Gli alloggi concessi da Poste Italiane sono equiparabili a quelli di edilizia residenziale pubblica solo per le modalità di vendita ai privati

Va esclusa una identificazione del regime degli alloggi delle Poste Italiane con quello proprio della edilizia residenziale pubblica dal cui ambito già l’art. 1 d.P.R. n. 1035/1972 escludeva espressamente gli alloggi destinati a dipendenti di amministrazioni statali per esigenze di servizio , tenuto conto anche del fatto che dall’art. 1 della l. n. 560/1993 si desume in modo sufficientemente univoco che gli alloggi di proprietà delle Poste, di cui alle l. n. 227/1975 e n. 39/1982, sono equiparati a quelli di edilizia residenziale pubblica solo ai fini della determinazione delle modalità di vendita degli stessi ai privati.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8697/15 depositata il 29 aprile. Il caso. Dopo la trasformazione di Poste Italiane da ente pubblico in società per azioni, alcuni detentori di alloggi di servizio concessi loro in precedenza durata 3 anni + 3 lamentavano il fatto che, scaduti i 6 anni della concessione, l’ente avesse prima richiesto un ingiustificato aumento del canone di locazione con effetto retroattivo e poi comunicato anche la disdetta dal contratto in essere con proposta di stipula di un nuovo accordo condizionata però al saldo degli arretrati. Al contrario gli inquilini sostenevano l’illegittimità delle condizioni imposte e affermavano che alla scadenza dell’originaria concessione si era concluso di fatto un nuovo contratto di locazione alle stesse condizioni del rapporto precedente. Il Tribunale di Verona imponeva invece ai conduttori al rilascio immediato degli immobili, escludeva che si fosse concluso un nuovo contratto e li condannava ai danni per l’illegittima occupazione degli immobili. La sentenza veniva sostanzialmente confermata in appello modificando solo il termine di decorrenza dell’indennità di occupazione e i conduttori ricorrevano così in Cassazione. Resisteva Poste Italiane svolgendo anche ricorso incidentale L’applicabilità della disciplina in materia di edilizia pubblica. Con il primo e unico motivo i ricorrenti lamentano la mancata applicazione da parte dei giudici di merito dell’art. 1, comma 7 della l. n. 560/1993 Norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica . Secondo la tesi prospettata, gli inquilini rientravano per età e per reddito nella categoria degli aventi diritto alla prosecuzione della locazione secondo la normativa vigente in tema di edilizia residenziale pubblica. Al contrario la Corte d’Appello aveva precisato che l’assimilazione degli alloggi di servizio di Poste Italiane a quelli di edilizia residenziale pubblica è prevista ai soli fini della determinazione della modalità di cessione ai privati. La Corte di Cassazione conferma sul punto la decisione di merito ricordando come secondo costante orientamento il riferimento alla citata l. n. 560/1993 in tali ipotesi non comporta l’applicazione integrale della disciplina relativa, ma solo della parte sui sistemi di vendita ai soggetti privati così anche Cassazione sentenza n. 16006/08 . Ciò è tanto più vero nel caso di specie, osservano gli Ermellini, in cui addirittura era cessata l’assegnazione dell’immobile avente durata massima di 6 anni 3 + 3 e nel frattempo era intervenuta anche la trasformazione di Poste Italiane in soggetto di diritto privato. La conversione del rapporto. In via incidentale Poste Italiane censurava la parte della decisione della Corte di Appello che aveva ritenuto sussistente una conversione” del rapporto di concessione in locazione. Secondo l’ente, tale interpretazione violava l’art. 33 del d.m. 19.7.1984 che stabiliva per la concessione degli alloggi durata massima di 3 anni rinnovabile solo per altri 3. La Cassazione respinge il motivo spiegando che con la decisione di merito i Giudici non hanno violato la norma in questione perché non hanno prorogato o esteso il limite di durata imposto dalla normativa citata. Semplicemente si sono limitati a individuare una trasformazione del rapporto concessorio in rapporto locativo dato che, anche dopo la scadenza dei sei anni complessivi, le parti avevano dato seguito al regime di fatto. Gli inquilini infatti avevano continuato ad abitare gli