Nessuna presunzione di condominialità, ma un vero e proprio diritto di condominio

In tema di condominio negli edifici, l’art. 1117 c.c. contiene un’elencazione meramente esemplificativa dei beni, servizi ed impianti che si devono considerare di proprietà comune. La norma, quindi, non sancisce una presunzione di condominialità ma un vero e proprio diritto di condominio superabile solamente da differenti disposizioni pattizie.

Questa, in somma sintesi, la decisione resa dalla Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 4501 depositata in cancelleria il 5 marzo 2015. La pronuncia merita particolare attenzione in quanto riprende un principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite nel lontano 1993 e quasi sempre trascurato in quell’occasione la Suprema Corte specificò che l’espressione presunzione di condominialità è utilizzata impropriamente la frequenza della sua utilizzazione, però, porta sempre gli ermellini a sollecitare un nuovo intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. La richiesta rimase inascoltata perché a dire della Seconda Sezione non ve n’erano i presupposti cfr. Cass. n. 822/2014 . Entriamo nel dettaglio per comprendere meglio la questione. Il caso. Controversia tra vicini di casa tra loro parenti di chi è il lastrico solare? Questo l’oggetto del contendere. Per la proprietaria dell’appartamento al piano terreno, di tutti, per le sorelle del piano superiore, solamente loro tant’è che lo avevano attratto nella loro esclusiva disponibilità. Era questa la ragione della causa. Per l’attrice bisognava eliminare l’opera e consentirle l’uso del lastrico in quanto bene in condominio, per le convenute la copertura dell’edificio doveva essere considerata di loro esclusiva proprietà, al massimo per intervenuta usucapione. La controversia, giunta fino ai giudici di piazza Cavour, ha dato ragione all’attrice il lastrico è di tutti e tutti hanno diritto d’utilizzarlo. Strumentalità dei beni condominiali. L’art. 1117 c.c., si diceva in principio, contiene un elenco esemplificativo e non vincolante delle cose che sono oggetto di proprietà comune. Ciò vuol dire che possono essere considerati in condominio anche altri beni. Quali? La Cassazione, nel corso degli anni, ha ricordato in più occasioni che le parti comuni sono legate alle unità immobiliari di proprietà esclusiva da un rapporto di strumentalità e funzionalità che rende la loro utilizzazione accessoria rispetto a queste ultime. In buona sostanza il condomino usufruisce delle scale per accedere all’unità immobiliare di proprietà esclusiva e non quale bene immobile suscettibile di autonomo godimento. Proprio per questo motivo l’elenco dei beni comuni esemplifica senza porre limiti derivanti dalla specificità rinvenibili nella realtà concreta, sicché anche le cose in esso elencate possono essere escluse ab origine dal novero delle cose condominiali perché prive della funzione accessoria. L’art. 1117 c.c., quindi, esemplifica e stabilisce l’esistenza del diritto di condominio, non pone presunzioni, che quando sono stabilite vengono espressamente menzionate es. presunzione di proprietà del muro comune . Questo, in breve, fu il concetto espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza 7 luglio 1993, n. 7449. In effetti l’art. 1117 c.c. inizia specificando che Sono oggetto di proprietà comune” e non affermando Si presumono di proprietà comune”. I principi espressi, in parte già pacifici, continuarono a non trovare opposizioni, salvo proprio il caso della presunzione di condominialità. La giurisprudenza successiva a quell’anno è piena di riferimenti alla presunzione di proprietà dei beni comuni, tant’è che la sentenza n. 7449 spesso sembra finita nel dimenticatoio. Diritto di condominio e onere della prova. La differenza tra diritto di condominio e presunzione di condominialità non sta solamente nel dato linguistico. Dire che un bene è di proprietà dei condomini è cosa molto diversa dall’affermare che lo stesso bene si presume tale. La differenza riguarda la possibilità di provare il contrario. Come nella causa risolta dalla sentenza n. 4501. Per le convenute, poi ricorrenti in Cassazione, bastava il fatto che l’attrice non avesse accesso