Quando la Corte di Cassazione ha le mani legate

La Corte di Cassazione si pronuncia su una complessa vicenda legata a dei lavori condominiali il cui pagamento veniva richiesto, dalla ditta che li aveva eseguiti, ad un solo condomino in via solidale.

Solidarietà e parziarietà del debito. Nella pronuncia in oggetto sentenza n. 4361/15 vengono così ribaditi due principi, entrambi ben noti e condivisibili è cioè che il condomino risponde comunque solo delle obbligazioni contratte nell’ambito dei suoi poteri e dell’incarico ricevuto dall’amministratore dello stabile, e che di tali obbligazioni il condomino risponde in via parziaria cioè in percentuale ai propri millesimi e non solidale. Di questo secondo principio, tuttavia, per quanto oramai noto e non più in discussione almeno sino all’entrata in vigore della legge di riforma 220/2012 la Corte non ha potuto fare applicazione ma si è limitata ad enunciarlo questo in quanto, curiosamente, il soccombente condomino non aveva impugnato sul punto la sentenza della Corte d’appello che aveva, appunto, accolto la domanda condannandolo in solido al pagamento delle spese dovute dal condominio. Il caso. Un condomino di un condominio evidentemente disastrato e pericolante, preoccupato per la propria incolumità, si rivolgeva al Tribunale di Napoli competente territorialmente chiedendo venisse nominato, ai sensi dell’art. 1105 c.c. un amministratore giudiziario al quale venisse affidato il compito di far eseguire i necessari lavori di ristrutturazione del condominio. A lavori commissionati dall’avvocato che era stato nominato amministratore ad hoc dal Tribunale ed ultimati, visto il mancato pagamento dell’importo pattuito l’impresa chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo nei confronti del committente, per poi notificare atto di precetto ad un solo condomino, ritenuto appunto responsabile del debito in via solidale. Il malcapitato condomino evidentemente uno dei pochi se non l’unico dello stabile con disponibilità economica proponeva opposizione al precetto ricevuto, affermando fra l’altro che i lavori dei quali gli veniva richiesto il pagamento non erano gli stessi per i quali era stato nominato dal Tribunale di Napoli un amministratore ad hoc , ed eccependo che vista tale mancata coincidenza egli non si riteneva tenuto al pagamento del relativo importo. Il condomino opponente, inoltre, correttamente eccepiva che, al limite, visto l’oramai consolidato insegnamento della corte di cassazione risalente alla notissima decisione a sezioni unite del 2008 egli sarebbe stato tenuto al pagamento non dell’intero debito ma solo della quota relativa ai propri millesimi di proprietà. Il Tribunale prima e la Corte D’appello in seguito rigettavano l’istanza del condominio opponente, osservando in sostanza il Tribunale che egli non aveva fornito prova di quanto affermato in merito alla non coincidenza dei lavori eseguiti con quelli ritenuti necessari nell’interesse dello stabile ai sensi dell’art. 1105 c.c. e la Corte curiosamente che egli era responsabile in via solidale per il pagamento dell’intero credito reclamato nei confronti del condominio dall’impresa che aveva eseguito l’intervento di ristrutturazione sulle parti comuni. A fronte di tale decisione del giudice del gravame, il condomino soccombente nei precedenti gradi di giudizio, si rivolgeva con ricorso alla Corte di Cassazione, omettendo tuttavia di impugnare la sentenza proprio nel punto in cui questa era certamente meno difendibile, e cioè sulla errata ed obsoleta applicazione del principio della solidarietà del debito a fronte di quello, oramai consolidato della parziarietà. Il condomino risponde solo per le obbligazioni contratte in favore del condominio e relative alle parti comuni. La Suprema Corte, infine, interpellata dal condomino soccombente nei 2 precedenti gradi di giudizio, ribaltava le precedenti decisioni, e dopo un formale ma come detto privo di conseguenze, dato che sul punto la sentenza della corte d’appello non era stata reclamata richiamo al principio della parziarietà del debito condominiale, accoglieva comunque il ricorso rilevando come risultasse dalla documentazione in atti che i lavori eseguiti dall’impresa che aveva poi ottenuto il decreto ingiuntivo, non solo non erano gli stessi per i quali evidentemente un condomino preoccupato dallo stato di dissesto dello stabile si era rivolto al Tribunale perché desse ad un amministratore nominato ad hoc l’incarico di farli eseguire, ma in alcuni casi non erano neppure relativi a parti condominiali. La Corte di Cassazione in sostanza, nel decidere il giudizio in senso favorevole al ricorrente, ha ricordato che perché un condomino possa essere chiamato al pagamento parziale o solidale di credito del condominio, è comunque condizione necessaria ed insuperabile che si tratti appunto di un obbligazione assunta dall’amministratore in nome e per conto del condominio nei limiti delle proprie attribuzioni, o eseguendo deliberazioni dell’assemblea o, infine, per dare come nel caso esaminato concreto seguito all’incarico ricevuto dal giudice.