Reintegrazione in primo grado, manutenzione in appello: la questione non cambia

Non viola il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato il giudice che, nell’esercizio del potere di interpretazione della domanda, senza mutare gli elementi obiettivi fissati dall’attore, dispone la cessazione della turbativa anziché la reintegrazione del possesso, poiché la mera turbativa costituisce un minus rispetto allo spoglio e nella domanda di reintegrazione nel possesso è ricompresa o implicita quella di manutenzione dello stesso.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 7480, depositata il 14 aprile 2015. Il caso. Un uomo chiedeva, nei confronti di un condominio, la tutela del possesso della servitù di passo pedonale e carraio, per l’accesso ad un suo immobile, adibito ad attività commerciale, sito nel condominio contiguo, che assumeva gravante sull’androne del convenuto e regolata da un titolo, costituito da una transazione, con cui si era stabilito che nei giorni feriali il portone dovesse restare aperto e la porta interna vetrata socchiusa. L’attore affermava che l’esercizio della servitù gli era stato impedito dalla recente apposizione, da parte del condominio convenuto, di un congegno di apertura a distanza del portone e dall’apposizione di una serratura alla porta vetrata, resa apribile solo dall’esterno e senza ricevere i relativi telecomando e chiavi. Il condominio resisteva, deducendo delle esigenze di sicurezza e la sopravvenuta cessazione di quelle che avevano giustificato la regolamentazione del passaggio con le originarie modalità, in quanto in seguito era cessata l’attività commerciale dell’attore questo era il motivo per cui non gli erano stati forniti telecomando e chiavi. In udienza, tuttavia, il convenuto offriva questi strumenti, rifiutati dall’attore che pretendeva di riprendere l’esercizio del possesso della servitù. In questo senso provvedeva il tribunale di Torino, con un provvedimento di reintegrazione nel possesso. La Corte d’appello di Torino confermava la pronuncia di primo grado dopo aver qualificato in termini di manutenzione del possesso la domanda dell’attore, i giudici rilevavano che, in assenza di un nuovo accordo o di titolo giudiziale, il condominio non avrebbe potuto unilateralmente modificare le modalità di esercizio della servitù, di fatto continuato mediante una società. Era irrilevante, invece, la circostanza che l’immobile fosse stato alienato in corso di causa ed adibito a fini abitativi. Il condominio ricorreva in Cassazione, lamentando un vizio di extra-petizione e di violazione del giudicato interno, in quanto i giudici d’appello, qualificando manutenzione la confermata tutela possessoria accordata alla controparte, laddove il tribunale in primo grado l’aveva qualificata spoglio, non si sarebbero avveduti che l’attore aveva proposto due distinte domande, in via alternativa, di cui era stata accolta solo quella di reintegrazione, e non aveva impugnato con appello incidentale la reiezione di quella di manutenzione. Nessuna modifica in appello. La Corte di Cassazione sottolinea che il petitum sostanziale, costituito dal ripristino del possesso della servitù con le precedenti modalità di esercizio, conformi al titolo transattivo stipulato tra le parti, non aveva subito modifiche in appello. La diversa qualificazione conferita dalla Corte d’appello all’accordata e confermata tutela non aveva introdotto una nuova causa petendi , in quanto tale elemento della domanda non va desunto dalla qualificazione conferita dalla parte, bensì dal fatto, giuridicamente rilevante, addotto a sostegno della stessa, la cui qualificazione compete al giudice. Inoltre, i giudici di legittimità ricordano che non viola il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato il giudice che, nell’esercizio del potere di interpretazione della domanda, senza mutare gli elementi obiettivi fissati dall’attore, dispone la cessazione della turbativa anziché la reintegrazione del possesso, poiché la mera turbativa costituisce un minus rispetto allo spoglio e nella domanda di reintegrazione nel possesso è ricompresa o implicita quella di manutenzione dello stesso. Nel caso di specie, peraltro, l’attore aveva proposto la domanda, sostanzialmente unica, sotto le alternative