Se non è condominio, è comunione. L’atto d’acquisto inchioda il comproprietario indipendentista

In tema di condominio negli edifici, se l’atto d’acquisto sancisce la quota di comproprietà relativamente ad alcune parti comuni, al di là della loro effettiva strumentalità rispetto a quelle di proprietà esclusiva, i titolari di queste ultime devono ritenersi comproprietari e come tali obbligati al pagamento degli oneri condominiali per la loro quota, potendosi al più configurare un’ipotesi di comunione volontaria.

La Corte di Cassazione – con la sentenza n. 20986 resa dalla Seconda Sezione Civile e depositata in cancelleria il 6 ottobre 2014 – è tornata ad occuparsi del fondamento giuridico della partecipazione nella proprietà di beni immobili, ribadendo la centralità dell’atto d’acquisto nella valutazione di ciò. Il caso . I proprietari di una villetta facevano causa al condominio facente parte del medesimo complesso immobiliare per sentirsi dichiarati estranei rispetto alla compartecipazione alla gestione e conservazione delle parti comuni e di conseguenza per essere esonerati dal pagamento delle spese. In quest’ottica gli stessi proponevano opposizione ad un decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto dalla compagine convenuta. I giudizi venivano riuniti ed il giudice di primo grado accoglieva le domande degli attori questi non facevano parte del condominio e quindi non dovevano partecipare alle spese condominiali. La Corte d’appello, chiamata a pronunciarsi dal condominio, ribaltava l’esito del giudizio i proprietari della villetta erano comproprietari delle parti comuni, giusta indicazione dell’atto d’acquisto che specificava anche la quota di comproprietà e come tali dovevano pagare le spese condominiali. Da qui l’epilogo della causa davanti ad i giudici di piazza Cavour, che hanno rigettato il ricorso. Comunione e condominio negli edifici. Il condominio, si afferma in dottrina, è quella particolare forma di comunione forzosa nella quale coesistono parti di proprietà comune ai proprietari delle unità immobiliari di proprietà esclusiva. La Cassazione, spesso chiamata a definire il condominio, ha specificato che affinché possa operare il c.d. diritto di condominio, è necessario che sussista una relazione di accessorietà fra i beni, gli impianti o i servizi comuni e l'edificio in comunione, nonché un collegamento funzionale fra i primi e le unità immobiliari di proprietà esclusiva. Pertanto, qualora, per le sue caratteristiche strutturali, un bene serva al godimento di tutte le parti singole dell'edificio e sia ad esse funzionalmente collegato, si presume indipendentemente dal fatto che la cosa sia, o possa essere, utilizzata da tutti i condomini, o soltanto da alcuni di essi, e dalla entità del collegamento e della possibile utilizzazione concreta - la contitolarità necessaria di tutti i condomini sul bene ” così, ex multis , Cass. 21 dicembre 2007, n. 27145 . A ben vedere il concetto di presunzione di condominialità ” cui fa riferimento la sentenza citata ed anche quella in esame non è poi così pacifico, s’è vero, com’è vero che in passato le Sezioni Unite cfr. sent. n. 7449/93 specificarono che si tratta di vera e propria condominialità e non di presunzione. La questione è stata nuovamente affrontata dai Supremi Giudici all’inizio dell’anno 2014 cfr. Cass. 16 gennaio 2014 n. 822 in quest’occasione gli ermellini hanno sostanzialmente affermato che le cose sono comuni e non si presumono tali, come a dire la locuzione presunzione di condominialità” è utilizzata il modo in proprio. L’atto d’acquisto risolve alla radice ogni controversia. Al di là delle dispute sul concetto di condominialità e presunzione di condominialità, un dato pare incontrovertibile se un bene, un impianto o un servizio o comunque l’insieme di essi vengono considerati comuni perché così è stabilito nell’atto d’acquisto, allora non c’è funzionalità e accessorietà che tenga, perché quei beni devono essere considerati in comproprietà, al massimo nella forma della comunione volontaria. È questa la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 20986. Nel caso di specie, infatti, l’atto d’acquisto degli originari attori faceva esplicito riferimento al fatto che assieme alla loro unità immobiliare veniva trasferita la comproprietà dei beni comuni, indicando tra l’altro la specifica quota millesimale di riferimento. A nulla è valsa la doglianza degli attori secondo la quale tale riferimento era eccessivamente generico e comunque non poteva valere per i beni ed impianti dai quali essi non traevano alcuna utilità. Secondo la Cassazione, infatti, intanto nel corso del giudizio di merito leggasi nella CTU era emerso che i beni in contestazione sia pur in minima parte erano a servizio degli attori”. Al di là di ciò, chiosano da piazza Cavour, l'accertamento della natura non condominiale di un bene – per mancanza del presupposto della relazione di accessorietà strumentale e funzionale con le unità immobiliari comprese nel condominio ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 4973 del 2007 - non esclude l'eventuale comunione su di esso instaurata per volontà delle parti ” Cosa di fatto avvenuta nel caso di specie. Come dire laddove l’atto d’acquisto parla chiaro, se non è zuppa è pan bagnato.

