Il bene condominiale può diventare esclusivo di un condomino solo con decisione unanime

Nell’ambito di un condominio, la trasformazione di un bene comune in bene esclusivo di uno dei condomini, attraverso l’esclusione di altri condomini dal percepimento dei frutti, può essere validamente deliberata soltanto all’unanimità, ossia mediante una decisione che abbia valore contrattuale, in difetto il giudice deve dichiarare la nullità della deliberazione dell’assemblea assunta a maggioranza.

E’ quanto chiarisce la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7459/15 depositata il 14 aprile. Il fatto. Il Tribunale di Milano, chiamato a pronunciarsi in merito all’impugnazione di alcune delibere assembleari proposta da due condomini contro il Condominio e gli altri condomini, dichiarava la nullità della citazione per violazione del contraddittorio. La Corte d’appello riteneva invece che la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di alcuni condomini non avrebbe potuto determinare la nullità della citazione, bensì la mera estinzione del rapporto processuale riguardante quelle domande. Sanciva inoltre la nullità della sentenza di prime cure per la parte in cui aveva omesso di pronunciarsi sulle impugnazioni proposte dagli attori nei confronti delle delibere assembleari relative alla divisione tra i condomini delle spese di consumo dell’acqua e dell’ascensore, nonché dell’accredito della quota ricavata annualmente dalla locazione del locale originariamente destinato ad alloggio del custode. Il regolamento condominiale attribuiva infatti tali locali alla proprietà comune pro – indiviso di tutti i condomini, destinazione da considerarsi applicabile anche ai relativi frutti. Il Condominio resisteva in giudizio obiettando che un gruppo di condomini utilizzava tale parte comune in via esclusiva, traendone il beneficio del servizio di portineria, ma il gravame non trovava accoglimento. Il Condominio impugna la sentenza d’appello con ricorso in Cassazione. La nullità della delibera può essere dichiarata d’ufficio. Con il primo motivo di ricorso viene formulato quesito di diritto con cui si chiede alla Cassazione di accertare se la Corte territoriale, respingendo la domanda volta ad ottenere la modifica di una delibera assembleare, in quanto inammissibile non potendo il giudice sostituirsi al potere dell’assemblea dei condomini, abbia travalicato i limiti della domanda giudiziale, dichiarando la nullità della delibera in assenza di una specifica domanda in tal senso. Il motivo risulta privo di fondamento, rilevando i giudici di legittimità che la questione non riguarda un difetto della domanda, bensì l’interpretazione della stessa, riservata ai giudici di merito. Il consolidato orientamento giurisprudenziale afferma che la trasformazione, totale o parziale, nell’ambito di un condominio di un bene comune in bene esclusivo di uno dei condomini attraverso l’esclusione di altri condomini dal percepimento dei frutti può essere validamente deliberata soltanto all’unanimità, ossia mediante una decisione che abbia valore contrattuale, dovendosi in difetto dichiarare la nullità della deliberazione dell’assemblea assunta a maggioranza Corte di Cassazione, sentenza n. 10196/13 . La medesima argomentazione consente alla S.C. di dare conto dell’infondatezza anche del secondo motivo con il quale il ricorrente deduce la violazione dell’art. 1337 c.c., ancora per avere la Corte erroneamente ritenuto di doversi pronunciare sulla nullità delle delibere assembleari impugnate. Le conseguenze della mancata integrazione del contraddittorio. Il terzo motivo di ricorso si duole invece per aver i giudici di merito erroneamente dichiarato l’estinzione del processo nei soli confronti del rapporto processuale avente ad oggetto le domande per le quali il contraddittorio non era stato integrato, mentre avrebbe dovuto dare atto dell’estinzione dell’intero giudizio, non essendo le cause promosse scindibili. Anche questa doglianza è priva di fondamento. La Cassazione ribadisce infatti che in caso di pluralità di domande proposte nello stesso giudizio e non legate fra loro da vincolo di dipendenza, ciascuna di esse rimane distinta