Equa riparazione per i singoli condomini solo se sono stati parti in causa nel giudizio presupposto

In caso di violazione del termine ragionevole del processo, qualora il giudizio presupposto sia stato promosso dal Condominio, sebbene a tutela di diritti connessi alla partecipazione di singoli condomini all’ente di gestione, ma senza che questi siano stati parte in causa, la legittimazione ad agire per l’equa riparazione spetta esclusivamente al condominio, quale autonomo soggetto giuridico, in persona dell’amministratore, autorizzato dall’assemblea dei condomini.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 7245, depositata il 10 aprile 2015. Il caso. Nel 2008, un privato, insieme al Condominio ed agli altri singoli condomini, chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento del danno per la durata eccessiva e non ragionevoli dei giudizi civili promossi nei confronti del Condominio da due imprese nel marzo 1998 e non ancora conclusi. La Corte d’appello di Ancona accoglieva la domanda e liquidava in 10.000 euro l’indennità complessiva spettante al Condominio, come ente di gestione, ma escludeva il diritto all’equa riparazione dei singoli condomini. Gli attori ricorrevano in Cassazione, lamentando il mancato riconoscimento del danno non patrimoniale subito dai singoli condomini. Parti nel giudizio presupposto. La Corte di Cassazione richiama il precedente n. 19663/2014 delle Sezioni Unite, in cui era stato affermato che, in caso di violazione del termine ragionevole del processo, qualora il giudizio presupposto sia stato promosso dal Condominio, sebbene a tutela di diritti connessi alla partecipazione di singoli condomini all’ente di gestione, ma senza che questi siano stati parte in causa, la legittimazione ad agire per l’equa riparazione spetta esclusivamente al condominio, quale autonomo soggetto giuridico, in persona dell’amministratore, autorizzato dall’assemblea dei condomini. Nel caso di specie, la decisione della Corte d’appello di Ancona, che aveva riconosciuto unitariamente l’indennizzo ai condomini ricorrenti si basava sul principio secondo cui, una volta provata la sussistenza della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ciò comporta nella normalità dei casi anche la prova che essa abbia prodotto delle conseguenze non patrimoniali in danno della parte processuale. Ciò vale anche per le persone giuridiche e, più in generale, per i soggetti collettivi , per i quali il danno non patrimoniale da intendersi come danno morale soggettivo , si pone come conseguenza normale, anche se non automatica e necessaria, dalla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente. Perciò, nel caso di specie, i giudici di merito non avevano riconosciuto, implicitamente, una legittimazione dei singoli condomini a richiedere in giudizio un danno diverso da quello subito dal Condominio in quanto parte processuale del giudizio presupposto. Inoltre, secondo gli Ermellini, non può logicamente ritenersi che, per effetto della mancata impugnazione della decisione, nella parte in cui riconosce, implicitamente, una legittimazione dei singoli condomini a richiedere la liquidazione del danno da irragionevole durata del processo subito dal Condominio, si sia formato un giudicato implicito sulla legittimazione dei singoli condomini a richiedere l’equa riparazione del danno da loro asseritamente subito a titolo individuale . Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, sentenza 24 febbraio – 10 aprile 2015, n. 7245 Presidente Di Palma – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Con ricorso del 23 luglio 2008 V.A. e gli altri ventisei condomini nominati in epigrafe partecipanti al Condominio di via omissis nonché lo stesso Condominio hanno chiesto alla Corte di appello di Ancona la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento del danno ex legge n. 89/2001 subito per la durata eccessiva e non ragionevole dei giudizi civili promossi nei confronti del Condominio dalle imprese EMIL EUROPE E FABBRONI COSTRUZIONI nel marzo 1998 e ancora in corso al momento della proposizione del ricorso per equa riparazione. 2. La Corte di appello di Ancona ha accolto la domanda e liquidato in 10.000 Euro l'indennità complessiva spettante al Condominio, quale ente di gestione, mentre ha escluso il diritto all'equa riparazione dei singoli condomini. 3. Ricorre per cassazione V.A. , unitamente al Condominio e agli altri condomini ricorrenti davanti alla Corte d'appello di Ancona, affidandosi a quattro motivi di impugnazione con i quali deduce a la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2 della legge n. 89/2001 e degli articoli 6 C.E.D.U. e 1130 e 1131 cod. civ. per non aver riconosciuto il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale subito dai singoli condomini b la contraddittoria e insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. per avere la decisione impugnata riconosciuto la legittimazione e titolarità del diritto al risarcimento a tutti i ricorrenti e avere nello stesso tempo negato il conseguente indennizzo spettante a ogni singolo condomino senza motivare in modo logico e sufficiente la ragione per cui tale indennizzo deve essere riconosciuto in modo unitario a condomini e condominio c la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2, primo e secondo comma, della legge n. 89/2001 e degli articoli 6 e 41 della C.E.D.U., con riferimento alla consolidata giurisprudenza della Corte Europea, nonché dell'articolo 111, comma sesto, della Costituzione. Secondo i ricorrenti, la Corte di appello ha liquidato l'equa riparazione non tenendo conto del diritto al risarcimento per ogni anno di durata del giudizio nonché della rilevanza della posta in gioco e della concreta sofferenza causata dallo specifico giudizio, ha illegittimamente decurtato dalla durata del processo il periodo di interruzione e applicato gli interessi sulla somma liquidata dalla data della pronuncia anziché della domanda d la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2, primo e secondo comma, della legge n. 89/2001 e degli articoli 6 e 41 della C.E.D.U., con riferimento alla consolidata giurisprudenza della Corte Europea, nonché dell'articolo 111, comma sesto, della Costituzione e dell'art. 91 c.p.c 4. Si difende con controricorso il Ministero della Giustizia e propone ricorso incidentale condizionato rilevando che la