Corte di Cassazione, sez. II Cvile, sentenza 3 giugno – 6 ottobre 2014, n. 20986 Presidente Coletti De Cesare – Relatore Ghinoy Ritenuto in fatto 1. - È impugnata la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro, depositata il 2 novembre 2007, che, in riforma della sentenza del Tribunale di Paola, ha respinto la domanda proposta da D.V.G. e B.F. nei confronti del Condominio omissis . 1.1. - Nel 1992 i sigg.ri D.V. e B. avevano agito per accertare che l'immobile di loro proprietà villa a due piani sito in omissis , località , non faceva parte del Condominio Pian dei Goti, e che sussisteva una comproprietà sulla rampa d'accesso al predetto immobile. Gli attori avevano inoltre chiesto la presentazione del conto di gestione del Condominio, con deposito della documentazione e delle scritture contabili, e la restituzione degli oneri condominiali indebitamente corrisposti. Il Condominio aveva eccepito l'inammissibilità della domanda che, in quanto finalizzata allo scioglimento del vincolo condominiale, doveva essere proposta nei confronti di tutti i partecipanti al condominio, e ne aveva chiesto il rigetto nel merito. 1.2. - Il Tribunale di Paola, dopo avere riunito alla causa cosi introdotta quella di opposizione a decreto ingiuntivo, promossa dagli stessi sigg.ri D.V. e B. , avente ad oggetto il pagamento di oneri condominiali, accoglieva la domanda degli attori dichiarando che l'immobile non faceva parte del Condominio, revocava il decreto ingiuntivo e condannava il Condominio a restituire le somme percepite a titolo di oneri condominiali, da quantificarsi in separata sede. 1.3. - Avverso la sentenza di primo grado il Condominio aveva proposto appello, ribadendo le eccezioni preliminari e chiedendo nel merito il rigetto della domanda e la condanna degli attori al pagamento degli oneri condominiali di cui al decreto ingiuntivo opposto. Si costituivano i sigg.ri D.V. e B. per chiedere la conferma della sentenza di primo grado. 2. - La Corte d'appello di Catanzaro, in accoglimento del gravame, rigettava sia la domanda di accertamento della estraneità dell'immobile di proprietà D.V. -B. al Condominio omissis , sia l'opposizione a decreto ingiuntivo. 2.1. - Osservava la Corte d'appello che era emerso, dagli accertamenti disposti a mezzo di CTU, che solo in minima parte” la proprietà degli attori era servita da impianti locali, ma ciò non era sufficiente all'accoglimento della domanda, poiché il titolo d'acquisto dell'immobile, del 1 luglio 1991, indicava che gli attori avevano acquistato una casa facente parte del Complesso Immobiliare omissis , con tutti i diritti e oneri proporzionali di condominio sulle parti comuni come per legge pari a 39/1000”. Pertanto gli attori, se non a titolo di condominio, dovevano ritenersi proprietari prò quota delle parti comuni, con la conseguenza che se intendevano sciogliersi dalla comproprietà, dovevano proporre azione di scioglimento o di rinuncia alla comunione. 2.2. - La Corte d'appello rigettava anche l'opposizione a decreto ingiuntivo, rilevando che la stessa non era stata riproposta in appello, e che era comunque infondata dal momento che gli opponenti, in quanto comproprietari, erano tenuti al pagamento degli oneri della comunione. 3. - Per la cassazione della sentenza d'appello i sigg.ri D.V. -B. hanno proposto ricorso, sulla base di sei motivi. Resiste con controricorso il Condominio omissis . I ricorrenti hanno depositato memoria in prossimità dell'udienza. Considerato in diritto 1. - Il ricorso è infondato. 