dalle altre e può avere vita autonoma pertanto, ove il giudice abbia ordinato l’integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., soltanto in riferimento ad una delle domande proposte, e la parte non abbia ottemperato a tale ordine, la sanzione per l’omessa integrazione non può estendersi anche alla domanda per la quale l’ordine di integrazione non sia stato impartito . Nel caso in esame dunque la Corte territoriale ha dato corretta applicazione al principio con argomentazione adeguata e coerente. Per questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 15 luglio 2014 – 14 aprile 2015, n. 7459 Presidente Piccialli – Relatore San Giorgio Ritenuto in fatto 1.- Con atto di citazione notificato il 31 gennaio 2003 P.A. , B.A. e M.I. convennero innanzi al Tribunale di Milano il condominio di Via omissis , nonché i singoli condomini, impugnando le deliberazioni approvate dall'assemblea nelle adunanze del 12 dicembre 2000, del 3 ottobre 2001 e del 15 luglio 2002. 2. - Il Tribunale, con sentenza depositata il 1 giugno 2004, dichiarò la nullità della citazione. Il P. e il B. impugnarono la sentenza. 3. - La Corte d'appello di Milano, con sentenza depositata il 10 gennaio 2007, sulle questioni processuali sollevate in ordine alla pronuncia di primo grado, ritenne che la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di alcuni condomini non avrebbe potuto determinare la nullità della citazione, bensì la sola estinzione del rapporto processuale riguardante le uniche domande rispetto alle quali erano legittimati i singoli condomini e non l'amministratore del condominio. Pertanto, la dichiarazione di nullità dell'atto di citazione doveva essere sostituita con la pronuncia di dichiarazione dell'estinzione del processo nei soli confronti del rapporto processuale avente ad oggetto le domande di modificazione del regolamento condominiale contrattuale e di revisione delle tabelle millesimali allegate. Inoltre, doveva essere dichiarata la nullità della sentenza nella parte in cui, in violazione del dovere di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, aveva omesso di pronunciare sulle impugnazioni proposte dagli attori nei confronti delle deliberazioni approvate dall'assemblea condominiale nelle adunanze del 12 dicembre 2000, del 3 ottobre 2001 e del 15 luglio 2002. La eccezione del condominio relativa alla intervenuta decadenza degli attori, ex art. 1137 cod.civ., dal diritto di impugnare le predette delibere per essere ormai trascorso il termine di trenta giorni dalla data delle rispettive adunanze o comunque dalla data di comunicazione, fu ritenuta parzialmente fondata, e venne dichiarata inammissibile l'impugnazione proposta contro le deliberazioni in questione nella parte in cui con essa si contestavano le modalità ed i criteri con i quali, nei singoli esercizi, cui si riferivano i rendiconti approvati, era stata disposta la suddivisione delle spese relative al consumo dell'acqua ed all'ascensore. In primo luogo rilevò la Corte di merito che la domanda relativa alla asserita erroneità della ripartizione delle spese di ascensore non era stata formulata in primo grado. Essa era dunque inammissibile in grado di appello per il suo carattere di novità. L'impugnazione doveva, invece, essere accolta nella parte in cui l'assemblea, con le deliberazioni impugnate, aveva accreditato ai soli condomini del lato di Via omissis la quota del ricavo realizzato annualmente mediante la riscossione del canone di locazione del locale originariamente destinato ad alloggio del custode sul lato di Via omissis . Come risultava dalla disposizione dell'art. 2 del regolamento condominiale, erano di proprietà comune pro-indiviso di tutti i condomini, tra gli altri beni condominiali, le due guardiole di portineria e i due alloggi delle portiere. Ed anche i frutti dei beni comuni seguivano la sorte della cosa principale. Il Condominio non contestava che per i due alloggi-portineria Via omissis le spese fossero state sempre poste a carico di tutti, ma obiettava che un gruppo di condomini che utilizzava una parte comune destinata a servire solo quel gruppo ne riceveva un beneficio in termini di servizio di