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 25 novembre 2014 – 4 marzo 2015, n. 4361 Presidente/Relatore Piccialli Svolgimento del processo Con atto notificato il 9.1.2003 M.S. , condomino di un fabbricato in omissis , nel quale erano stati eseguiti, a seguito di appalto stipulato nell'agosto 1997 dall’amministratore giudiziario avv. C.V. , lavori di manutenzione straordinaria dall'imprenditore edile I.A. , propose, davanti al Tribunale di Napoli, opposizione al precetto che quest'ultimo gli aveva intimato,sulla base di un decreto ingiuntivo emesso a carico del condominio, per il pagamento di L. 74.499.217, insoluto saldo del corrispettivo delle opere. A sostegno dell'opposizione il M. , dedusse che i lavori in questione non erano quelli per i quali l’avv. C. era stato, con provvedimento del suddetto tribunale in data 26/30.11.1990, nominato ad hoc ex art. 1105 cod.civ L'opposizione, cui lo I. aveva resistito proponendo varie eccezioni, venne dichiarata inammissibile dall'adito tribunale, con compensazione delle spese, sul preliminare rilevo che i relativi motivi attenevano alla fase di formazione del titolo esecutivo,e non già a fatti sopravvenuti modificativi o estintivi del rapporto sostanziale, e che pertanto avrebbero potuto essere dedotti soltanto in sede di opposizione al decreto ingiuntivo. All'esito dell'appello del M. , resistito dallo I. , la Corte di Napoli, con sentenza del 21.12.2007, pur ritenendo ammissibile l'opposizione a precetto, la respingeva nel merito, confermando che il condomino era solidalmente responsabile per le obbligazioni contratte dall'amministratore del condominio, nei limiti delle proprie attribuzioni o eseguendo deliberazioni dell'assemblea o per dare seguito all'incarico ricevuto dal giudice, altresì osservando che, nell'ambito di un giudizio di opposizione all'esecuzione, diversamente che in quello di opposizione a decreto ingiuntivo, la qualità di attore competeva all'opponente, tenuto in quanto tale a fornire la prove delle ragioni poste a sostegno della propria domanda. Nel caso di specie, soggiungeva la corte territoriale, l'opponente non aveva fornito una prova adeguata in ordine all'assunta esorbitanza delle opere affidate allo I. dall'avv. C. , rispetto a quelle di consolidamento statico dell'edificio pericolante, per le quali quest'ultimo con il citato provvedimento del Tribunale di Napoli, era stato nominato ad hoc , tanto non potendo desumersi dal contenuto di una consulenza tecnica di ufficio,espletata in un precedente giudizio il cui esito non era stato precisato svoltosi tra il M. e l'amministratore giudiziario. Avverso tale sentenza M.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati con successiva memoria. Ha resistito lo I. con rituale controricorso. Motivi della decisione Vanno anzitutto respinte le preliminari eccezioni d'inammissibilità sollevate in controricorso. Per quanto attiene all'osservanza del termine di cui all'art. 327 c.p.c., va rilevato che la notifica del ricorso risulta attivata, mediante la consegna dell'atto all'ufficio notificatore, in data 13.5.2009 come deduce la stessa parte controricorrente , vale dire esattamente nell'ultimo giorno utile, tenuto conto che la sentenza impugnata era stata pubblicata il 28.3.2000, data a partire dalla quale le parti, tenendo conto della sospensione feriale dal 1.8 al 15.9.2008, disponevano di 1 anno e 46 non 45 giorni per proporre l'impugnazione. Quanto alle modalità di formulazione del mandato a margine del ricorso, palesemente pretestuoso è il rilievo secondo cui il conferimento dell'incarico a sottoscrivere il presente ricorso . comporterebbe la non riferibilità dell'impugnazione ai due difensori, non essendo necessario che la procura debba necessariamente precedere la materiale compilazione dell'atto che ben può essere predisposto dall'avvocato , ma sufficiente fini della specificità richiesta dall'art. 365 c.p.c., che il cliente esprima l'inequivoca intenzione di proporre