1.1. - Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 1117 cod. civ., nonché contraddittorietà della motivazione. Si assume che la presunzione di condominialità doveva ritenersi superata in ragione della mancanza di fruizione, in concreto, delle parti o servizi comuni, indicati dall'art. 1117 cod. civ Diversamente la Corte d'appello, pur avendo affermato che l'immobile di proprietà D.V. -B. non è collegato ai servizi condominiali, ha poi ritenuto che la comproprietà di alcuni beni derivasse direttamente dal titolo d'acquisto della proprietà, in ragione della formulazione letterale dell'atto, nel quale, peraltro, non risultano individuate le parti comuni tra l'edificio acquistato dai ricorrenti e gli altri edifici inseriti nel complesso immobiliare omissis . In ossequio al disposto di cui all'art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis , i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto se la presunzione di condominialità di cui all'art. 1117 cod. civ. può essere vinta dalla sola circostanza che le parti o i servizi, asseritamente comuni, menzionati dall'art. 1117 cod. civ., non siano in concreto strutturalmente e funzionalmente collegati ad un autonomo edificio adiacente ad un complesso di altri immobili autonomi, tra loro in condominio c.d. orizzontale, e non siano in concreto fruite dal proprietario di quest'ultimo” se, al fine di escludere la presunzione di condominialità di cui all'art. 1117 cod. civ., sia sufficiente l'accertamento che le porzioni immobiliari o cose, asseritamente oggetto di proprietà condominiale, non siano in concreto, strutturalmente e funzionalmente, poste al servizio del singolo autonomo immobile adiacente ad un complesso di altri immobili autonomi, tra loro in condominio c.d. orizzontale, anche nell'ipotesi in cui il titolo di acquisto della proprietà di quell'immobile faccia generico riferimento al trasferimento di tutti i diritti ed oneri proporzionali di condominio sulle parti comuni, senza null'altro specificare in ordine al contenuto dei singoli diritti dominicali asseritamente rientranti nella proprietà condominiale”, e se, pertanto, è privo di effetto giuridico il trasferimento del diritto di comproprietà su beni condominiali, ove detti beni non siano indicati nel titolo negoziale e sia stata superata, in concreto, la presunzione di condominialità”. 1.2. - La doglianza è infondata. 1.2.1. - La sentenza della Corte d'appello è basata su una duplice ratio decidendi , che i ricorrenti non hanno compiutamente censurato. La Corte distrettuale ha infatti rilevato, per un verso, che l'atto di compravendita dell'immobile di proprietà dei sigg.ri D.V. - B. prevede espressamente l'acquisto della quota di 39/100 dei diritti sulle parti comuni del condominio di cui l'immobile faceva parte, con la conseguenza che la partecipazione degli attori alla comunione non poteva essere esclusa dall'accertamento che l'immobile non fruisse dei beni e servizi comuni. Per altro verso, la stessa Corte d'appello ha sottolineato come dalla CTU fosse emerso che, seppure per una minima parte”, esistevano al servizio dell'immobile degli attori elementi locali servizi impianti”. 1.2.2. - Quanto al primo profilo, si deve osservare che l'accertamento della natura non condominiale di un bene – per mancanza del presupposto della relazione di accessorietà strumentale e funzionale con le unità immobiliari comprese nel condominio ex plurimis, Cass., sez. 2^, sentenza n. 4973 del 2007 - non esclude l'eventuale comunione su di esso instaurata per volontà delle parti, come ravvisato nella specie dalla Corte d'appello, sulla base del contenuto dell'atto di acquisto dell'immobile, nel quale si precisa che gli attori hanno acquistato la casa di civile abitazione facente parte del complesso immobiliare omissis ” con tutti i diritti ed oneri proporzionali di condominio come per legge pari a 39/100”. L'argomento non è censurato dai ricorrenti. 1.2.3. - Quanto al secondo profilo, l'individuazione della percentuale di partecipazione degli attori alle parti comuni, risultante dall'atto di compravendita, era elemento adeguato e sufficiente alla determinazione dell'oggetto della comunione volontaria. La Corte d'appello ha dunque correttamente ritenuto non superata la presunzione di condominialità. 