Non basta la delibera assembleare per modificare l’uso delle parti comuni

È da considerarsi illegittima la modifica di uso di una parte comune di un palazzo di edilizia popolare se questa altera il decoro del condominio e, comunque, se non vi è autorizzazione del Ministero dei Lavori Pubblici.

La Corte di Cassazione in data 16 agosto 2015 ha depositato la sentenza numero 17145 con la quale vengono esaminate delle importanti questioni in materia di diritto condominiale e in particolare in tema di modificazioni d’uso delle parti comuni. La vicenda. Il caso in questione vede opposti due proprietari in uno stabile costruito in regime di edilizia popolare. In particolare, un condomino fa causa ad un altro consociato poiché egli ha modificato un locale adibito ad uso cantina effettivamente di sua proprietà trasformando una finestra in una porta basculante e adibendo tale spazio a locale commerciale. Inoltre afferma l’attore come il convenuto abbia violato la disciplina speciale costituita dal r.d. n. 1165/38 e dal regolamento condominiale approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici nel 1995 realizzando l’apertura di un varco nel muro maestro dell’edificio comune prospiciente il cortile condominiale. Secondo l’attore, quindi, detta modifica costituirebbe un indebita variazione d’uso delle parti comuni dello stabile, oltre che una lesione del decoro architettonico dell’intero palazzo. Si costituisce in giudizio il convenuto sostenendo la validità delle proprie opere, in particolare vista la conformità delle stesse ad una delibera assembleare approvata validamente dai consociati. Inoltre, sempre secondo quest’ultimo, l’attività commerciale non avrebbe cagionato alcun fastidio agli altri comproprietari, restando confinata in uno spazio privato. A seguito del processo il Tribunale adito rigetta la domanda dell’attore e lo condanna a risarcire le spese processuali. Contro la suddetta sentenza l’attore deposita ricorso presso la Corte di Appello, ribadendo le già riportate ragioni e sottolineando l’abusività dell’opera del convenuto data l’assenza di autorizzazione della preposta pubblica amministrazione. La Corte d’appello, all’esito delle valutazioni processuali, accoglie le domande dell’attore di fatto riformando la sentenza di prime cure. In particolare secondo i giudici, la delibera condominiale sulla quale il convenuto basava la legittimità delle proprie opere sarebbe stata illegittima in quanto approvata prima della formale costituzione del condominio e – inoltre – di per sé insufficiente dato che la natura di palazzo di edilizia popolare avrebbe reso necessaria l’autorizzazione del Ministero dei Lavori Pubblici per effettuare una modifica edilizia alle parti comuni del condominio. Il condomino convenuto, quindi, depositava ricorso in Corte di Cassazione. Modifica di destinazione d’uso della cosa comune . In detto atto egli, sostanzialmente, affermava come la propria opera trasformazione di una finestra in una porta basculante non potesse essere considerata innovazione o modifica di parte comune dato che la stessa insisteva unicamente sulla proprietà privata dello stesso condomino. Questa modifica, poi, non aveva cagionato alcun danno agli altri condomini né in generale all’uso delle parti comuni. Si costituiva in giudizio l’originario attore domandando sostanzialmente la conferma della Corte d’appello e quindi la condanna del comproprietario. La Corte di Cassazione, all’esito del processo, ha rigettato integralmente il ricorso del condomino dichiarando illegittime le opere edili dallo stesso realizzate. In buona sostanza la Suprema Corte ha affermato come nel caso in questione il condomino non avesse alcuna autorizzazione a realizzare le opere in oggetto, che erano quindi da considerare come abusive. In particolare detta modifica strutturale era stata realizzata sulla base di una delibera assembleare assunta precedentemente alla costituzione del condominio e - di conseguenza – del tutto illegittima. Inoltre, come già evidenziato dalla Corte d’appello, l’opera in oggetto, pur insistendo su una costruzione privata, era da considerarsi modifica di destinazione d’uso della cosa comune in quanto facente parte del muro perimetrale del condominio e, in generale, lesiva del decoro architettonico dello stabile. Dal punto di vista della qualificazione dell’intervento edilizio, poi, la