immobili. Così pure Poste Italiane aveva proseguito nella riscossione del canone chiedendone anche l’aumento e aveva atteso diversi anni prima di inviare la disdetta, peraltro motivandola con il richiamo alla legge 431/1998, riconoscendo così, anche da questo punto di vista, la sussistenza della locazione. La Corte inoltre aggiunge che la ricostruzione della vicenda nel senso di una tacita instaurazione di un rapporto di natura locatizia di carattere abitativo non è impedita dalla mancanza della forma scritta, poiché all’epoca della conversione di fatto” 1998 era ancora in vigore la disciplina della legge 392/1978 e Poste Italiane si era già trasformata in società per azioni. L’indennità per l’occupazione. Infine il ricorrente incidentale impugnava la parte della decisione di secondo grado in tema di quantificazione e decorrenza dell’indennità di occupazione a carico degli inquilini. Gli Ermellini bocciano tale motivo spiegando che correttamente i giudici di secondo grado hanno fatto decorrere l’indennità di occupazione dalle scadenze dei singoli contratti avendo ritenuto che il rapporto fosse proseguito come locazione ordinaria alle stesse condizioni iniziali, cioè a canone sociale invariato previsto dall’art. 9, comma 1 della l. n. 39/1982 e non abrogato dalle successive modifiche legislative così Cassazione sentenza n. 8950/2008 .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 10 febbraio – 29 aprile, n. 8697 Presidente Russo – Relatore Sestini Svolgimento del processo M.M., P.C. e M.A. , detentori di alloggi di servizio concessi loro dall'Amministrazione Poste e Telegrafi, adirono il Tribunale di Verona lamentando che, intervenuta la trasformazione della concedente in ente pubblico economico e –successivamente in società per azioni, la soc. Poste Italiane s.p.a. aveva preteso di aumentare il canone con effetto retroattivo e con decorrenza dal 1.1.1997 e che dopo qualche anno aveva intimato disdetta e proposto la stipula di un nuovo contratto, condizionandone però la conclusione al versamento degli arretrati per gli aumenti non ancora pagati dai detentori. Ciò premesso, richiesero che venisse dichiarato che non era dovuto l'aumento preteso dalla controparte e che, stante l'illegittimità della condizione posta, fosse accertata l'avvenuta conclusione di un nuovo contratto di locazione. La società resistente contestò le domande e richiese, in via riconvenzionale, che venisse accertata l'avvenuta scadenza della concessione, con condanna dei ricorrenti al rilascio dei rispettivi immobili e al pagamento con decorrenza dal 1.1.1997 della differenza fra l'equo canone e il canone convenzionale dai medesimi versato. Il Tribunale di Verona condannò i ricorrenti all'immediato rilascio degli immobili affermando che le concessioni del M. e del Ma. erano scadute il 31.12.1996 e quella del P. il 30.6.2002 , escluse che fosse stato concluso un nuovo contratto stante la discrepanza fra proposta e accettazione e quantificò il danno ex art. 1591 c.c. nella differenza fra equo canone e canone corrisposto, dichiarandolo dovuto dalla proposizione della domanda riconvenzionale in difetto di precedente costituzione in mora . Proposto gravame dai soli M. e P. , la Corte di Appello di Venezia, pur individuando una diversa scadenza del titolo di detenzione, ha confermato la pronuncia di rilascio e ha riformato la sentenza solo in punto di decorrenza del pagamento dell'indennità di occupazione. Ricorrono per cassazione il M. e il P. , affidandosi ad un unico articolato motivo la società intimata resiste a mezzo di controricorso contenente ricorso incidentale basato su cinque motivi. Motivi della decisione 1. La Corte di Appello ha affermato che, cessata la concessione -avente durata massima di sei anni l'originario rapporto concessorio era proseguito come ordinario rapporto di locazione, atteso che il detentore era stato lasciato nel godimento dell'immobile e che la società Poste Italiane aveva continuato ad incassare i canoni pur reclamando una loro nuova determinazione ai sensi della l. n. 392/78 ed aveva anche effettuato la denuncia verbale del contratto di locazione ha precisato quanto alla posizione del M. che, scaduta la concessione il 31.12.1996, il contratto si era rinnovato tacitamente per quattro anni