Sì agli aumenti annuali del canone di locazione ad uso commerciale se ancorati ad elementi predeterminati del contratto

Al momento di sottoscrivere un contratto di locazione ad uso commerciale, si possono decidere dei futuri aumenti del canone purché, in ottemperanza a quanto stabilisce l’art. 32 l. n. 392/1978, gli aumenti stessi siano ancorati ad elementi predeterminati del contratto, in modo che non venga elusa la disciplina delle variazioni annue del potere di acquisto della moneta prevista dalla predetta norma legislativa.

È quanto ribadito dalla Cassazione con la sentenza n. 19524/15, depositata il 30 settembre. Il caso. Alla Cassazione, in sostanza, veniva chiesto, quale giudice di legittimità, di pronunciarsi sulla validità di una clausola contrattuale che prevedeva, all’interno di un contratto di locazione ad uso commerciale, degli aumenti annuali del canone c.d. a scaletta” non vincolati ad elementi predeterminati idonei ad influire sull’equilibrio del sinallagma contrattuale. La validità della predetta clausola contrattuale veniva dapprima affermata dal Tribunale di Napoli, ed in seguito negata dalla competente Corte di appello. Non si può prevedere un aumento indiscriminato del canone per gli anni successivi. La Suprema corte, occupandosi della questione, precisava anzitutto come non vi siano motivi, nonostante vi sia stata una certa evoluzione della giurisprudenza di legittimità in tal senso, per non attenersi al noto e consolidato principio giurisprudenziale in base al quale la libera determinazione del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo consente si di concordare il canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, ma pur sempre all’imprescindibile condizione che tale misura sia ancorata ad elementi predeterminati del contratto, idonei a regolamentare l’equilibrio economico del rapporto, senza incidere sulla – o eludere la – disciplina delle variazioni annue del potere di acquisto della moneta . In sostanza, secondo la Corte, ed è questo il motivo che ha determinato l’accoglimento del ricorso, nel caso di specie era stato previsto un aumento a scaletta” del canone contrattuale, in chiara elusione del disposto dell’art. 32 della legge sul c.d. equo canone. Dato che tale aumento era totalmente avulso dai criteri ed ai limiti potere di acquisto della moneta fissati a suo tempo dal legislatore. La Corte determinava così la nullità della clausola in questione, in quanto chiaramente posta in essere a grave nocumento delle ragioni e dei diritti del conduttore, il quale aveva pertanto diritto a vedersi restituire gli importi illegittimamente corrisposti al locatario proprio in applicazione di tale clausola illecita.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 giugno – 30 settembre 2015, n. 19524 Presidente Russo – Relatore De Stefano Svolgimento del processo p. 1. - La Bijoux Riviera srl in liq.ne ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 2986 del 12.10.11 della corte di appello di Napoli, con cui, per quel che qui ancora interessa, è stato accolto l'appello della locatrice V.C. avverso l'accoglimento della domanda di ripetizione di indebite maggiorazioni del canone di locazione di un immobile destinato ad uso non abitativo e sito in OMISSIS , siccome oggetto di determinazione c.d. a scaletta , ovverosia crescente per i primi anni di durata del rapporto dal maggio 2000 . Resiste con controricorso l'intimata, illustrandolo con memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione p. 2. - Parte ricorrente si duole - col primo motivo, di Violazione o falsa applicazione degli artt. 79 e 32 della Legge n. 392/78 - Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. -Violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. in materia di onere della prova - Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine all'interpretazione del contratto di locazione in riferimento agli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c.” sostanzialmente censurando la ritenuta legittimità della pattuizione del canone c.d. a scaletta nella specie L. 4.000.000 per il primo anno, L. 4.500.000 per il secondo, L. 5.000.000 per il terzo, L. 5.500.000 per il quarto , benché l'aumento non fosse ancorato ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibrio del sinallagma contrattuale come si esprimeva la stessa pronuncia - Cass., ord. 10834/11 - richiamata dalla corte territoriale , la prova dei quali oltretutto incombeva al locatore - col secondo motivo, di Omessa pronuncia e motivazione in ordine al rigetto della domanda di declaratoria di nullità dell'art. 4 del contratto di locazione nel punto in cui si pattuisce per l'aggiornamento del canone l'applicazione dell'aliquota del 100% della variazione accertata dall'ISTAT senza necessità di richiesta