Cassazione specificava come tale opera fosse da considerare come rientrante nella previsione di cui all’art. 214 r.d. n. 1165/38 ossia una modifica della destinazione originaria delle parti comuni piuttosto che un mero intervento ai sensi degli artt. 1102 Uso della cosa comune e 1120 Innovazioni c.c. ossia una modifica concernente un uso più proficuo della cosa comune . Inoltre, stante la natura di edificio di edilizia popolare, tale modifica avrebbe dovuto avere il benestare della pubblica amministrazione e in particolare , sempre in ragione del citato art. 214, le variazioni e modificazioni della cosa comune non possono essere apportate senza l'autorizzazione del Ministero dei lavori pubblici e della Cassa depositi e prestiti .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 aprile – 26 agosto 2015, n. 17145 Presidente Bucciante – Relatore Scalisi Svolgimento del processo Ma.Et. ed C.A. con atto di citazione del 3 febbraio 1998 convenivano in giudizio i coniugi M.G. e P.M. e premettendo a di essere ciascuno al pari dei convenuti proprietario di un appartamento e di un locale cantina, facente parte di un fabbricato realizzato in omissis dalla Cooperativa edilizia srl. a contributo statale Azalea in virtù di assegnazione con atto pubblico del 22 maggio 1992 b che i convenuti, in violazione della disciplina speciale delle suddette assegnazioni di cui al TU n. 1165 del 1938 e del Regolamento condominiale approvato dal Ministero LLPP avevano nell'anno 1995 realizzato l'apertura di una porta sul muro maestro dell'edificio comune prospiciente il marciapiede e il cortile condominiale, in corrispondenza della cantina seminterrata di loro proprietà quale via di accesso dall'esterno al locale tramite apposita rampa c che in detto locale essi svolgevano inoltre attività commerciale di produzione trasporto e vendita di estintori antincendio con pregiudizio della tranquillità e della salute degli altri condomini e che lo spazio antistante la porta veniva occupato in via esclusiva dai coniugi convenuti quale posteggio privato della loro autovettura con intralcio dell'ingresso principale dello stabile condominiale. Ciò premesso, chiedevano che i convenuti fossero condannati alla rimessione del fabbricato condominiale allo stato iniziale, nonché al risarcimento dei danni subiti, con vittoria delle spese giudiziali. Si costituivano i coniugi M.G. e P.M. , i quali contestavano le allegazioni tutte degli attori ed eccepivano che con delibera assembleare del 4 febbraio 1974 essi erano stati autorizzati alla contestata apertura del magazzino, che non avevano interessato i muri maestri del fabbricato condominiale, che l'attività artigianale non prevedeva contatto con il pubblico che l'utilizzo del locale come garage conseguiva all'apertura autorizzata dell'assemblea che il parcheggio dell'autovettura sullo spazio antistante avveniva in conformità all'assegnazione di posto macchina e senza molestia per alcuno. Chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda. Il Tribunale di Cosenza con sentenza dell'11 giugno 2004 rigettava la domanda e condannava Ma.Er. e C.A. al pagamento delle spese del giudizio. Avverso questa sentenza interponevano appello Ma.Er. e C.A. assumendo che il Tribunale non aveva considerato che a che ai sensi della previsione di cui all'art. 214 del RD. 1165 del 1938 l'opera realizzata di cui si dice avrebbe dovuto essere considerata abusiva b aveva ritenuto le opere in questione assentite in base alla deliberazione del 4 febbraio 1974 quando, ancora il condominio non era venuto ad esistenza c le opere stesse non potevano considerarsi legittime, anche in base alle norme di diritto comune perché avevano inciso negativamente sul decoro architettonico. Si costituivano i coniugi M.G. e P.M. i quali resistevano al proposto gravame e ne chiedevano il rigetto. La Corte di Appello di Catanzaro con sentenza n. 986 del 2008 accoglieva l'appello e in riforma della sentenza impugnata condannava i coniugi M. e P.M. alla rimessione in pristino stato del fabbricato condominiale a loro cura e spese, rigettava la domanda di risarcimento danni, e condannava gli stessi in solido al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Secondo la Corte di Catanzaro, la delibera condominiale cui farebbero riferimento i coniugi M. e P.M. sarebbe anteriore alla costituzione del Condominio e, ammesso pure