ai sensi dell'art. 3 l. n. 392/78 e che, in difetto di disdetta alla successiva scadenza del 31.12.2000, era transitato nel regime della l. n. 431/98 con durata di due quadrienni , andando infine a cessare alla scadenza del 31.12.2008 per effetto della disdetta del 14.5.2001 quanto alla posizione del P. , ha osservato che l'originaria durata sessennale era cessata il 30.6.2000 e che, in tale data, il rapporto si era anch'esso rinnovato tacitamente ai sensi della l. n. 431/98, per andare a scadere il 30.6.2008, al termine del doppio quadriennio e per effetto della disdetta del maggio 2001. La Corte ha negato che ai rapporti in questione fosse applicabile la l. n. 560/93 in quanto l'assimilazione degli alloggi di servizio di Poste Italiane a quelli di edilizia residenziale pubblica è prevista ai soli fini della determinazione delle modalità di vendita ai privati ha escluso che fosse intervenuto l'accordo su un nuovo contratto di locazione ed ha ritenuto corretta la misura dell'indennità mensile di occupazione determinata dal primo giudice, precisando tuttavia che la stessa era dovuta dal gennaio 2009, quanto al M. , e dal luglio 2008, quanto al P. . 2. Con l'unico motivo violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 7 l. 560/1993 , i ricorrenti principali si dolgono che la sentenza abbia ritenuto non applicabile alla fattispecie la disposizione dell'art. 1, comma 7 l. 560/93, sul presupposto della non assimilabilità degli immobili di proprietà di Poste Italiane s.p.a. a quelli di edilizia residenziale pubblica, senza tener conto che i ricorrenti rientravano, invece, sia per età che per reddito, nella categoria dei soggetti che potevano beneficiare del diritto alla prosecuzione della locazione secondo la normativa vigente in materia di edilizia residenziale pubblica. Sostengono che nel caso non si tratta di affermare il diritto di tutti gli assegnatari di alloggi già di proprietà dell'Amministrazione Poste e Telegrafi a vedersi trasformare l'originario rapporto concessorio in un rapporto disciplinato dalle norme in materia di edilizia residenziale pubblica, bensì di accertare lo specifico diritto dei ricorrenti a proseguire nella locazione in virtù della loro inclusione in una delle categorie protette individuate dalla norma. Ritiene il Collegio che non sussistano ragioni per discostarsi dall'orientamento già espresso da questa Corte e fatto proprio dal giudice di appello secondo cui va esclusa una identificazione del regime degli alloggi delle Poste Italiane con quello proprio della edilizia residenziale pubblica7' dal cui ambito già l'art. 1 D.P.R. n. 1035/1972 escludeva espressamente gli alloggi destinati a dipendenti di Amministrazioni statali per esigenze di servizio , tenuto conto anche del fatto che dall'art. 1 della legge n. 560 del 1993 si desume in modo sufficientemente univoco che gli alloggi di proprietà delle Poste, di cui alle leggi n. 227 del 1975 e n. 39 del 1982, sono equiparati a quelli di edilizia residenziale pubblica solo ai fini della determinazione delle modalità di vendita degli stessi ai privati Cass. n. 16006/2008 . Ciò vale tanto più nei casi come quelli in esame in cui sia cessata l'assegnazione avente durata massima di sei anni e sia anche intervenuta la trasformazione dell'Amministrazione in soggetto privato, nei quali si determina la sostituzione cfr. Cass. cit. della disciplina pubblicistica con quella comune delle locazioni ad uso abitativo, risultando con ciò maggiormente infondata la pretesa che quei rapporti dovessero trovare regolamentazione nella normativa relativa agli alloggi di edilizia residenziale pubblica ancora Cass. cit. . 