portineria. Tale situazione sarebbe stata analoga a quella verificatasi per l'altro gruppo di condomini, quelli del lato di Via omissis , i quali ricevevano l'utilità dell'alloggio in termini di canne di locazione. L'argomento fu considerato incongruo ed inidoneo a superare l'obiezione sollevata dagli appellanti, i quali a giusta ragione richiamavano le norme del regolamento contrattuale che stabilivano che ogni condomino dovesse contribuire alle spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni e per la prestazione dei servizi nell'interesse comune, e che era vietato ogni atto che rendesse talune parti comuni inservibili all'uso e al godimento anche di un solo condomino o ledesse gli interessi della comunione e impedisse l'esercizio del pari diritto da parte degli altri condomini. Le nome regolamentari non contraddicevano, dunque, il carattere vincolante delle regole già esposte, che vietano di sottrarre ad alcuni condomini l'utilità ricavata dai beni comuni. Entro i limiti precisati, le impugnazioni proposte nei confronti delle deliberazioni in questione furono accolte. Non fu accolta, invece, la domanda di condanna del condominio ad accreditare l'importo ricavato dalla locazione dell'alloggio ex portineria dal lato di Via omissis . Tale attribuzione competeva esclusivamente all'assemblea, che avrebbe dovuto approvare una nuova ripartizione dei ricavi della locazione, determinando i relativi necessari conguagli. 4. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Condominio sulla base di tre motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resistono con controricorso sia il P. sia il B. . Considerato in diritto 1. - Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 345, 112 e 99 cod.proc.civ. e 1421 cod.civ Avrebbe errato la Corte di merito nel dichiarare la nullità delle delibere impugnate statuendo su di una domanda non proposta in primo grado, ma formulata solo sotto forma di eccezione, al fine di vedere accogliere la domanda di condanna del Condominio rivolta ad ottenere la modifica di una delibera assembleare, domanda ritenuta dalla Corte inammissibile. La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, a norma dell'art. 366-bis cod.proc.civ., applicabile nella specie ratione temporis Accerti la Corte di Cassazione, avendo la Corte di appello di Milano respinto la domanda di condanna del Condominio rivolta ad ottenere la modifica di una delibera assembleare, in quanto ritenuta inammissibile, non potendo la Corte di merito sostituirsi al potere dell'Assemblea dei condomini, la stessa Corte abbia travalicato i limiti della domanda giudiziale, accertando e dichiarando la nullità della medesima delibera, nell'assenza di una domanda in tal senso formulata dai condomini dissenzienti in primo grado, incorrendo così nella violazione e nella falsa applicazione degli artt. 99, 112 e 345 c.p.c.” . 2. - Il motivo è infondato. Nella specie, non si tratta di difetto di domanda, ma di interpretazione della stessa, attività riservata al giudice del merito. Né risulta sul punto proposto un vizio motivazionale. La Corte territoriale ha congruamente e sufficientemente dato conto del proprio convincimento che la parte avesse proposto anche domanda di nullità delle delibere con riferimento alle statuizioni attinenti alla ripartizione del canone relativo all'alloggio ex portineria, e, conformemente all'orientamento di questa Corte secondo il quale la trasformazione in tutto o in parte nell'ambito di un condominio di un bene comune in bene esclusivo di uno dei condomini attraverso l'esclusione di altri condomini dal percepimento dei frutti può essere validamente deliberata soltanto all'unanimità, ossia mediante una decisione che abbia valore contrattuale v., tra le altre, Cass., sent. n. 8774 del 1994 , dovendosi in difetto dichiarare la nullità della deliberazione dell'assemblea assunta a maggioranza v. Cass., sent. n. 10196 del 2013 . 