prospettazioni ex artt. 1168 o 1170 c.c. il primo giudice l’aveva accolta optando per la prima qualificazione. La Corte d’appello, ritenendo di dover rettificare questa qualificazione, nei termini ex art. 1170 c.c., non aveva mutato la sostanziale statuizione di ripristino di primo grado. Non era, quindi, necessario un appello incidentale da parte dell’attore, il quale, avendo visto accogliere in pieno la sua richiesta, non risultava soccombente. Allo stesso modo, non serviva la riproposizione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. della domanda manutentiva, che, in quanto concretatasi in un’alternativa qualificazione della medesima pretesa e non in un’aggiuntiva richiesta, non poteva ritenersi assorbita o non esaminata dal primo giudice. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 5 febbraio – 14 aprile 2015, n. 7480 Presidente/Relatore Piccialli Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Torino del 5.2.2004 C.E. chiese, nei confronti del condominio di omissis di quella città, la tutela del possesso della servitù di passo pedonale e carraio, per l'accesso ad un suo immobile, adibito ad attività commerciale, sito nel contiguo condominio di via omissis , che assumeva gravante sull'androne di parte convenuta e regolata da titolo, costituito da una transazione del 25.11.1994, con la quale si era, tra l'altro, stabilito che nei giorni feriali il portone doveva restare aperto e la porta interna vetrata socchiusa. Lamentava il ricorrente che l'esercizio della servitù, di fatto sempre praticato con le suddette modalità, gli era stato impedito dalla recente apposizione, operata dal condominio servente, di un congegno di apertura a distanza del portone e dall'apposizione di una serratura alla porta vetrata, resa apribile solo dall'esterno senza peraltro fornirgli rispettivi telecomando e chiavi. Resisteva il condominio convenuto, essenzialmente deducendo esigenze di sicurezza e la sopravvenuta cessazione di quelle che avevano giustificato la regolamentazione del passaggio con le suesposte modalità, essendo successivamente cessata l'attività commerciale esercitata dal C. , ragione per cui solo a quest'ultimo, a differenza che agli aventi diritto facenti parte del contiguo condominio, non erano stati forniti telecomando e chiavi dei nuovi congegni comunque parte resistente offriva, in udienza, telecomando e chiaviche venivano tuttavia rifiutati dal ricorrente, il quale pretendeva di riprendere l'esercizio del possesso della servitù come in precedenza praticato. In tal senso, con ordinanza del 13.4.04, poi confermata dal collegio ex art. 668 terdecies c.p.c. del 7.7.04, provvedeva l'adito giudice, che poi, all'esito della successiva fase di merito, con sentenza del 17.1.2006, confermava il provvedimento in termini di reintegrazione nel possesso, dichiarava inammissibile, perché integrante domanda petitoria, la riconvenzionale proposta dal convenuto al fine di sentir regolare diversamente la servitù, con le nuove modalità sostenute, in ragione delle modificate esigenze del fondo dominante, condannando parte resistente alle spese del giudizio. L'appello del soccombente, cui aveva resistito il C. , veniva infine respinto dalla Corte di Torino, con sentenza dei 3.4-8.6.2009, nella quale, qualificata in termini di manutenzione nel possesso l'accolta domanda attrice, si evidenziava che in assenza di un nuovo accordo o titolo giudiziale, il condominio servente non avrebbe potuto unilateralmente modificare le modalità di esercizio della servitù, che di fatto era continuato a mezzo della società C. s.a.s., cui l'immobile risultava locato, confermandosi altresì rirrilevanzajai fini della materia del contendere, della circostanza che l'immobile fosse stato alienato incorso di causa ed adibito a fini abitativi. La corte territoriale, accoglieva, inoltre il gravame incidentale del C. in ordine all'importo delle spese del giudizio di primo grado e condannava, infine, l4appellante principale a quelle del secondo. Avverso detta sentenza il condominio soccombente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui ha resistito il C. con controricorso. Sono state infine depositate memorie da ambo le parti. Motivi della decisione Va anzitutto respinta l'eccezione di inammissibilità del