2. - Con il secondo motivo è dedotto vizio di motivazione, in assunto omessa ovvero insufficiente, nella parte in cui la Corte d'appello ha affermato l'esistenza di elementi locali servizi e impianti” in minima parte comuni. 2.1. - La doglianza è inammissibile per carenza di autosufficienza. A fronte del richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, alle risultanze della CTU disposta in primo grado, per l'individuazione degli elementi locali servizi impianti” che in minima parte” risultano comuni, il motivo di ricorso non riporta il contenuto della CTU nella parte in cui avrebbe, in assunto, escluso del tutto l'esistenza di beni e servizi comuni da ultimo, Cass., sez. L., sentenza n. 3224 del 2014 . 3. - Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 1119 cod. civ., nonché vizio di motivazione. Si contesta, in termini sostanzialmente analoghi a quanto prospettato con il primo motivo di ricorso, la configurabilità - in capo al soggetto proprietario di un edificio adiacente ad un complesso immobiliare, ma non in condominio con esso - della titolarità di una quota di comunione divisibile su beni e/o servizi in rapporto di accessorietà strumentale rispetto ai soli edifici facenti parte del condominio. Si denuncia, quindi, oltre alla contraddittorietà come già nel primo motivo, l'omessa motivazione, per non avere la Corte d'appello argomentato in ordine alla divisibilità dei beni asseritamente comuni ex art. 1119 cod. civ In ossequio al disposto dell'art. 366-bis cod. proc. civ., è formulato il seguente quesito di diritto se il proprietario di un edificio adiacente ad un complesso immobiliare, ma non in condominio con esso, possa essere titolare di una quota di comunione divisibile su beni e/o servizi afferenti al Condominio del predetto complesso immobiliare nella specie, si trattava della rete fognate condominiale, della rete di illuminazione condominiale, e della rete comune di distribuzione di acqua potabile , posti, per loro stessa natura, in rapporto esclusivo di accessorietà strumentale e funzionale rispetto ai soli edifici facenti parte del condominio”. 3.1. - La doglianza è infondata per le ragioni già esposte con riferimento al primo motivo di ricorso, che si intendono qui richiamate. Del pari infondata risulta l'ulteriore censura, di omessa motivazione circa la divisibilità delle parti comuni, ai sensi dell'art. 1119 cod. civ. La domanda proposta dagli attori, di accertamento della inesistenza della loro partecipazione al condominio, non poneva una questione di divisibilità delle parti comuni dell'edificio, e correttamente la Corte d'appello non se n'è occupata. 4. - Con il quarto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione agli artt. 101, 112 e 346 cod. proc. civ., nonché nullità della sentenza. Si assume che la Corte d'appello sarebbe incorsa in ultrapetizione nella parte in cui ha pronunciato sulla comproprietà dei beni, posto che gli attori avevano abbandonato la domanda inizialmente formulata di accertamento, con effetti ex tunc , della comproprietà della rampa d'accesso alla loro unità abitativa. Ne derivava che ogni questione riguardante la proprietà pro-quota di beni diversi dalla rampa d'accesso avrebbe dovuto essere sottoposta al contraddittorio delle parti, diversamente da quanto era avvenuto. In ossequio al disposto di cui all'art. 366-bis cod. proc. civ., è formulato il seguente quesito di diritto se incorre in vizio di ultrapetizione, con conseguente nullità della sentenza, il giudice d'appello che si pronunzia su una domanda senza che essa sia stata riproposta dall'appellato ai sensi dell'art. 346 cod. proc. civ. nella specie, non era stata riproposta in appello la domanda di declaratoria della comunione di beni immobili ” e se la sentenza d'appello è nulla per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti, qualora la Corte d'appello abbia sollevato e delibato per la prima volta nella detta sentenza una questione non rilevabile d'ufficio nella specie inerente alla sussistenza di una comunione su beni immobili . 