Il detentore non può usucapire il bene senza l’animus possidenti

L’appaltatore, fino alla consegna dell’opera al committente, detiene l’opera stessa nel suo personale interesse in virtù di un rapporto obbligatorio e deve pertanto considerarsi detentore qualificato. Tale situazione di fatto non può dunque integrare un’ipotesi di possesso rilevante ai fini dell’usucapione.

Il caso. L’interminabile vicenda processuale decisa dalla Corte di Cassazione sent. n. 15542/14 depositata lo scorso 8 luglio ha per oggetto un contratto di appalto stipulato nel lontano 1964 e si snoda attraverso tre gradi di giudizio raddoppiati” da una prima sentenza della Suprema Corte che aveva cassato con rinvio in Corte d’Appello la decisione assunta dalla Corte territoriale. La fattispecie ha fondamentalmente per oggetto l’asserito acquisto per usucapione di un immobile da parte di un appaltatore attore in primo grado che era entrato nella disponibilità del bene in virtù della consegna avvenuta da parte del committente con la stipula dell’appalto. Si trattava in particolare di un piano cantinato facente parte di un edificio per il quale l’appaltatore aveva ricevuto l’incarico di provvedere alle rifiniture relative. La Corte d’appello in sede di rinvio aveva respinto la tesi dell’attore il quale ricorreva per la seconda volta in Cassazione al fine di veder riconosciuto il proprio diritto di proprietà sul bene. L’appaltatore ha acquistato l’immobile per usucapione? Elemento centrale della decisione è dunque l’asserito acquisto per usucapione dell’immobile da parte dell’appaltatore. Questi, in sostanza, sosteneva di aver conseguito il possesso pieno uti dominus del bene e di averlo conservato e gestito come proprietario esclusivo nel corso degli anni acquisendone così a tutti gli effetti la proprietà. La pretesa del ricorrente viene però smontata dalla Cassazione che contesta la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi necessari per l’usucapione. In primo luogo si ricorda che l’usucapione è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà di diritti reali minori che si configura mediante il possesso prolungato del bene. Il possesso è la situazione di fatto corrispondente quindi all’esercizio del diritto di proprietà o altro diritto reale a prescindere che ciò corrisponda effettivamente ad una situazione di diritto. Il possesso deve essere corpore , cioè mediante la disponibilità materiale del bene et animo , cioè con la volontà di comportarsi effettivamente come proprietario o titolare di altro diritto reale. Diversa è la detenzione. Si tratta sempre di una situazione di fatto, ma si svolge in funzione dell’adempimento di un obbligo o costituisce l’esercizio di un diritto personale su un bene altrui. Ad esempio il comodatario è certamente nella disponibilità materiale del bene, ma ciò avviene in esecuzione di un contratto di comodato, non come espressione di un diritto di proprietà o altro diritto reale. Infatti, mentre il possessore disconosce qualsiasi diritto di terzi sul bene, il detentore riconosce e rispetta i diritti altrui sul bene medesimo. Ovviamente solo il possesso è rilevante ai fini dell’acquisto per usucapione. Nel caso di specie, difettava in capo al ricorrente proprio il requisito del possesso”, egli infatti era nella mera disponibilità del bene solo in virtù di un contratto di appalto stipulato con il committente. Questi rimaneva quindi proprietario e possessore a tutti gli effetti del bene ed esercitava i propri diritti sull’immobile stesso incaricando l’appaltatore di eseguire semplicemente delle opere di ristrutturazione e rifinitura, senza mai ovviamente attribuire nulla più della sola detenzione. Il committente si trovava nella particolare situazione di possessore mediato”, cioè colui che conserva il bene solo animo dandone la disponibilità materiale al detentore come visto nel caso del comodato o anche nell’ipotesi di un immobile concesso in locazione, ecc. , ma non per questo perdeva la qualifica di possessore dell’immobile nei riguardi dell’appaltatore da lui incaricato. Interversione del possesso Difettava inoltre nel