diretto al lastrico per concludere che la presunzione di condominialità non dovesse operare. Gli ermellini non si sono trovati d’accordo ed hanno affermato che l’art. 1117 c.c. non sancisce una mera presunzione di condominialità, ma afferma in modo positivo detta natura condominiale, che può essere esclusa non già con qualsiasi mezzo di prova come sarebbe nell'ipotesi di presunzione , ma solo in forza di un titolo specifico, inevitabilmente in forma scritta, riguardando beni immobili”. In considerazione di ciò, quindi, i giudici hanno dato ragione all’attrice circa la condominialità di quella parte d’edificio e quindi il suo diritto ad utilizzarla sia pur in modalità diverse da quelle stabilite nella sentenza di secondo grado. Niente varchi tra edifici, si creano servitù. È questo il secondo aspetto della sentenza n. 4501 che merita un brevissimo cenno. L’attrice, fino alla chiusura del lastrico vi accedeva da una sua proprietà adiacente al palazzo. La Cassazione – nell’affermare la correttezza della sentenza impugnata che affermava il diritto d’uso del lastrico ai sensi dell’art. 1102 c.c. – ha ribadito che senza il consenso di tutti i condomini è vietato aprire varchi tra proprietà confinanti collocate in edifici diversi, anche se appartenenti allo stesso proprietario, perché si configurerebbe una servitù a favore di un altro fondo.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 ottobre 2014 – 5 marzo 2015, n. 4501 Presidente Triola – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo 1 S.M.A. ha agito nel dicembre 1998 contro le sorelle B.A. e As. per far accertare la proprietà comune del lastrico solare del fabbricato sito in Sant'Antioco, nel quale ella è proprietaria dell'appartamento avente ingresso da via omissis , sottostante quello delle convenute, avente ingresso da via omissis . Ha lamentato che dal 1991-92 le convenute avevano realizzato una scala per accedere al lastrico, impedendole di recarvisi. Le signore B. hanno resistito, proclamandosi costruttrici del lastrico in luogo dell'originario tetto in legno ed eccependo l'usucapione. Il tribunale di Cagliari ha accolto la domanda principale, rilevando che l'opposizione all'accesso della S. risaliva a sei - sette anni prima dell'atto di citazione e che la costruzione della scala di accesso risaliva al 1980, epoca insufficiente al maturare dell'usucapione in favore delle B. . La Corte di appello l'8 aprile 2008 ha confermato la sentenza di primo grado. Ha osservato che era irrilevante che l'attrice non avesse accesso diretto al lastrico, ma vi giungesse attraverso un edificio confinante di proprietà della sorella. Le appellanti hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 10 aprile 2009, svolgendo 6 motivi. Seminatore è rimasta intimata. In vista dell'udienza, parte ricorrente ha nominato nuovo difensore che ha depositato procura notarile. Motivi della decisione 2 Nel confermare la prima pronuncia, la sentenza impugnata trova il suo fondamento nella presunzione di comproprietà del lastrico solare posta dall'art. 1117 c.c Ha ritenuto che tale presunzione non sia stata superata, neanche mediante prova dell'usucapione del bene. Il primo e il secondo motivo di ricorso denunciano invano vizi di motivazione della sentenza, poiché non colgono la ratio decidendi sopra individuata. In particolare il primo motivo si sofferma sul fatto che la Corte abbia giustificato il controllo dei lavori di trasformazione del tetto da parte della dante causa di S. tale L.A. con l'interesse alla copertura dell'edificio condominiale. E il secondo motivo crede di individuare contraddizioni, nella motivazione della sentenza d'appello, sempre con riguardo a quanto da essa affermato a proposito dell'atteggiamento tenuto dalla L. in quella circostanza. Erroneamente parte ricorrente deduce che la Corte di appello avrebbe da qui tratto la prova della comproprietà del lastrico in capo all'attrice. Altro era infatti il costrutto argomentativo di riferimento, imperniato sull'art. 1117 c.c. e sull'assenza di prova dell'usucapione. 