4.1. - La doglianza è infondata. A fronte della domanda proposta dagli attori, di accertamento della estraneità dell'immobile di loro proprietà al Condominio omissis , anche a fini di restituzione di quanto pagato a titolo di oneri condominiali, la Corte d'appello ha affermato che gli attori partecipano al condominio sulla base del titolo d'acquisto della proprietà, e che ciò li vincola al pagamento dei predetti oneri. Il rigetto della domanda è quindi fondato sulla riconosciuta esistenza della partecipazione al condominio in forza dell'indicazione contenuta nell'atto di acquisto della proprietà. 5. - Con il quinto motivo è dedotta violazione degli artt. 102 e 331 cod. proc. civ Si assume che la Corte d'appello avrebbe dichiarato la sussistenza della comunione sui beni immobili tra il Condominio e gli attori, senza che fossero presenti in giudizio i proprietari di tutti gli immobili che fanno parte del Condominio, da ritenersi litisconsorti necessari. In ossequio al disposto dell'art. 366-bis cod. proc. civ., è formulato il seguente quesito di diritto se la declaratoria di comunione sui beni immobili tra un condominio ed il proprietario di un edificio ad esso finitimo postuli il litisconsorzio necessario di tutti i proprietari delle singole unità abitative poste all'interno del condominio medesimo”. 5.1. - La doglianza è infondata. Come già detto nell'esame del quarto motivo di ricorso, la Corte d'appello si è limitata ad accertare l'infondatezza della domanda proposta dagli attori, di accertamento della loro estraneità al Condominio Pian dei Goti e conseguente restituzione di quanto versato a titolo di oneri condominiali, e ciò non richiedeva la partecipazione al giudizio di tutti i condomini, come del resto gli stessi attori avevano ritenuto, incardinando il giudizio nei confronti del solo Condominio. Non vi era dunque alcuna ricaduta potenziale della pronuncia di accertamento sulla comproprietà degli altri partecipanti al Condominio. 5.2. - Su un piano più generale, avuto riguardo a domande finalizzate all'accertamento della proprietà esclusiva di beni condominiali, si deve rilevare che la giurisprudenza di questa Corte ha progressivamente ampliato l'ambito della legittimazione del1'amministratore di condominio, per evidenti e condivisibili ragioni di economia processuale da ultimo, Cass., sez. 2^, sentenza n. 28141 del 2013 , pur se non mancano arresti di segno contrario Cass., sez. 2^, sentenza n. 6607 del 2012 . 6. - Con il sesto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 346 cod. proc. civ Si censura il rigetto dell'opposizione a decreto ingiuntivo sul rilievo che, diversamente da quanto affermato dalla che la Corte d'appello, non sussisteva a carico degli appellati un onere di riproposizione della domanda, che era stata accolta dal Tribunale. In ossequio al disposto dell'art. 366-bis cod. proc. civ., è formulato il seguente quesito di diritto se le domande accolte dalla sentenza di primo grado nella specie di revoca del decreto ingiuntivo opposto sono soggette, in caso di proposizione dell'appello, all'onere di riproposizione ex art. 346 cod. proc. civ.”. 6.1. - La doglianza è inammissibile in quanto censura soltanto una delle due rationes poste dalla Corte d'appello a fondamento del rigetto della domanda di revoca del decreto ingiuntivo opposto. È vero, infatti, che non sussisteva a carico degli appellati, odierni ricorrenti, l'onere di riproporre le domande che erano state accolte dal giudice di primo grado, ma la Corte d'appello ha motivato il rigetto della domanda di revoca del decreto ingiuntivo anche nel merito, rilevando che essa costituiva la conseguenza del rigetto della domanda di accertamento della inesistenza del condominio e dei relativi oneri. Questa autonoma ratio, sufficiente a giustificare la decisione, non è stata censurata. 7. – Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.