ricorrente anche il requisito soggettivo dell’interversione del possesso, situazione particolare in cui il mero detentore del bene, decide di comportarsi uti dominus non riconoscendo più alcun diritto altrui sull’oggetto in questione. Infatti, a mente dell’art. 1141 c.c., chi ha la detenzione, non può acquistare il possesso utile ai fini dell’usucapione, finché il titolo non muta o per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione fatta dal detentore nei confronti del possessore. Nel caso di specie, secondo la Suprema Corte, le trattative e la proposta di acquisto del bene contestato formulate dall’appaltatore nei confronti del committente erano proprio espressione del difetto dell’ animus possidenti e quindi del riconoscimento pieno del diritto altrui sul bene. La pretesa del ricorrente non poteva trovare accoglimento e gli Ermellini respingevano le relative richieste.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 14 aprile – 8 luglio 2014, n. 15542 Presidente Bursese – Relatore Nuzzo Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato l’11 gennaio 1993 D.V.G. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Messina, la curatela del fallimento Cifrem per sentire dichiarare il proprio acquisto per usucapione del piano cantinato facente parte dell'edificio, sito nei Comparti VI e IX dell'isolato 248 del P.R. di Messina. Resisteva la curatela ed, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell'attore al pagamento, in suo favore, dell'indennizzo per la detenzione e la utilizzazione del cantinato, oltre interessi, rivalutazione monetaria e risarcimento dei danni. Con sentenza 29.12.2001 il GOA del Tribunale di Messina, assunta la prova testimoniale ed espletata C.T.U., accoglieva la domanda e dichiarava acquisito per usucapione, in capo al D.V. , il diritto di proprietà del bene in questione. Proposto appello da parte del curatore del fallimento Cifrem, la Corte d'Appello di Messina, con sentenza depositata il 24.7.2012, accoglieva parzialmente l'appello ed, in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda di usucapione del D.V. e lo condannava al pagamento, in favore della curatela, della somma di Euro 20.837,54 oltre interessi, rigettando la domanda di risarcimento danni. Tale sentenza era impugnata dal D.V. con ricorso per cassazione che, con sentenza 29.9.2008, era accolto dalla Corte di legittimità con rinvio alla Corte di Appello di Catania per il riesame della questione sulla natura della relazione di fatto instaurata dal ricorrente con il bene oggetto di causa. Riassunto il giudizio innanzi alla Corte di appello di Catania, si costituiva la curatela ribadendo che il D.V. , il 30.10.1964, aveva stipulato, con la società proprietaria e gli altri condomini, un contratto di appalto per eseguire le rifiniture del fabbricato, conseguendo la disponibilità del bene in questione a titolo di mera detenzione in via subordinata, per l'ipotesi di riconoscimento di una situazione possessoria e non di detenzione, eccepiva il riconoscimento da parte del D.V. , dell'altruità del bene. Con sentenza depositata il 24.7.2012 la Corte d'Appello di Catania, pronunciando in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, accoglieva l'appello della curatela del fallimento Cifrem avverso la sentenza del Tribunale di Messina e, per l'effetto, rigettava la domanda di usucapione, condannando il D.V. al risarcimento dei danni per la detenzione senza titolo del cantinato, oltre al pagamento delle spese processuali dell'intero procedimento. Osservava la Corte territoriale, per quanto ancora rileva nel presente giudizio, che il D.V. era di ritenersi un detentore qualificato, essendo stato accertato che il vano in questione era stato a lui consegnato in occasione della stipulazione del contratto di appalto 30.10.1964 e che difettava la prova che il cantinato fosse stato escluso da tale contratto, non avendo egli prodotto in appello i propri fascicoli di parte ed,in particolare, quello di primo grado contenente la copia di detto contatto. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il D.V. formulando sette motivi. Resiste con controricorso C.B. , quale curatore del fallimento Cifrem s.p.a Motivi della decisione Il ricorrente deduce 1 violazione e falsa applicazione dell'art. 384 c.p.c. in quanto la Corte di merito, superando i limiti del giudizio di rinvio dalla Cassazione, aveva esaminato punti in fatto già decisi dalla Suprema Corte e rientranti nel giudicato implicito 2 violazione e falsa applicazione dell'art. 347 c.p.c., laddove la Corte di merito aveva affermato l'onere della parte di produrre il proprio fascicolo di primo grado, non considerando che, in sede di riassunzione della causa innanzi al giudizio di rinvio, i fascicoli di parte fanno parte del fascicolo di ufficio e, comunque, il contratto di appalto del 30.10.1964 provava il diritto del D.V. sul bene in questione spettava, peraltro, alla Cifrem s.p.a. provare quanto eccepito e, ciocche il D.V. avesse solo detenuto il bene in questione 3 violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 – 1141 - 1144 e 2697 c.c. e artt. 112 - 116 c.p.c., nonché difetto di motivazione su punto decisivo della controversia, per avere la Corte d'Appello erroneamente considerata pacifica la circostanza che la Cifrem s.p.a. avesse concesso in appalto al D.V. l'esecuzione dei lavori di rifinitura dell'edificio, compreso il cantinato in questione in realtà doveva ritenersi che il D.V. , consegnati i lavori come da progetto, si fosse appropriato di uno spazio interrato, mettendolo in comunicazione con il limitrofo cantinato acquistato dalla moglie e, tramite una porta, con il vano scala condominiale senza che alcuno avesse accampato diritti se non con la lettera della curatela del gennaio 1983 la Corte territoriale catanese aveva illegittimamente escluso la presunzione del possesso ad usucapionem, benché la Cifrem non avesse fornito la prova contraria in ordine al potere fatto sul bene che il D.V. avrebbe esercitato a titolo di detenzione sin dall'incarico di cui al contratto 30.10.1964 il decorso di 18 anni prima che la Cifrem richiedesse il bene con lettera del gennaio 1983 ed il successivo periodo di tolleranza nell'uso del cantinato da parte del D.V. , ne suffragavano l'acquisto per usucapione 4 violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 - 1163 c.c. e 116 c.p.c., laddove la sentenza impugnata aveva ritenuto insussistenti gli elementi costitutivi del possesso ad usucapionen, non tenendo conto dei fatti incontroversi, riguardanti il fatto che il D.V. , fin dall'ottobre 1964, aveva realizzato nel vano interrato, non previsto nel progetto, una porta di comunicazione con la scala condominiale, collegandolo con l'adiacente cantinato appartenente alla moglie ed utilizzandolo come deposito di materiale edilizio e di riviste dal 1964 fino all'instaurazione del presente giudizio 5 violazione e falsa applicazione degli artt. 1165 e 2944 c.c. e 116 c.p.c., per avere la Corte d'Appello ritenuto che le trattative per l'acquisto dell'immobile oggetto di causa, unitamente alla disponibilità a far visionare il bene al tecnico della curatela per la valutazione implicassero il riconoscimento dell'altrui diritto di proprietà e l'incompatibilità con la volontà di godere il bene uti dominus,con conseguente interruzione termine utile per l'usucapione, non considerando che al fine dell'interruzione di tale termine, non era sufficiente che il possessore avesse riconosciuto l'appartenenza ad altri del diritto reale da lui esercitato come proprio, richiedendosi la volontà di attribuzione del diritto stesso al suo titolare Con il sesto ed il settimo motivo di ricorso, correlati all'accoglimento del ricorso, si lamenta, rispettivamente, il riconoscimento dell'indennizzo in favore della Cifrem e la condanna al pagamento delle spese processuali a seguito del rigetto della domanda del D.V. . Il primo motivo di ricorso è infondato la Corte di legittimità ha cassato la sentenza impugnata per un vizio consistente nel non aver assunto una posizione coerente in ordine alla natura del rapporto instaurato dall'odierno ricorrente con il bene de quo sicché, essendo stato demandato alla Corte di merito in sede di rinvio il riesame