Corte di appello non applicando la riduzione dell'indennità spettante per i primi tre anni di durata eccessiva del giudizio, abitualmente applicata dalla giurisprudenza di questa Corte, ha violato l'articolo 2 della legge n. 89/2001 e dell'art. 6 p. 1 della C.E.D.U 5. Con ordinanza del 14 novembre 2012 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione relativa al diritto dei condomini a percepire un'equa riparazione in riferimento alla durata eccessiva dei giudizi proposti o subiti dal Condominio. Ritenuto che 6. La questione di cui al punto precedente è stata decisa dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 19663 del 18 settembre 2014 secondo cui, in caso di violazione del termine ragionevole del processo, qualora il giudizio presupposto sia stato promosso dal condominio, sebbene a tutela di diritti connessi alla partecipazione di singoli condomini all'ente di gestione, ma senza che costoro siano stati parte in causa, la legittimazione ad agire per l'equa riparazione spetta esclusivamente al condominio, quale autonomo soggetto giuridico, in persona dell'amministratore, autorizzato dall'assemblea dei condomini. 7. La statuizione della Corte di appello di Ancona che ha riconosciuto unitariamente l'indennizzo ai condomini ricorrenti si basa sulla giurisprudenza citata nella motivazione del decreto impugnato specificamente si richiama alla sentenza della Cass. civ., I sezione, n. 3396 del 18 febbraio 2005 secondo cui, una volta provata la sussistenza della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ciò comporta nella normalità dei casi anche la prova che essa ha prodotto conseguenze non patrimoniali in danno della parte processuale, e tale principio vale anche per le persone giuridiche e, più in generale, per i soggetti collettivi, per i quali il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, non diversamente da quanto avviene per la persone fisiche, si pone quale conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria dalla violazione dal diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione CEDU, a causa dai disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente. 8. È da escludere pertanto che la Corte di appello di Ancona abbia riconosciuto, implicitamente, una legittimazione dei singoli condomini a richiedere in giudizio un danno diverso da quello subito dal Condominio in quanto parte processuale del giudizio presupposto. E non può logicamente ritenersi che, per effetto della mancata impugnazione della decisione, nella parte in cui riconosce, implicitamente, una legittimazione dei singoli condomini a richiedere la liquidazione del danno da irragionevole durata del processo subito dal Condominio, si sia formato un giudicato implicito sulla legittimazione dei singoli condomini a richiedere l'equa riparazione del danno da loro asseritamente subito a titolo individuale. 9. Va pertanto respinto il primo motivo di ricorso perché il decreto della Corte di appello non ha, correttamente, riconosciuto, coerentemente alla giurisprudenza citata, un diritto all'equa riparazione dei condomini in quanto tali ma lo ha riferito alla partecipazione del solo Condominio al giudizio presupposto. Cosi come deve essere respinto il secondo motivo di ricorso perché il decreto della Corte di appello richiamandosi a tale giurisprudenza ha univocamente chiarito che l'indennizzo spetta all'ente collettivo in conseguenza della sua partecipazione al giudizio presupposto. 10. Il terzo motivo del ricorso principale appare viziato da inammissibilità perché largamente improntato a una richiesta di riedizione del giudizio di merito. È comunque infondato perché inteso a contestare i criteri di liquidazione del danno utilizzati dalla Corte di appello che non si pongono in contrasto con la giurisprudenza Europea e di legittimità muovendosi completamente all'interno della discrezionalità riservata al giudice di merito. In particolare quanto alla valutazione del giudizio cautelare come fase incidentale e parallela rispetto al giudizio di merito che non giustifica una considerazione disgiunta dei due procedimenti ai fini della determinazione dell'indennità trattandosi nella sostanza di una unica controversia. Alla determinazione del periodo di durata del giudizio presupposto da considerare ai fini della liquidazione dell'indennità, determinazione che, nella specie, ha tenuto conto dell'intera durata della controversia, a partire dalla data di inizio del giudizio cautelare, che ha preceduto l'instaurazione del giudizio di merito, e sino alla data della pronuncia del decreto della Corte di appello essendo ancora in corso a quella data il giudizio di merito. Alla sola detrazione di 11 mesi, da tale durata complessiva, in considerazione di un periodo di interruzione del giudizio, e quindi adottando un criterio più favorevole alla parte danneggiata, rispetto alla giurisprudenza di legittimità, in quanto non è stata detratta la durata da considerarsi ragionevole. Alla fissazione di un criterio di liquidazione pari a 1.000 Euro per ogni anno di durata complessiva della controversia, criterio compatibile con la giurisprudenza Europea e superiore a quello indicato dalla giurisprudenza di legittimità. Alla decorrenza degli interessi dalla data della pronuncia in ragione della motivazione espressa nel decreto e cioè con riferimento al criterio seguito costantemente dalla Corte di appello di Ancona della liquidazione all'attualità dell'equa riparazione. 11. Il quarto motivo del ricorso è inammissibile perché non risulta adempiuto l'onere del ricorrente in cassazione, a pena della inammissibilità del ricorso, di specificare analiticamente le voci tariffarie e gli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, nonché le singole spese contestate o dedotte come omesse, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini cfr. Cass. civ. sezione VI-3, ord. n. 24635 del 19 novembre 2014, sezione I n. 14542 del 4 luglio 2011, sezione III n. 22287 del 21 ottobre 2009 . 12. Il rigetto del ricorso principale comporta l'assorbimento di quello incidentale condizionato. 13. In considerazione dell'esito del giudizio e dell'incidenza su di esso della recente pronuncia delle Sezioni Unite le spese del giudizio di cassazione devono essere interamente compensate. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato e compensa le spese del giudizio di cassazione.