da parte del locatore in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.” - col terzo motivo, di omessa pronuncia sull'appello proposto da Bijoux Riviera avverso la sentenza del tribunale di Napoli n. 6036/08”. p. 3. - Dal canto suo, la controricorrente, che riporta testualmente in ricorso il contenuto del suo appello - eccepisce, in via preliminare, l'inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza, siccome privo delle tesi difensive della beatrice, nonché in relazione all'art. 360-bis cod. proc. civ. - quanto al primo motivo, argomenta per la piena conformità della decisione della corte territoriale alla giurisprudenza di legittimità - quanto al secondo motivo, deduce l'insussistenza di domanda specifica fin dal primo grado e comunque certamente in appello - quanto al terzo motivo, adduce l'inammissibilità e l'infondatezza, comunque prendendo posizione sulle questioni che sono state assorbite dal tenore della decisione della corte di merito. p. 4. - Va esclusa la sussistenza dei preliminari profili di improcedibilità ed inammissibilità indicati dalla controricorrente - il primo, non apparendo indispensabile, ai fini della decisione, la disamina del fascicolo di ufficio dei gradi di merito o, almeno, di quello di appello, risultando già dagli atti finora disponibili reperibile tutto il materiale indispensabile per la decisione - il secondo, sul difetto di autosufficienza del ricorso, non potendo estendersi fino all'indicazione separata e compiuta di tutte le tesi difensive di controparte il requisito di cui al n. 3 dell'art. 366 cod. proc. civ., del resto queste ricavandosi, nella specie, a contrario dall'esposizione delle proprie e neppure potendo rilevare la mancata specifica indicazione della sede processuale di produzione del documento determinante, né la specificazione del fatto che quanto ampiamente riportato in ricorso corrisponda alla letterale formulazione della relativa clausola, dinanzi alla chiara e manifesta carenza di contestazione sul fatto che gli elementi su quest'ultima riportati in ricorso corrispondano perfettamente all'oggetto della controversia, elidendo in radice la necessità di ricorrere agli elementi extratestuali, il richiamo ai quali deve quindi qualificarsi solo imperfetto e non carente - il terzo, per inottemperanza al disposto dell'art. 360-bis cod. proc. civ., essendo chiaro che, se non altro con riferimento al primo motivo, gli argomenti addotti non mirano a confutare un orientamento consolidato di questa Corte, ma ad invocarne la corretta applicazione alla fattispecie. p. 5. - Ciò posto, il primo motivo è fondato. p. 5.1. In ordine all'art. 32 legge 27 luglio 1978, n. 392, se è vero che vi è stata, da posizioni originariamente molto restrittive, una certa evoluzione della giurisprudenza di legittimità, questa è attestata sul principio per il quale la libera determinazione del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo consente sì di concordare il canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, ma pur sempre all'imprescindibile condizione che tale misura sia ancorata ad elementi predeterminati nel contratto, idonei a regolamentare l'equilibrio economico del rapporto, senza incidere sulla - o eludere la - disciplina delle variazioni annue del potere di acquisto della moneta Cass. 12 marzo 2015, n. 4933 Cass. 28 luglio 2014, n. 17061 Cass. 7 febbraio 2013, n. 2961 Cass., ordd. 23 giugno 2011, n. 13887, nonché 17 maggio 2011, n. 10834 Cass. 31 maggio 2010, n. 13245 Cass. 7 febbraio 2008, n. 2932 Cass. 5 marzo 2009, n. 5349 Cass. 23 febbraio 2007, n. 4210 Cass. 11 aprile 2006, n. 8410 Cass. 8 maggio 2006, n. 10500 Cass. 6 ottobre 2005, n. 19475 . Nell'attuale sistema normativo, infatti, la volontà delle parti è ancora compressa dalla previsione legale dell'impossibilità di aumenti del canone diversi da quelli soli disciplinati dall'art. 32 della legge 27 luglio 1978, n. 398, ove non sussistano specifici riferimenti ad ulteriori elementi oggettivi e predeterminati, idonei ad influire sull'equilibrio del sinallagma contrattuale e diversi dall'automatica progressione temporale della misura del canone. p. 5.2. Neppure Cass. 17 maggio 2015, n. 10834, con grande enfasi richiamata dalla V. , giustifica l'abbandono di questa impostazione. Anche tale pronuncia, invero, ribadisce - sia pure traendo ulteriori conseguenze dalla valutazione di sostanziale libertà nella determinazione del canone a priori per tutta la durata del contratto, con la limitazione della sanzione immediata di nullità agli accordi sopraggiunti in corso di rapporto - che la pattuizione iniziale di canone crescente è sì in linea di principio valida, ma pur sempre all'imprescindibile condizione che essa non sia destinata a svolgere surrettiziamente una funzione di aggiornamento