3 Il terzo motivo denuncia contemporaneamente violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. e vizi di motivazione. La tesi di parte ricorrente è che risulti in atti l'impossibilità della S. di accedere al lastrico e che l'attrice avrebbe dovuto dare la prova di un titolo acquisitivo della proprietà del bene conteso. Secondo le ricorrenti, in favore della S. non avrebbe rilevanza la presunzione legale ex art. 1117 c.c. in assenza di prova dei presupposti di fatto necessari. La censura è manifestamente infondata. Non è vero che quando vi sia impossibilità diretta di accedere al lastrico solare da parte di un singolo condomino, questi debba dare la prova dell'esistenza del titolo acquisitivo. L'art. 1117 c.c., con riferimento ai beni in esso indicati e a quegli altri che assolvano in vario modo alle medesime funzioni tra i quali rientrano i tetti e i lastrici solari, v. art. 1117 n. 1 , atteso il carattere non tassativo dell'elencazione, non sancisce una mera presunzione di condominialità, ma afferma In modo positivo detta natura condominiale, che può essere esclusa non già con qualsiasi mezzo di prova come sarebbe nell'ipotesi di presunzione , ma solo in forza di un titolo specifico, inevitabilmente in forma scritta, riguardando beni immobili. Va quindi ripetuto che è corretto, di conseguenza, il criterio di giudizio adottato dal giudice del merito che, trascurando possibili elementi desumibili da meri comportamenti degli originare unici proprietari, concentri l'indagine sull'esistenza o meno di un titolo che riservasse la proprietà del lastrico solare ai danti causa nell'atto costitutivo del condominio così utilmente Cass. n. 6005/08 . 3.1 A parte ricorrente sfugge lo sancisce anche la massima ufficiale della invocata sentenza 7449/93 che l'art. 1117 cod. civ. non si limita a formulare, quanto alle terrazze di copertura, una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, ma formula l'espressa individuazione delle parti comuni, che può' essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo e non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo dell'unità immobiliare. Il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune Cass. 7889/00 . 4 È quindi manifestamente infondato anche il quarto motivo, il quale assume che la S. non avrebbe contitolarità del lastrico solare dell'edificio condominiale poiché esso dal punto di vista soggettivo è nel godimento esclusivo dei titolari del piano superiore , mancando possibilità di accesso dal piano terreno . Parte ricorrente non nega che il lastrico solare de quo esplichi la naturale funzione di copertura di un comune fabbricato condominiale, caratterizzato dalla sovrapposizione dei diversi piani . È bene notare infatti che già in principio di ricorso essa descrive le due unità immobiliari come una sovrastante l'altra. Resta in tal modo escluso che sussistano obbiettive caratteristiche strutturali tali da far sì che il bene serva in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, giacché funge da copertura anche della porzione S. . Da tale conformazione del fabbricato discende la condominialità del lastrico solare, superabile solo con il titolo contrario. Va dunque ribadito che, salve le risultanze del titolo, ben distinto è il profilo della destinazione strutturale di tetti e lastrici solari, che fonda la condominialità, da quello del godimento di fatto, che esclude la condominialità solo se il bene non esplichi nel contempo funzione essenziale es. di copertura anche per la porzione di immobile dal quale non vi si acceda direttamente. 5 Il quinto motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1102 e 1108 c.c. . Ancora una volta parte ricorrente si scaglia contro una affermazione non decisiva contenuta nella sentenza. Quest'ultima ha rilevato che la tesi di parte B. , secondo la quale S. non avrebbe accesso al lastrico, era contraddetta proprio da quanto affermato dalle stesse ricorrenti, riguardo al fatto che l'accesso veniva effettuato tramite un edificio confinante di proprietà della sorella della appellata . Tale rilievo era puntuale, perché contribuiva a rintuzzare, con un argomento di fatto aggiuntivo, sia la tesi riproposta in sede di legittimità con terzo e quarto motivo, tesi esaminata supra, sia la prospettata usucapione della proprietà del lastrico solare. Il motivo censura poi un obiter dictum contenuto