3. I primi due motivi del ricorso incidentale censurano la sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 33 del Decreto Ministeriale 19.7.1984 e per ogni possibile vizio motivazionale in ordine alla qualificazione della situazione giuridica determinatasi a seguito della scadenza della concessione sessennale dell'alloggio di servizio in favore del M. la ricorrente richiama l'art. 33 del D.M. 19 luglio 1984 che assegna alla concessione una durata di tre anni, rinnovabile solo per altri tre e contesta l'affermazione secondo cui, alla cessazione della concessione, il rapporto si sarebbe convertito” in locazione tanto più per il fatto che il Regolamento di Amministrazione e contabilità dell'Ente Poste Italiane prevedeva che i contratti stipulati dall'Ente dovessero farsi per iscritto, a pena di nullità , essendo invece necessaria una rinegoziazione del rapporto in termini di contratto di locazione. Le censure sono infondate non vi è stata violazione dell'art. 33 del D.M. 19.7.1984, in quanto la Corte non ha affermato la rinnovazione del regime concessorio, ma si è limitata a individuare una trasformazione del rapporto concessorio in rapporto locativo richiamando, al riguardo, Cass., S.U. n. 8415/1992 nel comportamento delle parti, segnatamente per il fatto che dopo la cessazione della concessione la società aveva continuato a riscuotere il canone chiedendone anche un aumento nel mese di ottobre 1998 , aveva effettuando la denuncia verbale della locazione sempre dal 1998 ed aveva atteso fino al 2001 per inviare una disdetta che – essendo espressamente motivata con richiamo alla l. 431/98 aveva portata ricognitiva dell'esistenza di un rapporto di locazione. Va osservato, al riguardo, che la ricostruzione della vicenda nei termini di una tacita riconduzione tacita del rapporto come ordinaria locazione abitativa non trova ostacolo nella mancanza di forma scritta, perché al momento in cui essa si verificò ossia nell'anno 1998 era ancora in vigore la disciplina della l. n. 392/78 e l'Ente Poste Italiane si era già trasformate dal 28.2.1998 in società per azioni. 4. Il terzo e il quarto motivo dell'incidentale violazione e/o falsa applicazione degli artt. 33-35 del Decreto Ministeriale 19.7.1984 e dell'art. 1 della legge n. 392 del 27 luglio 1978 e ogni possibile vizio di motivazione investono la qualificazione del rapporto instaurato col P. in virtù della concessione di godimento decorrente dall'1.7.1994 premesso che il rapporto stipulato, in questo caso con l'Ente Poste Italiane andava considerato fin dall'inizio come locazione ancorché denominato concessione , la ricorrente censura la sentenza per non avere considerato che la durata minima della concessione era di tre anni e che, pertanto, avrebbe dovuto trovare applicazione la durata di quattro anni prevista dalla l. n. 392/78 quale norma di maggior favore per il conduttore . Anche questi due motivi sono infondati la durata della concessione doveva intendersi ordinariamente pari a due trienni in difetto di condizioni comportanti la revoca, che non sono occorse nel caso di specie ed è a tale durata che ha correttamente fatto riferimento la Corte, considerandola più favorevole al conduttore rispetto a quella prevista dalla l. n. 392/78. 5. Il quinto motivo del ricorso incidentale prospetta ogni possibile vizio di motivazione in punto di decorrenza dell'obbligo del M. e del P. di corrispondere gli importi mensili a titolo di indennità di occupazione, ragguagliata all'equo canone e, quindi, pari alla differenza fra tale canone e quello sociale versato assume la ricorrente che il maggior importo avrebbe dovuto essere riconosciuto quanto alla posizione del M. dal 17.5.2001 ossia dal ricevimento della missiva contenente la richiesta di aumento o, in subordine, dalla data di proposizione della domanda riconvenzionale febbraio 2006 e quanto alla posizione del P. almeno dall'1.7.2006. Anche quest'ultimo motivo va disatteso in coerenza con le altre statuizioni, il giudice di appello ha fatto decorrere l'indennità dalle date di scadenza dei due contratti, avendo ritenuto che il rapporto fosse proseguito come locazione ordinaria alle medesime condizioni economiche originarie, ossia a canone sociale” invariato. Deve infatti ritenersi in continuità rispetto agli orientamenti espressi da questa Sezione – che risulta infondata la pretesa di assoggettare il rapporto direttamente alle norme sull'equo canone Cass. n. 16632/2008 , dovendo continuare a trovare applicazione in difetto di un'espressa rinegoziazione il canone sociale, previsto dall'art. 9, comma 1 l. n. 39/1982, che non è stato abrogato espressamente o tacitamente da successive disposizioni di legge Cass. n. 8950/2008 . 6. La reciproca soccombenza giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. La Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, li rigetta entrambi e compensa le spese di lite.