che in ragione della normativa relativa agli alloggi popolari ed economici l'Ente proprietario avesse trasferito la gestione relativa all'uso e al godimento delle cose comuni ai soci assegnatari inquilini, tuttavia, l'assemblea dei soci assegnatali non era abilitata a concedere autorizzazioni ai soci in relazione alle innovazioni e modifiche degli immobili inerenti il fabbricato sociale. Pertanto, l'opera realizzata dagli appellanti non solo avrebbe determinato la trasformazione di un locale cantina in garage, ma ha inciso su una cosa comune in contrasto con la previsione di cui all'art. 214 del RD. 1165 del 1938 richiamato dall'atto pubblico del 22 maggio 1992 e con l'art. 7 del Regolamento condominiale. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dai coniugi M. e P.M. con ricorso affidato a sette motivi, illustrati con memoria. Ma.Er. ha resistito con controricorso proponendo, a sua volta, ricorso incidentale condizionato per un motivo. C.A. , regolarmente intimata in questa fase non ha svolto attività giudiziale. Motivi della decisione A.- Ricorso principale. 1.- I coniugi M. e P. lamentano a con il primo motivo di ricorso la violazione e falsa applicazione dell'art. 214 del RD. 1165 del 1938, degli artt. 1102 e 1120 cc. e dell'art. 7 del 1 Regolamento condominiale della società Cooperativa edilizia Azalea arl., quest'ultimo anche in relazione ai canoni ermeneutici di cui all'art. 1362 cc. art. 360 n. 3 cpc . Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale, nel ritenere che l'opera realizzata dagli appellanti, non solo aveva determinato la trasformazione di un locale cantina in garage ma aveva inciso su una cosa comune in contrasto con la previsione di cui all'art. 214 del RD 1165/38 e all'art. 7 del Regolamento condominiale, non avrebbe tenuto conto che, nel caso in esame, non era stata effettuata alcuna innovazione o modifica della cosa comune, posto che l'apertura nel muro era preesistente corrispondente ad una finestra la quale era stata ampliata per consentire l'apposizione di una porta basculante. Piuttosto, la Corte distrettuale avrebbe tenuto conto che il caso in esame integrava gli estremi dell'ipotesi prevista dall'art. 1102 cc. - e così come è stato affermato dalla stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione - l'apertura di un varco nel muro perimetrale per esigenze del singolo condomino è consentita, quale uso più intenso del bene comune, con eccezione del caso in cui tale varco metta in comunicazione l'appartamento - del condomino con altra unità immobiliare attigua, pur di proprietà del medesimo, ricompresa in un diverso edificio condominiale, poiché in questo caso il collegamento tra unità abitative determina la creazione di una servitù a carico di fondazioni e struttura del fabbricato. Pertanto, concludono i ricorrenti, dica la Corte di Cassazione se può ritenersi innovazione, ovvero modificazione della cosa comune vietata dall'art. 214 del RD n. 1165 del 1938 e dell'art. 7 del Regolamento condominiale della Cooperativa edilizia Azalea arl. l'apertura di una porta garage in sostituzione ed in ampliamento di una preesistente finestra, nel muro perimetrale di un edificio condominiale al servizio dell'unità di proprietà esclusiva di singolo vi condomino, facente parte dello stesso edificio. Se può il predetto art. 7, corrispondente sostanzialmente al testo dell'art. 1120 cc, interpretarsi nel senso di vietare un siffatto intervento. b Con il secondo motivo, l'omessa motivazione contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360 n. 5 cpc . Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale non avrebbe minimamente considerato il profilo dell'effettiva alterazione della cosa comune in conseguenza dell'intervento de quo, nel senso della limitazione del pari uso degli altri condomini e della prosecuzione dell'esercizio dell'uso del muro stesso. c Con il terzo motivo la violazione dell'art. 2697 cc, in relazione all'art. 214 del RD 1165 del 1938 e all'art. 17 del Regolamento condominiale della Società Cooperativa Edilizia Azalea arl. art. 360 n. 3 cpc . Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto che gli attori, per conseguire la condanna dei convenuti al ripristino, avrebbero dovuto dimostrare che l'intervento di cui si dice recava pregiudizio all'uso del muro comune e che gli attori non avevano offerto alcuna prova del proprio assunto. Pertanto, concludono i ricorrenti, dica la corte di Cassazione se può essere disposta la rimessione in pristino della parte comune modificata da un singolo condomino in difetto di prova circa un concreto pregiudizio per l'uso della cosa medesima da parte degli altri condomini, sicché il condomino che lamenta che la modificazione della parte comune dell'edificio ad opera di altro condomino lede il proprio diritto a farne pari uso, è tenuto a dare prova di tale pregiudizio. 1.1.- I motivi appena indicati, per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione e di motivazione, possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando tutti - o direttamente o indirettamente per gli effetti riflessi e conseguenti - la questione sia pure sotto profili diversi di verificare se nell'ipotesi l'intervento edilizio effettuato dai coniugi M. e P. sul muro condominiale integrava gli estremi di una modifica rientrante nella previsione di cui all'art. 214 del RD n. 1165 del 1938 oppure integrava gli estremi di un uso più proficuo della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 e 1120 cc. E tutti e tre i motivi sono infondati. Come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale, non vi era dubbio che l'intervento edilizio operato dagli appellati aveva inciso sulla cosa comune dato che risultava che gli stessi avevano realizzato dei lavori di apertura garage ampliando una finestra esistente per consentire l'accesso carrabile ai locali siti al piano terreno dello stesso stabile. Ora, è di tutta evidenza, e non era necessario esplicitarlo ulteriormente, che l'opera descritta integrava, - comunque, gli estremi di una modifica del muro comune, posto che in conseguenza di quella trasformazione il muro di cui si dice, non presentava lo stesso aspetto che aveva al momento della sua realizzazione e considerato pure che la funzione e la struttura di una porta è diversa da quelli di una finestra. D'altra parte, i ricorrenti non indicano, neppure, le ragioni per le quali nel caso in esame l'opera realizzata non integrava gli estremi di una modifica, essendo insufficiente affermare che la trasformazione da finestra in porta non aveva alterato la destinazione e la funzione del muro comune, perché la modifica può riguardare, e nel caso in esame ha riguardato, gli elementi strutturali ed esteriori del muro, indipendente dai riflessi che la modifica di cui si dice abbia potuto avere sulla destinazione e sulla funzione del bene di che trattasi. Accertata l'avvenuta modifica del bene condominiale, correttamente la Corte distrettuale ha ritenuto che quella modifica era in contrasto con la previsione di cui all'art. 214 del DR 1165 del 1938 nonché con l'art. 7 del Regolamento condominiale laddove si afferma che i condomini non possono apportare innovazioni, né modificazioni alle cose comuni, anche se dirette al miglioramento e all'uso più comodo ed al maggior rendimento di esse, se non previa deliberazione dell'assemblea dei condomini . Si tratta, come è evidente di una normativa speciale rispetto a quella che disciplina la comunione nonché il condominio art. 1102 e 1120 cc. e come tale prevale su quest'ultima e, comunque, non è sovrapponile alla prima. Pertanto, inconferente è il richiamo operato dai ricorrenti all'orientamento espresso in varie occasioni da questa Corte secondo il quale l'apertura di un varco nel muro perimetrale per esigenze del singolo condomino è consentita, quale uso più intenso del bene comune, dato che attiene ad una normativa, quella di cui agli artt. 1102 e 1120 cc., derogata dalla normativa speciale di cui al TU n. 1165 del 1938. 1.1.a Ciò posto è di tutta evidenzia che la Corte distrettuale non ha mancato a di chiarire che la modifica del muro condominiale risultava dalla perizia giurata, nonché dall'interrogatorio dello stesso perito Ing. T. b di specificare che anche i muri di mera tamponatura, come i ricorrenti ritengono fosse il muro condominiale di cui si dice, erano da considerare muri maestri in quanto, come già affermato da questa Corte in più occasioni, determinano la consistenza volumetrica dell'edificio unitariamente considerato, proteggono dagli agenti termici ed atmosferici e ne delineano la sagoma architettonica c di rilevare che l'intervento edilizio di che trattasi non aveva rispettato le prescrizioni di cui all'art. 214 del RD n. 1165 del 1938 nonché dell'art. 7 del Regolamento condominiale. 