della controversia al fine di chiarire se D.V. potesse qualificarsi un possessore o un mero detentore, deve escludersi, in relazione a detto vizio motivazionale, la configurabilità di un giudicato implicito nel senso della sussistenza dei presupposti di un possesso ad usucapionem . Va rammentato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell'ipotesi di cassazione con rinvio per vizio di motivazione, il giudice di rinvio conserva tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell'ambito dello specifico capo di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio, egli è tenuto a giustificare il proprio convincimento evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, così da eliminare i difetti argomentativi riscontrati V. Cass. n. 9617/2009 . Il secondo, il terzo ed il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente in quanto investono, sul piano processuale e sostanziale, la questione di fondo se il vano in questione fosse già esistente al momento della apprensione e utilizzazione da parte del D.V. o se fosse stato da lui costruito ex novo. Orbene, sotto il profilo processuale, la Corte territoriale ha rilevato che il contratto di appalto su cui il ricorrente fondava il proprio assunto non era stato versato, in sede di rinvio, nel fascicolo di parte con conseguente addebito a carico di chi intendeva avvalersene. La circostanza che si tratti di causa riassunta a seguito della sentenza della S.C., non rileva ai fini dell'art. 394 c.p.c. e dell'art. 126 disp. att. c.p.c., essendo imposto al giudice del rinvio che rilevi un'omessa richiesta, da parte della cancelleria, del fascicolo di ufficio, l'acquisizione solo del fascicolo stesso, la cui mancanza ovviamente non può avere conseguenze negative a carico della parte V. Cass. n. 4759/2014 n. 10123/2011 . Le S.U. della S.C. hanno, in particolare, affermato il principio che è onere dell'appellante, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre o ripristinare in appello, se già prodotti in primo grado, documenti sui quali egli basa il proprio gravame o comunque attivarsi, anche avvalendosi della facoltà ex art. 76 disp. att. c.p.c., per farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti S.U. n. 28498/2005 . Sotto il profilo sostanziale la sentenza impugnata ha poi evidenziato che il C.T.U. aveva constatato che il vano oggetto di causa, pur non riportato nel progetto V. pag. 5 sent. era stato realizzato durante la costruzione del fabbricato sicché sarebbe provata la detenzione qualificata come origine della relazione con la cosa e, conseguentemente, sarebbe superata la presunzione del possesso iniziale. Va disattesa la quinta censura le trattative e la proposta di acquisto del vano per cui causa, da parte del D.V. , sono state ritenute dal giudice di appello come espressione del difetto dell'animus possidendi e come riconoscimento del diritto altrui da parte del possessore secondo la giurisprudenza cit. in setenza Cass. n. 22250/06 è, peraltro, da escludersi, secondo il combinato disposto degli artt. 1165 e 2943 c.c., che le trattative stesse possano avere valenza ed efficacia interruttiva del possesso ad usucapinem, non potendosi attribuire tale efficacia ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge Cfr. Cass. n. 13625/2009 . Non può, tuttavia, superarsi l'argomento decisivo su cui è fondata la decisione impugnata e, cioè, che in ordine alla originaria consegna del bene, l'appaltatore, fino alla consegna dell'opera al committente, detiene l'pera stessa nel suo personale interesse, in virtù di un rapporto obbligatorio e deve pertanto considerarsi detentore qualificato . Vanno, infine, disattesi il sesto ed il settimo motivo di ricorso in quanto attengono a censure solo enunciate senza una indicazione specifica delle ragioni sottese alla statuizione sulla liquidazione del danno in base al valore locativo del bene illegittimamente occupato ed alla condanna al pagamento delle spese processuali secondo il criterio della soccombenza. In conclusione, il ricorso va respinto. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e spese generali.