3. - Le suesposte argomentazioni danno altresì conto della infondatezza del secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione dell'art. 1137 cod.civ. ancora per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto di doversi pronunciare sulla nullità delle delibere in questione, accogliendo la eccezione di decadenza promossa dagli appellati esclusivamente in relazione alle modalità e criteri con i quali nei singoli esercizi cui si riferivano i rendiconti approvati era stata disposta la suddivisione delle spese dell'acqua e dell'ascensore, e non anche in relazione alle deliberazioni stesse nella parte in cui l'assemblea aveva accreditato ai soli partecipanti del fabbricato di via OMISSIS il canone di locazione dell'unità originariamente destinata ad alloggio del portiere, di cui aveva asserito la nullità. Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto Dichiari la Corte se la delibera rivolta ad approvare il consuntivo di gestione ai sensi dell'art. 1135 c.c., che prevede, tra l'altro, una contenente una ripartizione degli utili proveniente dal canone di locazione di u locale condominiale ex alloggio portiere , ove adottato in violazione di norme regolamentari, debba considerarsi annullabile e quindi la relativa impugnazione debba essere proposta entro trenta giorni” . 4. - Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 307 c.p.c. e degli artt. 102 e 103 c.p.c. per avere la Corte di merito erroneamente dichiarato che l'estinzione del processo si era verificata solo nei confronti del rapporto processuale avente per oggetto le domande di modificazione del regolamento contrattuale e delle tabelle millesimali allegate, decidendo nel merito sulle altre domande, laddove essa avrebbe dovuto dare atto dell'estinzione dell'intero giudizio a seguito della mancata integrazione del contraddittorio in primo grado nei confronti di tutte le parti alle quali il giudizio era necessariamente comune, e non ritenere essere state promosse con il medesimo atto di opposizione cause scindibili. La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto Accerti la Corte se il giudice, nell'ipotesi in cui l'attore, dopo aver convenuto in giudizio il condominio e i condomini proponendo nel medesimo atto, e senza formulazione distinta, un cumulo di domande indistintamente rivolte a tutti i soggetti convenuti, e concesso, su istanza degli attori, termine per l'integrazione del contraddittorio, in caso di mancato rispetto di tale termine, debba dichiarare l'estinzione dell'intero giudizio. Dica altresì la Corte di cassazione se il giudice di appello, a fronte di una sentenza di primo grado che, dichiarando nulla la citazione per omessa integrazione del contraddittorio, nei termini e nelle forme di cui agli artt. 302 e 308 c.p.c., abbia di fatto estinto il giudizio, non condividendo tale pronuncia debba rimettere il giudizio al giudice di primo grado ex art. 354 c.p. c.” . 5. - Il motivo è infondato. In caso di pluralità di domande proposte nello stesso giudizio e non legate fra loro da vincolo di dipendenza, ciascuna di esse rimane distinta dalle altre e può avere vita autonoma pertanto, ove il giudice abbia ordinato l'integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'art. 331 cod. proc. civ., soltanto in riferimento ad una delle domande proposte, e la parte non abbia ottemperato a tale ordine, la sanzione per l'omessa integrazione non può estendersi anche alla domanda per la quale l'ordine di integrazione non sia stato impartito cfr., sul punto, Cass., sent. n. 8092 del 2011 . Nella specie, la Corte di merito ha distinto le domande proposte dagli attori tra quelle aventi ad oggetto le impugnazioni delle delibere dell'assemblea condominiale relative alla ripartizione dei ricavi della locazione dell'alloggio ex portineria, in relazione alle quali legittimato passivo era esclusivamente l'amministratore del condominio, e quelle relative alla revisione del regolamento condominiale e delle tabelle millesimali, che vedevano la legittimazione passiva di tutti i condomini. Ne discendeva un cumulo soggettivo di domande che avevano dato vita a rapporti inscindibili. 6. - Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste, in ossequio al criterio della soccombenza, a carico del ricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, in favore di ciascuno dei contro ricorrenti, in complessivi Euro 2700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.