del valore del canone svincolata dai criteri e dai limiti fissati dall'art. 32 della legge n. 392 del 1978 e trovi la sua giustificazione causale dall'assetto che le parti hanno dato ai rispettivi interessi nel contratto. Anzi, nella fattispecie esaminata, la richiamata pronuncia da atto significativamente che la corte territoriale da un lato, aveva accertato in concreto che la variazione in aumento del canone di locazione, prevista per gli anni secondo, terzo, quarto e quinto del rapporto, non si traduceva in una violazione dell'art. 32 della legge n. 3982 del 1978, in quanto si trattava di variazioni predeterminate e non ancorate al mutato potere d'acquisto della moneta né direttamente né indirettamente e, d'altro lato, aveva escluso un intento elusivo in ragione del fatto che nessun aumento fosse stato previsto per il sesto anno e neppure per il secondo sessennio della locazione, periodo di tempo assai ampio, nell'arco del quale le variazioni del potere di acquisto della moneta non avrebbero potuto non incidere. p. 5.3. Nel caso di specie, invece, la corte partenopea si limita ad asserire - in tre righe in quarta facciata, terzo periodo prima del dispositivo - che gli aumenti sono stati predeterminat[i] al momento della conclusione del contratto e, con non perspicuo collegamento con la ratio decidendi pure appena richiamata, che essi appaiono idonei ad influire sul sinallagma del rapporto . Ma allora essa erra nel sussumere la fattispecie concreta, in cui si ha sic et simpliciter un aumento graduale fisso del canone per i primi quattro anni senza adduzione o considerazione nemmeno implicita - stando almeno agli atti legittimamente esaminabili in questa sede e in dipendenza del contenuto di quelli di parte - di tali ulteriori e specifici elementi, visto che neppure li indica o lascia presagire in cosa consistano. p. 5.4. In tali limiti, essendo mancata, quale vizio di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, la verifica del concreto assetto di interessi sotteso alla pattuizione e della sua idoneità ad escludere l'intento elusivo ribadito da tutte le pronunce sopra richiamate e soprattutto anche da Cass. 10834/15, va allora - espuntone comunque l'inconferente richiamo all'art. 2697 cod. civ. visto che la corte territoriale non ha imputato ad alcuno l'onere di provarli, semplicemente assertivamente affermandone l'esistenza o alle regole di ermeneutica contrattuale visto che la corte di merito ha omesso di applicare alcuno di quegli specifici elementi - accolto il corrispondente motivo di ricorso. p.6.- Il secondo ed il terzo motivo sono invece inammissibili - l'uno, perché non risulta affatto, nonostante la trascrizione pedissequa degli atti con cui gli appelli sono stati dispiegati dall'odierna ricorrente sia quello principale, sia quello incidentale avverso il separato proposto dalla V. , impugnata la gravata sentenza di primo grado nella parte in cui non avrebbe riconosciuto espressamente l'illegittimità della clausola di automatica ed integrale spettanza dell'adeguamento ISTAT l'odierna ricorrente solo accennando al profilo dell'illegittimità per integralità in una memoria illustrativa in primo grado v. pag. 4, riga 18a, del ricorso per cassazione sicché in tal caso la violazione del principio di autosufficienza è insanabile - l'altro, perché non è certamente viziata la gravata sentenza per non avere esaminato i motivi di appello della conduttrice, correttamente assorbiti dall'accoglimento di quello della sua controparte, accoglimento idoneo a privare di rilevanza ogni ulteriore questione e comunque dovendosi ricordare che - per consolidata giurisprudenza di legittimità -sono inammissibili, quali motivi di censura, quelli relativi a questioni che, benché originariamente assorbite, tornino rilevanti in dipendenza della cassazione con rinvio, dovendo le stesse essere devolute al giudizio conseguente e salvo il solo caso in cui si sia formato un giudicato interno. p.7.- Il ricorso va dunque accolto, limitatamente al primo motivo, con cassazione della gravata sentenza in ordine alla censura qui ritenuta fondata e rinvio alla stessa corte territoriale, ma in diversa composizione ed anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, affinché rivaluti l'originaria domanda riconvenzionale della conduttrice alla stregua del principio di diritto ricordato sopra al p. 5, motivando in modo congruo sulla sussistenza dei relativi presupposti e considerando se del caso le difese, già assorbite, non precluse da eventuale giudicato interno e tornate rilevanti in dipendenza della presente cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili gli altri cassa la gravata sentenza in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla corte di appello di Napoli, in diversa composizione.