Giardino recintato, il singolo condomino può farsi paladino del verde comune

Ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l’intera cosa comune e non una frazione della stessa , è legittimato ad agire o resistere in giudizio, anche senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa comune, nei confronti dei terzi o di un singolo condomino.

Lo afferma la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 1650, depositata il 28 gennaio 2015. Il caso. Una coppia, proprietaria di due appartamenti in un condominio, chiedevano l’accertamento della natura condominiale di una fascia di terreno originariamente destinato a verde condominiale , recintato e chiuso con una rete metallica da due condomine. La Corte d’appello di Venezia accoglieva la domanda, dichiarando che l’area era comune a tutti i condomini e sancendo il loro diritto ad eliminare ogni ostacolo, ma demandando alle decisioni dell’assemblea condominiale la concreta regolazione dell’utilizzo del terreno. L’erede di una delle convenute ricorreva in Cassazione, lamentando violazione del contraddittorio. Era, infatti, necessario che il contraddittorio venisse esteso a tutti i condomini, in conseguenza dell’oggetto della sentenza di accertamento chiesta al primo giudice, relativa all’appartenenza ai beni del condominio del terreno recintato. In giudizio anche da solo. La Corte di Cassazione, però, ricorda che ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l’intera cosa comune e non una frazione della stessa , è legittimato ad agire o resistere in giudizio, anche senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa comune, nei confronti dei terzi o di un singolo condomino. Nel caso di specie, non si trattava di un’ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale, per cui non trovava applicazione la sanzione dell’estinzione del giudizio in caso di mancata integrazione con tutti i condomini. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile 2, ordinanza 13 novembre 2014 – 28 gennaio 2015, numero 1650 Presidente/Relatore Bianchini 1 M. e G.B., con citazione innanzi al Tribunale di Treviso, sezione distaccata di Castelfranco Veneto, premesso di aver acquistato dall'Istituto Autonomo per le Case Popolari di Castelfranco due unità immobiliari al primo ed al secondo piano di uno stabile sito in detta città, alla che M.M. ed A.V., proprietarie di due appartamenti al piano terra, avevano recintato e chiuso con una rete metallica uno spazio destinato a verde condominiale, precludendone l'uso comune, chiesero che fosse accertata la natura condominiale della fascia di terreno recintata e che le convenute fossero condannate alla rimozione della recinzione, oltre al risarcimento dei danni. 2 A.V., nel costituirsi, eccepì di non esser legittimata passiva dell'intrapresa azione in quanto, nonostante avesse inoltrato domanda per rendersi acquirente dell'appartamento occupato in quanto erede del marito, originario conduttore non aveva ricevuto alcuna risposta dallo I.A.C.P., rimanendo dunque titolare di un rapporto obbligatorio e quindi impossibilitata ad ottemperare all'eventuale ordine di ripristino, non senza osservare che, pur in tale veste, tuttavia vantava un diritto all'area recintata, secondo quanto convenuto nel contratto di locazione e secondo quanto previsto nello schema di contratto di acquisto sottopostole. 3 La M., costituendosi a sua volta, negò d aver recintato la parte di cortile antistante la propria abitazione , sottolineando di averla acquistata dall'Istituto , già recintata per ragioni di sicurezza, posto che lo spazio condominiale giungeva fin sotto le proprie finestre ad alla porta di abitazione si rese disponibile a consegnare ai condomini le chiavi del cancelletto a chiusura della recinzione . 4 Chiamato in giudizio lo IACP dalla V., si costituì il suo successore A.E.E.P. Azienda per l'Edilizia Economica e Popolare di Castelfranco Veneto, sostenendo che la chiamante doveva considerarsi proprietaria dell'appartamento occupato e comproprietaria assieme a tutti gli altri condomini dello spazio a verde recintato. 5 Dopo aver escusso i testi, l'adito Tribunale, con ordinanza del 4 luglio 2002, dispose l'integrazione del contraddittorio con tutti i coinquilini, rinviando la causa all'udienza del 25 novembre 2002 in detta udienza la M. eccepì l'estinzione del giudizio per tardività nel deposito dell'atto di citazione dei chiamati e perché a costoro non erano stati notificati tutti gli atti sino a quel momento prodotti detta eccezione fu rigettata con conseguente dichiarazione di contumacia della Cooperativa Edilizia La Trevisana a r.l. e M.P.A.P 6 L'adito giudicante , pronunziando sentenza numero 130/2004, dichiarò che l'area recintata era comune a tutti i condomini nonché il diritto di essi di eliminare ogni ostacolo che ne avesse impedito detto utilizzo, pur demandando alle decisioni dell'assemblea condominiale la concreta regolazione dell'utilizzo della striscia di terreno. 7 Questa decisione fu impugnata dalla V. si costituirono i B. e l' AEEP contrastando il gravame in corso di causa venne a morte l'appellante il processo venne riassunto dal figlio ed erede L.Z. con successiva comparsa spiegarono intervento gli altri eredi della defunta G., M. R.o, R. e R. Z., contestando integralmente quanto affermato nell'appello dalla de cujus . 8 La Corte di Appello di Venezia, pronunziando sentenza numero 269/2012, respinse l'appello e condannò L.Z. alla rifusione delle spese in favore di ciascuna parte appellata in particolare – per quello che ancora conserva interesse nel giudizio di legittimità giudicò infondata l'eccezione di estinzione del giudizio di primo grado per mancata evocazione in giudizio delle condomine Patrizia Cerritelli e Laura Fabris , osservando che non era stata riproposta la domanda di rimozione della recinzione rispetto alla quale le stesse avrebbero potuto rivestire la qualità di litisconsorti necessarie limitandosi le allora parti attrici a insistere per l'accertamento della natura comune dell'area, domanda alla cui proposizione era legittimato ogni singolo condomino. 9 Per la cassazione di tale decisione L.Z. ha proposto ricorso, sulla base di due motivi di annullamento le altre parti ad eccezione de la M. il P. A. P. e la Cooperativa Edilizia, che non hanno svolto difese hanno resistito con separati controricorsi. Ritenuto in diritto I Con il primo motivo vengono denunziate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 102 e 307 cpc censurando siccome erroneo l'assunto secondo il quale le condomine pretermesse non sarebbero state litisconsorti necessarie, sostenendosi al contrario che l'esigenza che il contraddittorio fosse esteso a tutti i condomini discendeva dall'oggetto della sentenza di accertamento che si era chiesta al primo giudice, relativa appunto all'accertamento della appartenenza ai beni del Condominio del terreno recintato dalle allora convenute. La Il mezzo è infondato in quanto, come anche di recente è stato statuito in sede di legittimità così superando un diverso e risalente orientamento interpretativo, richiamato a fol 11 del ricorso ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'intera cosa comune, e non una frazione della stessa, è legittimato ad agire o resistere in giudizio, anche senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa comune, nei confronti dei terzi o di un singolo condomino così Cass. Sez. VI-1 ord 1009/2013 alla quale adde Cass., Sez. VI-3 ord numero 1009/2013 Cass. Sez. II numero 19329/2009 Cass. Sez. II numero 10219/2002 Cass. Sez. II numero 8546/1998 Cass. Sez. II numero 1757/1987 . I.b Non vertendosi in ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale non trova applicazione la sanzione processuale dell'estinzione del giudizio in caso di mancata integrazione con tutti i condomini. II Con il secondo motivo viene denunziata la violazione delle regole a presidio della ripartizione dell'onere delle spese, sostenendo il ricorrente che erroneamente sarebbe stato condannato a rifondere le spese degli altri eredi della comune dante causa, intervenuti in giudizio, che non si ponevano come parte diversa da esso appellante, intervenuto in riassunzione del giudizio dopo il decesso della de cujus sottolinea in particolare il ricorrente che gli altri eredi, non avendo un diritto proprio da far valere nei confronti delle altre parti, non sarebbero rientrati nella categoria degli intervenienti in appello. II.a Il mezzo è infondato perché erronea è la premessa se è vero che l'intervento in appello è disciplinato dall'art. 344 cpc che, a sua volta, fa riferimento ai presupposti sostanziali che legittimerebbero l'interveniente a proporre opposizione di terzo ai sensi dell'art. 404 cpc, è altresì indubbio che i successori a titolo particolare o universale della originaria parte possono intervenire in giudizio anche non ricorrendo detti presupposti, per l'evidente ragione che la sentenza, facendo stato nei loro confronti pur senza la loro partecipazione in giudizio, può da essi essere impugnata o ad essa essi possono fare espressa adesione come nel caso di specie dissociando la loro posizione da quella del coerede poste tali premesse allora correttamente è stato consentito il loro intervento e, date le posizioni oppositive rispetto all'appello del co-erede, giustamente sono stati considerati parti vittoriose rispetto a quest'ultimo, non potendosi condividere la tesi, esposta nel ricorso, secondo la quale essi, essendo litisconsorti tra loro e l'odierno ricorrente in quanto eredi dell'unica parte originaria, non avrebbero potuto assumere se non la posizione del primo, divenendo quindi appellanti e, per logica , consorti in lite del coerede tale ricostruzione urta con le emergenze di causa che , come ricordato, vedevano una netta contrapposizione tra l'odierno ricorrente subentrante nella posizione di appellante ed il resto dei coeredi. Ritenuto Che le argomentazioni sopra esposte trovano concorde il Collegio e che né la discussione orale in sede di adunanza camerale né le memorie depositate hanno fatto emergere spunti critici idonei a confutare le motivazioni contenute nella relazione depositata che dunque il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore delle parti controricorrenti, nella misura indicata in dispositivo che ai sensi dell'art. 13, comma 1 , 9' del d.P.R. numero 115/2002, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228, si deve dar atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso stesso, a norma del comma l dello stesso art. 13, atteso che il ricorso è stato notificato tra il 19 ed il 22 marzo 2013, dunque successivamente al 30 gennaio 2013, data di entrata in vigore della legge 228/2012. P.Q.M. La Corte Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida, per ciascuna parte controricorrente, in euro 1.700,00, di cui 200,00 per esborsi oltre accessori dovuti per legge ai sensi dell'art. 13, comma I , 9' del d.P.R. numero 115/2002 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso stesso, a norma del comma I -'dello stesso art. 13.