1.1.b A sua volta, la Corte distrettuale non ha omesso di considerare, né ha violato, le prescrizioni di cui all'art. 2697 cc, in tema di onere della prova, posto che il ripristino del muro condominiale, così come era esistente al momento dell'intervento edilizio effettuato dai convenuti, non era relazionato né relazionabile all'esistenza di un pregiudizio all'uso del muro comune, ma alla semplice esistenza di una modifica del muro condominiale oggetto della presente controversia. Pertanto, gli attori avevano l'onere, così come è stato assolto, di dimostrare che l'intervento edilizio effettuato dai convenuti era stato realizzato senza le dovute autorizzazioni previste dalla normativa di cui agli artt. 58 e 214 del Rd n. 1165 del 1938, nonché dell'ari 7 del Regolamento condominiale approvato dal Ministero del LLPP. 2.- Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la motivazione contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360 n. 5 cpc . Secondo i ricorrenti, l'affermazione della Corte distrettuale secondo la quale la delibera condominale del 4 febbraio 1974 sarebbe irrilevante perché assunta in epoca in cui il Condominio non era ancora venuto ad esistenza essendo sorto solo a seguito dell'atto pubblico di assegnazione del 22 maggio 1992 e, pur ipotizzando un condominio di gestione, lo stesso avrebbe dovuto essere limitato alla gestione relativa all'uso e al godimento delle cose comuni, ma privo della competenza di concedere autorizzazione ai soci a modifiche e/od innovazioni degli immobili inerenti il fabbricato sociale, non avrebbe considerato che l'apertura in questione costituiva proprio un'estrinsecazione dell'uso di una parte comune. 2.1.- Il motivo rimane assorbito dal primo motivo posto che si è già escluso che l'intervento edilizio effettuato dai convenuti sul muro condominiale integrasse gli estremi di un uso del bene comune trattandosi di una modifica dello stesso. 3.- I ricorrenti lamentano ancora a Con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione dell'art. 214 del DR 1165 del 1938 e dell'art. 17 del Regolamento condominiale della Cooperativa Edilizia Azalea art., degli artt. 1120 e 1136, quinto comma, cpc. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto che la delibera del 4 febbraio 1974, benché intervenuta prima della costituzione del Condominio non avrebbe potuto dirsi incompatibile con al volontà dei soci assegnatali, per come manifestato nell'atto di assegnazione o, comunque, dalla stessa superato soddisfacendo in tutto e per tutto il prescritto requisito della maggioranza richiesta dalla predetta norma e dal regolamento condominiale, essendo stata assunta all'unanimità e non impugnata. Il superamento della delibera di cui si dice, sempre secondo i ricorrenti, comporterebbe ancora una volta una falsa applicazione dell'art. 214 del RD n. 1165 del 1938 e dell'art. 17 del Regolamento condominiale. Pertanto, concludono i ricorrenti, dica la Corte di Cassazione se in materia edilizia popolare ed economica ove i soci di una cooperativa, prima dell'assegnazione, deliberano all'unanimità di autorizzare la modificazione di una parte comune, e con il successivo atto di assegnazione richiamano le norme del rd. 1165 del 1938 e del regolamento condominiale richiedenti, per le modificazioni della cosa comune, le maggioranze previste dall'art. 1136 Ivi comma 5 cc., la modificazione intervenuta secondo le modalità della prima deliberazione deve ritenersi vietata dal rd 1165/38 e dal regolamento condominale, riproducesti il combinato disposto degli artt. 1120 e 1136, comma 5 cc. b Con il sesto motivo, l'omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio art. 360 n. 5 cpc Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale, avendo negato rilevanza alla decisione assunta il 4 febbraio 1974, non considerando che la stessa rispettava in tutto e per tutto i limiti imposti dall'art. 214 del rd 1165/38 e dell'art. 17 del Regolamento condominiale più volte richiamato avrebbe comportato anche una palese omissione di motivazione in ordine all'effettiva volontà dei condomini fra i quali la stessa C.A. e il suo dante causa Ma.Er. . 