evoluzione. 3. - Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.200, di cui Euro 1.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.