l'impugnazione, avverso la sentenza di merito nel contesto indicata, e di avvalersi a tal fine della difesa del professionista, elemento quest'ultimo nella specie desumibile non solo dall'incarico a sottoscrivere il ricorso, ma anche dalla richiesta di difendermi nel relativo processo davanti alla Corte di Cassazione . Infondate sono anche le eccezioni di inosservanza degli artt. 360 n. 3 e 366 bis c.p.c., essendo state indicate nei due motivi esposti le norme, sostanziali e processuali, di cui si lamenta malgoverno e formulati,nelle parti conclusive,i rispettivi pertinenti quesiti di diritto, sufficientemente specifici in relazione alle concrete doglianze esposte nei mezzi d'impugnazione. Con il primo motivo viene dedotta violazione degli artt. 112, 115, 116, 117, 167 c.p.c., 1123, 1294, 2697 cerotto tre distinti profili, riassunti da altrettanti quesiti 1 per avere la corte territoriale posto l'onere della prova, che l'inadempiuta obbligazione assunta dall'amministratore rientrasse nei limiti dei poteri conferiti ex art. 1105 c.c., a carico del condomino opponente, anziché del creditore che intendeva avvalersi del principio di solidarietà 2 per avere il giudice di appello violato il principio di terzietà e l'obbligo di giudicare iuxta alligata et probata , in un contesto nel quale gli elementi di giudizio offerti dall'opponente, segnatamente emergenti dalla prodotta copia della consulenza espletata in altro giudizio e conclamanti l'esorbitanza delle opere rispetto al provvedimento giudiziario suddetto, non avevano formato oggetto di specifica contestazione da parte dell’opposto, venendo nondimeno negletti dal secondo giudice 3 per essere la corte suddetta incorsa in extrapetizione,con ulteriore violazione del principio informatore del sistema processuale,non essendo state sollecitate dalla controparte,acquiescente al contenuto della prodotta relazione tecnica, notizie sull'esito del giudizio in cui era stata espletata. Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 167, 345, 112, 115, 116 c.p.c. e 1297 c.c., per avere la corte di merito posto a fondamento della sua decisione una deliberazione assembleare, asseritamente autorizzante l'esecuzione delle ulteriori opere in relazione alle quali era stato preteso il corrispettivo, solo accennata ma non prodotta dall’appellato, nel corso del giudizio di secondo grado. Le censure, fondate nei limiti di seguito esposti, comportano l'accoglimento per quanto di ragione del ricorso. Giova, anzitutto, premettere che nella presente sede non possono formare più oggetto di discussione due principi su cui si basa la decisione della corte territoriale, il primo dei quali,affermante secondo la giurisprudenza prevalente all'epoca del giudizio di merito la responsabilità solidale di ciascun condomino,per l'intero, delle obbligazioni contratte nei confronti dei terzi dall'amministratore del condominio, nell’ambito delle proprie attribuzioni questione in ordine alla quale il M. non ha proposto gravame alcuno, con la conseguenza che del diverso principio, successivamente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 9148 dell'8.4.2008, non può tenersi conto in questa sede. Altrettanto incensurata risulta la dichiarazione di ammissibilità dei motivi addotti dal M. , a sostegno dell'opposizione a precetto, che la corte partenopea ha ritenuto di dover sancire in accoglimento del primo motivo di gravame, delibando la questione della rispondenza o meno dei lavori alle specifiche attribuzioni dell'amministratore giudiziario, non avendo, al riguardo lo I. proposto alcun ricorso incidentale, sia pur condizionato, per ribadire il diverso principio affermato dal primo giudice sul rilievo della riferibilità del non opposto decreto ingiuntivo anche al non opponente M. , quale partecipe della collettività condominiale rappresentata dall’amministratore sicché il giudizio devoluto a questa Corte è circoscritto alle sole questioni del relativo riparto dell'onere probatorio e del governo delle risultanze istruttorie, dedotte nei motivi di ricorso. In ordine alla prima,costituente oggetto del primo profilo di censura,contenuto nel primo mezzo d'impuganzione, corretta deve ritenersi l'affermazione della corte territoriale, secondo cui l'onere di provare l'eccedenza delle opere rispetto ai limiti delle attribuzioni conferite all'amministratore con l'incarico giudiziale ex art. 1105 c.c., non poteva che spettare all'opponente, alla stregua del costante e generale principio giurisprudenziale che individua, nei giudizi oppositivi ex