3.1- La Corte rileva l'infondatezza di queste censure che, per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione e di motivazione, possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando entrambi, direttamente o indirettamente, la questione sia pure sotto profili diversi di verificare se la delibera del 4 febbraio 1974 avrebbe dovuto considerarsi superata dalle previsioni di cui all'art. 3 dell'atto pubblico di assegnazione del 22 maggio 1992. In verità e a ben vedere con questi motivi, i ricorrenti ripropongono corrispondenti motivi di appello che sono stati esaminati e delibati correttamente dalla Corte distrettuale. Anche, in questa sede, non può che condividersi l'affermazione della Corte di appello, perché corretta sotto il profilo logico e, soprattutto, sotto il profilo giuridico, nonché ampiamente motivata, e cioè, quella secondo cui la delibera del 4 febbraio 1974 non poteva farsi rientrare nella disciplina condominiale perché, comunque, non era stata richiamata né dell'atto di assegnazione del 22 maggio 1992, né dal Regolamento condominiale. Né può considerarsi sufficiente, come sostengono i ricorrenti, la circostanza che quella delibera era stata adottata all'unanimità dei soci perché non solo quell'atto, ai sensi della normativa di cui al RD. n. 1165 del 1938, non poteva essere assunto, dai soci, nel tempo in cui è stato assunto, ma è soprattutto perché non è stato ratificato, e/o comunque riconosciuto, né direttamente né indirettamente, dai successivi atti. Come correttamente ha evidenziato la Corte distrettuale appare evidente, non facendosi richiamo nel detto atto pubblico in alcun modo alla precedente deliberazione del 4 febbraio 1974 che tale deliberazione non possa più farsi rientrare nelle disciplina condominiale dal momento che deve ritenersi che con tale atto del 22 maggio 1992 i soci assegnatali, in assenza, comunque, di alcun richiamo al contenuto della precedente deliberazione abbiano inteso disciplinare ex novo i rapporti inerenti i singoli alloggi acquistati e le parti comuni del fabbricato, prescindendo, cioè, dalla citata deliberazione. La stessa Corte specifica, ancora, che tale atto la delibera del 4 febbraio 1974 non era stato richiamato neppure nel Regolamento condominiale approvato dal Ministero dei LLPP prodotto in primo grado dagli appellanti e non contestato dalla difesa della controparte né sotto il profilo del contenuto normativo, né sotto il profilo dell'intervenuta approvazione dello stessa da parte del Ministero dei lavori Pubblici . E, di più, la Corte distrettuale non ha mancato, neppure, di osservare che gli stessi appellati per contrastare l'assunto della controparte nella parte in cui ha sostenuto che la deliberazione del 4 febbraio 1974 era stata adottata anteriormente al sorgere del condominio, hanno sostenuto, ma, infondatamente, che per il previo consenso della maggioranza di cui all'art. 214 RD n. 1165 del 1938 non sarebbe necessaria una formale delibera, così riconoscendo in sostanza che l'iniziativa edilizia dagli stessi assunta nell'anno 1995 richiedeva il consenso di cui alla detta norma. E, comunque, i soci assegnatali delle cooperative edilizie a contributo statale, ancorché abbiano dichiarato di consentire a determinate modificazioni o varianti da apportare allo stabile, ai relativi accessori o servizi o alla consistenza e destinazione di parti comuni, non sono senz'altro vincolati, in forza del detto consenso, a riconoscere e rispettare la nuova situazione determinatasi in seguito all'esecuzione di tali varianti, ed a sottostare alle correlative conseguenze di carattere patrimoniale, qualora le varianti stesse siano state illegittimamente attuate senza il preventivo consenso del ministero dei LL PP e dell'istituto mutuante a meno che non siano essi stessi direttamente partecipi e corresponsabili di siffatto illegittimo operato. 4.- Con il settimo motivo i ricorrenti lamentano l'omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio art. 360 n. 5 cpc Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale non avrebbe potuto da un lato riconoscere che il ripristino competeva, in forza delle norme più volte richiamate esclusivamente al competente Ministero e, immediatamente, dopo, in base alle stesse norme richiamate dall'atto di assegnazione, accogliere la pretesa del condomino, in assenza di iniziative della stessa autorità preposta. 4.1.