controricorso, sollevata nella memoria di parte ricorrente sul rilievo che la relativa notificazione, a mezzo posta, è stata eseguita mediante l'Ufficio Unico Notifiche presso la Corte d'Appello di Torino, territorialmente incompetente ai sensi degli artt. 107 co. 2 e 116 co. 1 D.P.R. 15.12.1959 n. 1229, considerato che le richiamate disposizioni risultano superate, per quanto attiene alla notificazione dei controricorsi e ricorsi incidentali dinanzi alla Corte di Cassazione, atti che, per disposizione ad hoc contenuta nell'articolo unico della L. 20.1.1992 n. 55, possono essere notificati anche a mezzo dell'ufficiale giudiziario del luogo ove ha sede il giudice che ha pronunziato il provvedimento impugnato, a mezzo del servizio postale . Con il primo motivo di ricorso si deduce, anzitutto, violazione degli artt. 343, 345, 324, 99, 101, 112 c.p.c. e 2909 c.c., lamentandosi vizio di extra-petizione, nonché violazione del giudicato interno, censurando la sentenza di appello che qualificando manutenzione la confermata tutela possessoria accordata alla controparte laddove il primo giudice l'aveva qualificata spoglio, non si sarebbe avveduto che l'attore aveva proposto due distinte domande, in via alternativa, delle quali era stata accolta soltanto quella di reintegrazione, e non aveva impugnato con appello incidentale la reiezione di quella di manutenzione. Con ulteriore profilo, si lamenta omissione di motivazione, non avendo il giudice di appello spiegato le ragioni per cui aveva disatteso l'eccezione di giudicato interno. Con il secondo motivo le doglianze contenute nel precedente vengono prospettate sotto il gradato profilo di violazione dell'art. 346 c.p.c., evidenziando che l'appellato non aveva comunque reiterato la domanda ex art. 1170 c.c I motivi, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione, sono infondati sotto tutti i profili esposti, considerato che il petitum sostanziale, costituito dal ripristino del possesso della servitù con le precedenti modalità di esercizio conformi al titolo transattivo del 22.11.94, addotto ad colorandam possessionem , non ha subito alcuna modifica in grado di appello. Né può ritenersi che la diversa qualificazione conferita dal giudice di appello all'accordata e confermata tutela abbia introdotto una nuova causa petendi , considerato che tale elemento della domanda non va desunto dalla qualificazione conferita dalla parte, bensì dal fatto, giuridicamente rilevante, addotto a sostegno della stessa, la cui qualificazione compete, in ultima analisi, in base al bimillenario principio iura novit curia al giudice v., tra le tante, Cass. nn 10316/02, 24055/08, 17457/09, 20652/09, 19630/11, 12943/12 . Per quanto attiene ai rapporti tra le azioni di spoglio e manutenzione nel possesso, questa Corte ha precisato che non viola il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato il giudice che, nell'esercizio del potere di interpretazione della domanda, senza mutare gli elementi obiettivi fissati dall'attore, dispone la cessazione della turbativa anziché la reintegrazione nel possesso dato che la mera turbativa costituisce un minus rispetto allo spoglio e nella domanda di reintegrazione nel possesso è ricompresa o implicita quella di manutenzione dello stesso sez. 2^, 11.11.2011, n. 23718, conf. nn. 2262/98, 2120/76 . A maggior ragionerei caso di specie, in cui la parte attrice aveva proposto la domanda, sostanzialmente unica, sotto le alternative prospettazioni di cui agli artt. 1168 o 1170 c.c. ed il primo giudice l'aveva accolta optando per la prima qualificazione, nessuna eccedenza o difformità rispetto alla domanda può riscontrarsi nella pronunzia del giudice di appello, che ha ritenuto di dover rettificare detta qualificazione, nei termini di cui all’art. 1170 cit., senza tuttavia mutare la sostanziale statuizione di ripristino di primo grado. Al riguardo non era necessario alcun appello incidentale da parte dell'attore, che avendo visto accogliere in pieno la sua richiesta, non era risultato soccombente, né occorreva la riproposizione ex art. 346 c.p.c. della domanda manutentiva, che proprio perché concretatasi in una alternativa qualificazione della medesima pretesa e non in una aggiuntiva richiesta, non poteva ritenersi assorbita o non esaminata dal primo giudice. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1575, 1585 c.c. e 81, 100 c.p.c., ribadendo la tesi, sostenuta nell'atto di appello, della mancanza di legittimazione e di interesse nell'attore C.E. , in quanto l'immobile dominante era stato oggetto di locazione ad una società, la s.a.s. C. , la sola legittimata, quale detentrice qualificata, all'azione possessoria, peraltro solo di spoglio e non anche di manutenzione, ed unica interessata, in ragione dell'attività commerciale ivi svolta dalla medesima e non anche dalla persona fisica C. , al mantenimento dell'apertura del portone e della porta vetrata durante la giornata lavorativa. Il rigetto del motivo è agevole sotto il primo profilo è sufficiente osservare che la legittimazione all'azione di reintegrazione attribuita dall'art. 1168 co. 2 c.c. al detentore qualificato non esclude quella del proprietario possessore, cui possesso continua ad essere esercitatoci sensi dell’art. 1140 co. 2 c.c., per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa sotto il secondo, è agevole osservare che l'argomento della cessazione dell'interesse vale a dire dell' utilitas connotante la servitù, del cui possesso si controverte, costituisce questione palesemente petitoria art. 1074 c.c. , inammissibile in sede possessoria, in cui l'esercizio del potere sulla cosa viene tutelato così come di fatto, direttamente o mediatamente a mezzo del detentore , risultava praticato fino all'epoca del fatto lesivo. Altrettanto irrilevante è la dedotta circostanza che nel corso del giudizio l'immobile sia stato venduto ad altra persona e adibito a fini abitativi, considerato che tale evento avrebbe potuto comportare soltanto, ex art. 111 c.p.c. la partecipazione al giudizio dell'acquirente senza alcun effetto caducatorio dell'interesse al mantenimento della conseguita tutela nel possesso, così come esercitato in conformità al titolo, la cui modificazione avrebbe potuto soltanto essere disposta in via negoziale o giudiziaria, instaurando una volta cessata la preclusione di cui all’art. 705 c.p.c. l'apposito giudizio petitorio. Le considerazioni che precedono comportano il rigetto anche del profilo di censura deducente l'omessa motivazione in ordine alla problematica circa la qualificazione, se di fatto o di diritto, della molestia ritenuta dal giudice di appello, a fronte dell'obiezione dell'appellante, secondo cui il C. avrebbe indebitamente, ex art. 81 c.p.c., esercitato un diritto spettante alla società conduttrice, rilevandosi dal contesto della decisione chiaramente che il giudice ha ritenuto l'operato del resistente, fattosi ragione da sé medesimo, integrare una turbativa di fatto, legittimante il possessore alla relativa tutela. Palesemente inammissibile, per genericità, è infine l'ultimo profilo di censura del motivo in esame, con il quale si lamenta che la corte di merito si sia limitata a motivare per relationem in ordine a rimanenti censure dell'appellante che tuttavia non vengono precisate così contravvenendo all'onere di autosufficienza. Con il quarto ed ultimo motivo, deducente violazione del'art. 1168 c.c., si sostiene che, rispondendo la regolamentazione della servitù, contenuta nell'atto transattivo del 1994, alle esigenze della clientela di accesso all'immobile adibito dalla stipulante dante causa del C. ad attività commerciale, una volta venute meno le stesse, per essere cessato sin dall'ottobre 2003 l'uso espositivo ivi praticato, anche l'esercizio del possesso nei termini originari sarebbe stato insussistente da almeno due mesi, all'epoca dei fatti denunziati quale spoglio o molestia. Anche tale motivo va disatteso, perché costituisce riproposizione, mutatis verbis, della già disattesa censura petitoria deducente la cessazione dell'utilità della servitù conformante il relativo possesso che secondo il disposto di cui all'art. 1066 c.c., va tutelato tenendo conto della, pratica dell'anno precedente all'insorgenza della controversia, e non poteva subire unilaterali modificazioni ad opera di una delle parti. Il ricorso va, conclusivamente, respinto. Le spese, infine, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio in favore controricorrente, in misura di complessivi Euro 2.700, 00 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge.