Condominiale il cortile comune a due edifici limitrofi

In tema di condominio esiste una presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall'articolo 1117 c.c Tale presunzione si applica anche nel caso di parti comuni a due edifici limitrofi ed autonomi.

La lite scoppia a causa del cortile. Un proprietario, a poco a poco, esclude gli altri dall'uso del cortile. Prima sostituisce il lucchetto di accesso, poi è la volta di un piccolo cancello di comunicazione tra lo scoperto comune e quello di uso esclusivo, che viene sostituito con uno più grande, con ciò impedendo agli altri comproprietari l'uso del cortile comune. Rotti gli indugi, la questione finisce nelle aule di giustizia. Il giudizio di svolte praticamente a senso unico. Il Tribunale, in primo grado, accerta il diritto di comproprietà sullo scoperto e condanna la controparte ad astenersi dalle molestie lamentate dagli attori. La Corte territoriale, dal suo canto, rincara la dose traendo il proprio convincimento sull'esame dei titoli d'acquisto che consideravano lo scoperto oggetto della discordia come bene comune. Veniva in gioco, in particolare, la presunzione legale di comunione ex art. 1117 c.c Inutile eccepire l'usucapione. Il proprietario recalcitrante cerca di salvarsi in calcio d'angolo eccependo l'avvenuta usucapione dello scoperto ma l'eccezione viene respinta al mittente dalla Corte d'Appello. Il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei comproprietari, infatti, non è idoneo all'acquisizione della proprietà per usucapione! L'uso esclusivo della res potrebbe essere stato determinato solo dalla tolleranza dei vicini mentre, per l'acquisto della proprietà per usucapione, è necessario dimostrare l'esercizio esclusivo del diritto sul bene attraverso attività incompatibili con il possesso dei terzi. L'interessato avrebbe dovuto farsi carico di fornire una prova in tale direzione ma, sotto questo profilo, era rimasto inadempiente. Come se non bastasse, i testi non solo non avevano confermato l'avvenuta usucapione, ma si erano espressi in senso addirittura contrario. Il parere della Cassazione. La controversia, a questo punto, finisce sugli scanni di Piazza Cavour. La Seconda Sezione Civile, con la sentenza n. 26766 del 17 aprile 2014 resa pubblica mediante deposito in cancelleria solo il successivo 18 dicembre, conferma, sostanzialmente, il verdetto dei giudici di merito. Secondo gli Ermellini, il processo logico-giuridico seguito dalla Corte d'Appello è certamente condivisibile. Il giudice di merito sarebbe partito dall'esame dei titoli di proprietà per poi stabilire che il cortile rientra comunque tra i beni comuni ai sensi e per gli effetti dell'art. 1117 c.c. e questo a prescindere dalla circostanza che sia incluso tra i beni comuni negli atti di acquisto. In altre parole, non è necessario menzionare il cortile tra i beni comuni in quanto esiste una vera e propria presunzione ex lege in tal senso che, peraltro, può essere vinta da eventuali clausole contenute nel titolo di acquisto che potrebbe riservare lo scoperto ovvero altri beni condominiali esclusivamente ad uno dei condomini. Per stabilire se il bene è comune o di proprietà personale del singolo condomino, infatti, occorre fare riferimento ai titoli di proprietà per cui non può essere affermata la condominialità di parti dell'edificio esplicitamente incluse in un atto di vendita Cass., Sez. II Civ., n. 20358/2012 . Presunzione legale anche tra edifici limitrofi. Abbiamo detto che, ai sensi dell'art. 1117 c.c., esiste una presunzione di comunione legale di talune parti dell'edificio abbiamo anche visto che tale presunzione può essere vinta da una apposita clausola contenuta nel titolo di proprietà ovvero nel regolamento di condominio contrattuale. Gli Ermellini, con la sentenza in commento, pongono un ulteriore precisazione. La presunzione legale prevista dal codice civile troverebbe applicazione anche nel caso di beni comuni a più edifici limitrofi ed autonomi tra loro. La presunzione di condominialità dei beni comuni. Per amor di precisione occorre tener presente che, secondo la g iurisprudenza, i beni indicati nell’articolo 1117 c.c. con elencazione non tassativa ma solo esemplificativa si intendono comuni per presunzione derivante sia dall’attitudine oggettiva che dalla concreta destinazione degli stessi al servizio comune Cass., n. 6175/2009 . Esiste comunque un dubbio amletico i beni indicati dall’ art. 1117 c.c. e gli altri beni che, per attitudine, possono essere equiparati ai beni condominiali devono essere considerati di proprietà comune o debbono presumersi tali? I beni devono essere considerati di proprietà comune. Chi intende affermare il contrario deve farsi carico di dimostrare, esibendo il relativo titolo ovvero l'atto di acquisto o il regolamento di condominio di natura contrattuale che quel particolare bene, che avrebbe dovuto essere comune, in realtà, in forza del titolo esibito, si appartiene ad un solo condomino. I beni si presumono condominiali. in tale ipotesi l’onere probatorio risulta alleggerito in quanto il bene si presume di proprietà condominiale e, chi assume il contrario, dovrà farsi carico di vincere tale la presunzione ma potrà farlo con qualsiasi mezzo di prova trattandosi di una presunzione semplice. La presunzione potrà essere superata, a prescindere dalla c.d. vindicatio ex titulo , anche dimostrando l'evidenza di obiettive caratteristiche strutturali del bene che ne attestino l'autonomia ed indipendenza nonché la destinazione all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno, in tal caso, il presupposto della condominialità necessaria Tribunale Brescia, sez. II Civ., 29 gennaio 2004 . L'intervento delle Sezioni Unite. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 7449/1993, hanno precisato che l’utilizzo della locuzione presunzione di condominialità è da intendersi i n modo atecnico ed improprio. Di conseguenza, è errato pensare ad una presunzione legale di comunione mentre, in effetti, si tratta di beni comuni a meno che non risultino di proprietà esclusiva in base a un titolo che può essere costituito o dal regolamento contrattuale o dal complesso degli atti di acquisto delle singole unità immobiliari o anche dall’usucapione. I beni comuni dopo la riforma del condominio. Il Legislatore della riforma è intervenuto pesantemente sulla disciplina delle parti comuni ridisegnando completamente l'art. 1117 c.c In particolare, possiamo notare come il Legislatore ampli notevolmente l'elencazione dei beni condominiali. Tra le new entry notiamo le facciate, i pilastri e travi, i sottotetti, le aree a parcheggio, i sistemi centralizzati per la ricezione dei programmi radiotelevisivi e le reti infrastrutturali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 aprile – 18 dicembre 2014, n. 26766 Presidente Triola – Relatore San Giorgio Svolgimento del processo 1.-Con atto di citazione notificato in data 6 maggio 1994 Ta.Pa. e G.P. esposero di aver acquistato un appartamento sito al omissis e con esso l'area di scoperto circostante di aver sempre fatto pacifico uso uti condomini di detto scoperto e di entrambi i cancelli che immettono in esso, uno da via e l'altro da via . Lamentarono che nell'estate del 1991, Ti.Lo. , nipote di T.L. , aveva rotto accidentalmente il lucchetto che chiudeva il cancello di accesso allo scoperto comune da Via , provvedendo immediatamente a sostituirlo e a consegnare a tutti i condomini le chiavi del nuovo lucchetto che successivamente la signora T.L. aveva posto in essere una serie di comportamenti intesi a porre in dubbio e a molestare il compossesso degli attori. In particolare, la stessa nel dicembre del 1992 aveva sostituito nuovamente il lucchetto senza consegnarne le chiavi agli altri condomini a seguito di ciò, costoro avevano avviato un procedimento possessorio concluso con il rigetto per un dubbio probatorio circa la tempestività dell'azione. Poco dopo la Tirso aveva sostituito un piccolo cancello di comunicazione tra lo scoperto comune e quello di suo esclusivo godimento con uno più grande che impediva ai condomini di fruire dello spazio antistante ad esso. Da qui l'esigenza degli attori di far accertare il loro diritto di comproprietà sullo scoperto comune e sui relativi accessi tanto nei confronti della T. , che dell'altra condomina C.A. ved. Cl. , la quale nel procedimento possessorio aveva confermato la tesi della T. . 2.- Il Tribunale di Venezia accertò il diritto di comproprietà sullo scoperto adiacente l'appartamento di omissis , e condannò T.L. ad astenersi da molestie relativamente al godimento del bene comune e a fornire le chiavi di apertura del lucchetto. Avverso tale pronuncia propose gravame la T. . 3. - La Corte d'appello di Venezia, con sentenza depositata il 28 aprile 2008, rigettò il gravame, osservando che i rilievi mossi dall'appellante non consentivano di pervenire ad una valutazione diversa da quella raggiunta dal Tribunale in merito all'accertamento della comproprietà dell'area di scoperto, fondato sul titolo di acquisto del 28 ottobre 1985 avente ad oggetto l'appartamento di via omissis con pertinenze ed accessori, e quanto pervenuto al venditore di cui si tratta in forza dell'atto di compravendita del 2 6 aprile 1985. Il titolo faceva riferimento a tale ultimo negozio con il quale K.M. aveva trasferito al Tr. , dante causa degli appellati, l'unità immobiliare unitamente alla comproprietà delle parti comuni per legge in particolare dello scoperto adiacente. L'originario atto di trasferimento, intercorso tra T.A. An. del 1972, avente ad oggetto tre unità immobiliari, tra le quali anche quella poi divenuta di proprietà dei Ta. , faceva invece richiamo più in generale a un terreno di pertinenza. L'area di scoperto era compresa nell'oggetto del trasferimento avendo i contraenti nei vari passaggi di proprietà manifestato la volontà di includere quella porzione. Comunque l'espressa menzione di tale bene nell'atto di vendita non era richiesta, vigendo ai sensi dell'art. 1117 cod.civ. la presunzione legale di comunione pro indiviso di quelle parti destinate per ubicazione e struttura all'uso comune. Né a paralizzare la riconosciuta comproprietà dell'area poteva valere la pretesa usucapione dello scoperto che la T. sosteneva, in via di eccezione, di aver acquisito. Al riguardo, la Corte osservò che il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinato funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte del compossessore, risultando, per converso, necessaria, ai fini dell'usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell'interessato attraverso un'attività apertamente contrastante ed incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene. Nella specie la prova della volontà di possedere uti dominus non era stata data da chi ne era onerato. Gli esiti delle prove orali, ben lungi dall'avallare la pretesa acquisizione dell'area in via di usucapione, avevano fatto emergere elementi di segno contrario alla tesi prospettata dall'appellante. 4. - Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso T.L. sulla base di quattro motivi. Resistono con controricorso la Ta. e il G. , che hanno anche depositato memoria. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo si deduce insufficienza e perplessità della motivazione circa un punto decisivo della controversia. Si rappresenta che il fabbricato, come accertato dal c.t.u., è costituito da due unità immobiliari, l'una delle quali orientata a nord, l'altra a sud, del tutto autonome, di cui una sola costituisce il condominio. L'appartamento dei Ta. -G. insiste sull'immobile orientato a sud, composto da otto unità abitative, mentre l'immobile a nord, preesistente al primo, è nella esclusiva proprietà della ricorrente. L'atto di compravendita stipulato il 9 ottobre 1972 tra T.A. e il figlio An. , con il quale veniva trasferita la proprietà di due appartamenti nell'immobile posto a nord ed uno solo, quello per cui è causa, dell'immobile posto a sud, solo alla fine contiene la menzione dello scoperto esterno, e non quale oggetto del negozio, ma come clausola di stile al fine di individuare i confini del mappale, che però non valgono ad indicare che il terreno circostante è incluso nella compravendita. Ed infatti nella perizia del 1996 il c.t.u. individuava quale oggetto del primo contratto solo l'appartamento, aggiungendo che nulla risultava in ordine alla proprietà dei resistenti sullo scoperto di cui si tratta. Ciò posto, la sentenza impugnata sarebbe insufficientemente motivata nella parte in cui non da ragione della diversa lettura che essa opera rispetto al senso letterale del primo atto di trasferimento, né del motivo per il quale ritiene indifferente che il fabbricato sia composto da due diversi edifici. Sarebbe ancora viziata la sentenza nella parte in cui non motiva in merito al fatto che l'atto costitutivo del condominio, ovvero il primo contratto di vendita a terzi di uno degli otto appartamenti insistenti sull'edificio, costituisca una espressa servitù di passaggio sullo scoperto circostante, con ciò escludendo che esso possa essere considerato condominiale. 2. - Il motivo è privo di fondamento. In realtà la Corte di merito ha esaustivamente e correttamente motivato il proprio convincimento, facendo, per un verso, riferimento ai diversi passaggi di proprietà nei quali i contraenti avevano manifestato la volontà di includere lo scoperto, e, per l'altro, ricordando che l'espressa menzione dello stesso nell'atto di vendita non è richiesta, vigendo, ai sensi dell'art. 1117 cod.civ., la presunzione legale di comunione pro indiviso di quelle parti che sono destinate per ubicazione e struttura all'uso comune. In proposito, la sentenza impugnata richiama l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale in caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento, dall'originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione pro indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano - in tale momento costitutivo del condominio - destinate all'uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso ciò sempre che il contrario non risulti dal titolo, cioè che questo non dimostri una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri Cass., sent. n. 16292 del 2002 . 3. - Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366 cod.civ. per non avere il giudice di secondo grado effettuato alcuna indagine sulla reale volontà dei contraenti, che sarebbe stata doverosa in presenza di profili di contraddittorietà fra i titoli di compravendita invocati dagli acquirenti, e, in particolare, in presenza di contratti che escludevano la volontà di T.A. di alienare la proprietà dello scoperto insieme agli appartamenti del condominio, e in assenza della prova da parte dei pretesi proprietari di usare del bene in questione uti domini , ma in presenza, invece, della prova per tabulas che le spese relative allo scoperto erano state sempre sostenute dalla sola ricorrente, e che alla stessa venivano chiesti permessi ed autorizzazioni in merito a lavori o accessi diversi dal transito allo scoperto. 4. - La doglianza non può trovare ingresso nel presente giudizio, in quanto, da un lato, volta ad un riesame, inammissibile in sede di legittimità, degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di secondo grado e dei quali quest'ultimo ha dato adeguatamente conto dall'altro, tesa a conseguire una diversa interpretazione dell'atto con il quale T.A. alienò ad Ti.An. l'appartamento poi trasferito ai G. Ta. . 5. - Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1117 cod.civ. Avrebbe errato la Corte di merito nel considerare lo scoperto incluso nell'atto di acquisto in quanto bene condominiale ex se ai sensi dell'invocata disposizione codicistica, laddove il titolo costitutivo del condominio avrebbe escluso dai beni condominiali lo scoperto, configurando la condizione che esclude il bene dal novero di quelli condominiali. In ogni caso alle cose legate all'edificio da mera relazione spaziale, ma costituenti beni ontologicamente diversi, suscettibili di godimento fine a se stesso non si applica - sostiene la ricorrente - il principio accessorium seguitur principale . 6. - Il motivo è inammissibile, in quanto la decisione impugnata si fonda su di una diversa ratio , consistente, come si già visto, nell'accertamento dell'intervenuto acquisto della comproprietà sullo scoperto, mentre il richiamo al regime di cui all'art. 117 cod.civ. è svolto ad abundantiam . 7. - Con il quarto motivo si deduce omessa motivazione in ordine alla determinazione della estensione del diritto riconosciuto agli attori. Essendo pacifico trattarsi di due distinti corpi di fabbrica, i signori G. e Ta. avrebbero potuto rivolgere le proprie pretese solo sul terreno circostante l'appartamento di loro proprietà, e non su terreni di pertinenza di altro fabbricato. 8. - La censura non merita accoglimento. Come esattamente osservato dai controricorrenti, in tema di condominio negli edifici, la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall'art. 1117 cod. civ., senz'altro applicabile quando si tratti di parti dello stesso edificio, può ritenersi applicabile in via analogica anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di parti comuni di edifici limitrofi ed autonomi, purché si tratti di beni oggettivamente e stabilmente destinati all'uso od al godimento degli stessi, come nel caso di cortile esistente tra più edifici appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano v., sul punto, Cass., sentt. n. 21693 del 2014, n. 17993 del 2010 . 9. - Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del criterio della soccombenza le spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo, devono essere poste a carico della ricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 2200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.