- Il motivo è infondato per le ragioni di cui si dirà. Intanto, correttamente la Corte di merito ha chiarito che il Ministero competente ha la facoltà di reagire alla violazione e di chiedere la rimozione parziale o totale delle modifiche o delle innovazioni apportate al bene condominiale, nonché il ripristino quo ante all'intervento edilizio. Così come correttamente la Corte ha chiarito che, ai sensi del secondo comma dell'art. 58 del RD n. 1165 del 1983 al condomino non è data la facoltà di invocare la violazione dell'ultimo comma dell'art. 214 del RD più volte citato, appartenendo la relativa legittimazione al Ministero competente il quale ha la mera facoltà di ordinare la rimozione parziale o totale o costruzioni siano pregiudizievoli al decoro e alla stabilità degli edifici ovvero agli interessi dell'Ente mutuante o dei singoli osci. Pertanto, nessun errore la Corte ha commesso con riferimento all'applicazione della normativa di cui all'art. 214, e per richiamo all'art. 239, del RJD n. 1165 del 1938. 4.1.a A sua volta in base all'art. 131 R.D. 28 aprile 1938 n. 1165 la speciale commissione di vigilanza per l'edilizia popolare ed economica decide su tutte le controversie attinenti alla prenotazione ed assegnazione degli alloggi, alla posizione e qualità di socio od aspirante socio nonché sulle controversie tra socio e socio ovvero tra socio e cooperativa in quanto riguardano rapporti sociali . Nella specie, invece, la controversia a pendeva non tra Ma.Er. ed C.A. e la Cooperativa Edilizia Azalea, della quale asserisce essere socio, ma tra Ma.Er. ed C.A. , da un lato, ed i coniugi M. e P. dall'altro b avente ad oggetto la utilizzazione dei beni condominiali e quindi un rapporto relativo al godimento dei servizi comuni e non il rapporto sociale. In questi termini, pertanto, la Corte distrettuale sarebbe stata onerata ad offrire idonea motivazione solo se avesse ritenuto e non riguarda il caso in esame Ma.Er. e C.A. privi di legittimazione attiva. B.- Ricorso incidentale. 5 Con l'unico motivo del ricorso incidentale, Ma.Er. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 114 del RD. 1165 del 1938 e dell'art. 7 del Regolamento condominiale della società Cooperativa edilizia Azalea arl. art. 360 n. 5 cpc . Secondo il ricorrente incidentale, la Corte distrettuale avrebbe valutato le conseguenze della violazione del sistema autorizzativo di cui all'art. 214 del RD 1165 del 1938 solo, esclusivamente, con riferimento ai poteri dell'autorità amministrativa di vigilanza e di controllo, ma, non avrebbe chiarito se la violazione della regola dell'autorizzazione amministrativa rendeva illegittima la modificazione non autorizzata, anche rispetto agli assegnatari. Il ricorrente ritiene che mentre dell'art. 214, più volte richiamato nel procedimento dell'autorizzazione pubblica, è riconosciuta cittadinanza con il riconoscimento del diritto del socio di opporsi e di far valere le sue ragioni a norma dell'art. 239, invece, non è così per le ragioni contrarie del socio dissenziente, anche qualora il procedimento sia correttamente instaurato. Il che dimostrerebbe, sempre secondo il ricorrente, che l'ablazione del procedimento con la mancata richiesta delle prescritte autorizzazioni inciderebbe direttamente sul diritto e sulle ragioni dei singoli soci. Pertanto, conclude il ricorrente incidentale dica la Corte di cassazione se in caso di modificazione della cosa comune operata da un socio in una cooperativa edilizia a tributo statale, ai sensi dell'art. 214 e 58 del DR. 1165/38 la mancata richiesta delle autorizzazioni amministrative alla Cassa Depositi e Prestiti e al Ministero competente di cui alle norme suddette rende illegittima la modificazione anche rispetto agli altri soci assegnatari con conseguente diritto per questi ultimi ad agire per la rimessione in pristino, qualora la rimessione in pristino sia contrattualmente prevista quale sanzione per le modifiche non autorizzate. 5.1.- Il motivo rimane assorbito dai motivi del ricorso principale ed, essenzialmente, dal settimo motivo. In definitiva, va rigettato il ricorso principale e dichiarato assorbito il ricorso incidentale. In ragione del principio della soccombenza ex art. 91 cpc. i ricorrenti principali vanno, condannati al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale, condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese giudiziali del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 1700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori come per legge.