art. 615 c.p.c., nell’opponente la qualità di attore, con la conseguenza che, presumendosi legittimo il titolo posto a base dell'esecuzione, è tale parte, che lo confuta, gravata del compito di provare le circostanze impeditive, ostative o estintive all'attuazione coercitiva dello stesso. Non altrettanto soddisfacente deve tuttavia ritenersi l’affermazione che la parte opponente non avesse sufficientemente ottemperato all'anzidetto onere,essendosi al riguardo la corte partenopea limitata ad una generica e superficiale delibazione degli elementi probatori addotti dal M. , ritenendo che la prodotta copia della consulenza tecnica espletata nel pregresso giudizio svoltosi tra il M. e l'amministratore giudiziario che pur aveva riconosciuto l'effettuazione di alcuni lavori difformi da quelli ai quali il tribunale aveva fatto riferimento nel suo provvedimento del '90 , non avrebbe spiegato a sufficienza se ed eventualmente in quale misura l'accertata difformità sia stata imposta dall'esigenza tra l'altro prospettata dallo stesso CTU di risolvere la condizione statica dell'immobile,assai precaria già ai tempi dell'intervento autoritativo del tribunale .e resa ancor più pericolosa dall'inutile trascorrere del tempo . . Che siffatta eccedenza,rispetto ai limiti del provvedimento ex art. 1105 c.c. che aveva limitato l'incarico dell'avv. C. a far eseguire soltanto i lavori suggeriti dal consulente, al riguardo officiato, con relazione integrante il provvedimento stesso sussistesse, la corte dunque non ha negato, introducendo tuttavia un elemento di valutazione, quello della sopravvernenza di ulteriori esigenze statiche giustificanti le pur ammesse eccedenze tra cui, addirittura, come si rileva dalla testuale trascrizione in ricorso di uno stralcio di tale relazionesinterventi su parti strutturali dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva del condomino ed il rifacimento ex novo di una mansarda del medesimo , di cui non risulta la deduzione nelle difese dell'opposto I. . La censurata argomentazione si pone, pertanto, da un lato, in palese contrasto con i principi,deducibili dagli artt. 115 e 116 c.p.c., secondo cui il giudice deve svolgere la propria indagine iuxta alligata et probata , dall'altra non da conto di un completo esame di siffatte, pur acquisite senza contestazioni, risultanze documentali, conclamanti l’eccedenza, quanto meno in quelle parti in cui le opere avevano riguardato componenti non condominiali dell'edificio, rispetto ai limiti funzionali circoscriventi i poteri dell'amministratore giudiziario e, dunque, alla stregua della premessa di principio da cui era partita la decisione, della conseguente solidale responsabilità del M. quale condomino, in ordine alle obbligazioni contratte dal suddetto con il terzo, l’appaltatore, che come espressamente affermato, a pag. 5 cpv. della sentenza, esige che l’amministratore o colui che abbia contratto l'obbligazione per delega o in rappresentanza dei condomini abbia assunto obbligazioni in nome e per conto del condominio nei limiti delle proprie attribuzioni o eseguendo deliberazioni dell'assemblea o per dare concreto seguito all'incarico ricevuto dal giudice . La fondatezza del secondo profilo di censura del primo motivo comporta l'assorbimento del terzo,attinente ad argomentazione poco o punto rilevante della sentenza impugnata. Fondato è anche il secondo motivo, considerato che la sussistenza di una,non meglio precisata, deliberazione assembleare del 1987, che avrebbe esteso l'incarico all'avv. C. ad eseguire gli ulteriori e più costosi interventi,è stata,anche in questo caso senza alcuna sollecitazione di parte,desunta da una allegazione risalente al ricorso per decreto ingiuntivo , in ordine alla quale nessuna specifica contestazione avrebbe potuto il M. proporre,non avendo partecipato a quel giudizio sicché, a prescindere dalla considerazione che la delibera in questione avrebbe potuto eventualmente giustificare solo ulteriori opere sulla parti comuni, e non anche su quelle di proprietà esclusiva di condomini, improprio e peraltro incoerente con la pur affermata possibilità di mettere in discussione in questa sede l'opponibilità del titolo esecutivo al non opponente condomino risulta il richiamo al principio di non contestazione al riguardo. Conclusivamente la sentenza impugnata va cassata nei limiti delle accolte censure, con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglierei limiti di cui in motivazione, il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d'Appello di Napoli.