nella sentenza di appello, la quale ha negato che l'accesso al lastrico solare tramite altro edificio confinante costituisca indebito esercizio di servitù a beneficio di detto edificio ed a carico di quello B. -S. . È vero che questa affermazione della sentenza di appello è errata e la motivazione va su questo punto corretta. Vale infatti il principio pacifico sancito da Cass. 2773/92, 1708/98 e Cass. 9036/06 in forza del quale è illegittima l'apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell'edificio condominiale dal comproprietario per mettere in comunicazione un locale di sua proprietà1 esclusiva ubicato nel medesimo fabbricato con altro immobile pure di sua proprietà' estraneo al condominio infatti, tale utilizzazione, comportando la cessione a favore di soggetti estranei al condominio del godimento di un bene comune, ne altera la destinazione, giacché in tal modo viene imposto un peso sul muro perimetrale che dà luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i partecipanti al condominio. Tale precisazione non modifica in nulla, tuttavia, la ratio della decisione relativa alla proprietà condominiale del lastrico solare conteso. 6 Di ardua comprensione, attesa la genericità dell'esposizione, redatta senza il rispetto dei principi di specificità e completezza precisati dalla giurisprudenza di legittimità vale il rinvio a Cass. 4741/05 , è il sesto motivo. Esso denuncia nullità parziale della sentenza per omessa motivazione a sostegno della pronuncia di condanna delle appellanti a non impedire o limitare l'uso da parte dell'appellata della terrazza de qua. art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e art. 1118 Disp. Att c.p.c. ”. Il motivo sembra ipotizzare che la condanna suddetta quella a non impedire o limitare l'uso da parte dell'appellata della terrazza de qua ” derivi automaticamente dal riconoscimento giudiziale del diritto di comproprietà della terrazza e dal diritto di accedervi anche da immobile appartenente a terzi. Parte ricorrente lamenta che sarebbe statuizione confermativa di quella di primo grado priva di motivazione in relazione a una doglianza proposta in atto di appello, relativa al passaggio tramite la casa confinante. Ciò comporterebbe nullità derivata, in quanto la statuizione non potrebbe reggersi sulla motivazione resa per altri capi della sentenza allorché essi vengano annullati dalla Corte Suprema . Giova mettere ordine. La sentenza di primo grado ha accolto la domanda di condanna delle convenute a consentire alla S. l'utilizzo del bene comune e ha stabilito che l'utilizzo dovrà avvenire con le modalità e nei limiti precisti dall'art. 1102 del codice civile. La sentenza di appello rigettando il gravame ha confermato quella di primo grado - e quindi anche tale statuizione – senza aggiungere rilievi motivazionali. È stato poi chiarito, con la correzione della motivazione resa nel paragrafo precedente, che erano errate le affermazioni della sentenza impugnata a proposito della servitù che si può costituire se si accede da un edificio all'altro senza il consenso di tutti i proprietari. Va precisato che la correzione suddetta è perfettamente compatibile con l'ineccepibile affermazione secondo cui, riconosciuta la comproprietà di un bene condominiale, va consentito al comproprietario di utilizzare il bene con le modalità di cui all'art. 1102 c.c Va ulteriormente rilevato che parte B. non ha svolto una actio negatoria servitutis volta a sollecitare un apposito capo di pronuncia relativo all'accesso tramite la terrazza confinante. Ciò non risulta infatti né dalla sentenza di appello, né dall'atto di appello. Resta dunque ferma la validità della generica condanna delle convenute a non impedire l'accesso, se ed in quanto esercitato con modalità compatibili con il disposto codicistico richiamato art. 1102 c.c. . Risultano invece non pertinenti né congrue le ipotesi oscuramente prospettate nel motivo di ricorso, che ha esposto, senza riscontro concreto, vizi ulteriori della sentenza di appello. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso, senza condanna alla refusione delle spese di lite, in mancanza di costituzione dell'intimata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.