La sopraelevazione è una nuova costruzione e deve rispettare le distanze

La sopraelevazione di un edificio dev’essere considerata alla stregua di una nuova costruzione e non di una ristrutturazione, e ad essa devono ritenersi applicabili le normative dettate in materia di distanze tra le costruzioni vigenti al momento della sua effettuazione, senza che possa essere invocato il principio della prevenzione.

Questa in sostanza è la decisione adottata dalla Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7291 del 27 marzo 2014. La pronuncia de quo rappresenta un’utile riferimento per evidenziare unitamente ed in conformità all’orientamento dominante il significato di alcuni concetti chiave in materia di distanze nelle costruzioni, quali la differenza tra nuova costruzione e ristrutturazioni ed il principio di prevenzione. Tutto parte dalla sopraelevazione di un edificio . Un uomo commissionava la sopraelevazione del proprio edificio. Il suo vicino, non ci stava e agiva in giudizio in via cautelare con un’azione per denuncia di nuova opera quell’intervento, a suo modo di vedere, era lesivo della normativa vigente in materia di distanze nelle costruzioni. Nell’ambito del giudizio di primo grado, il vicino vedeva riconosciute le proprie ragioni la sopraelevazione era illegittima e doveva essere demolita. L’uomo chiaramente non era d’accordo e proponeva appello verso la sentenza di primo grado. Appello respinto da qui il ricorso per Cassazione. La sentenza degli Ermellini ha portato al respingimento del ricorso. Una sopraelevazione non è una ristrutturazione ma nuova costruzione . L’impianto motivazionale della pronuncia è partito rimarcando questa differenza. Nell'ambito delle opere edilizie, la semplice ristrutturazione si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e, all'esito degli stessi, rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura Quando, invece, al termine dell'intervento si possono notare aumenti della volumetria e delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro allora si verte in ipotesi di nuova costruzione, da considerare tale, ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui come previste dagli strumenti urbanistici locali, nel suo complesso, ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni siano estese anche alle ricostruzioni, ovvero, ove una siffatta norma non esista, solo nelle parti eccedenti le dimensioni dell'edificio originario . Così si sono espresse le Sezioni Unite con ordinanza. n. 21578/11 cui la sentenza in esame si è riportata per evidenziare la diversità concettuale tra i due interventi. La nuova costruzione che si sostanza in una sopraelevazione deve rispettare le distanze non potendosi applicare ai casi de quibus il principio della prevenzione . Vale la pena ricordare che – il dato è pacifico in dottrina e giurisprudenza – il principio della prevenzione temporale, si desume da quanto disposto artt. 873, 874, 875 e 877c.c. in base ad esso la determinazione delle distanze nelle costruzioni è rimessa al momento della prima costruzione. In buona sostanza chi costruisce per primo determina l'obbligo per il vicino di rispettare le distanze previste dalla legge. In questo contesto, affermano gli Ermellini, la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando un incremento della volumetria del fabbricato, è qualificabile come nuova costruzione, con la conseguenza che ad essa è applicabile la normativa vigente al momento della modifica e non opera il criterio della prevenzione se riferito alle costruzioni originarie, in quanto sostituito dal principio della priorità temporale correlata al momento della sopraelevazione . Come dire siccome la sopraelevazione s’inserisce in un contesto già esistente, ad essa si applicano le regole previste per le situazioni di fatto consolidate e non quelle disciplinate dal principio di prevenzione che è posto alla loro base.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 febbraio – 27 marzo 2014, n. 7291 Presidente Goldoni – Relatore Carrato Svolgimento del processo A seguito di ricorso per denuncia di nuova opera presentato in data 12 ottobre 1996 dinanzi al Pretore di Rovigo - sez. dist. di Adria - da M.V., con cui la stessa lamentava la costruzione di un fabbricato da parte del confinante P.S. ad una distanza inferiore a quella legale rispetto alla sua abitazione, sia in Taglio di Po, in v. Carducci n. 21, a cui aveva fatto seguito l'instaurazione della fase di merito dinanzi allo stesso Pretore e poi - per effetto della sopravvenuta soppressione delle Preture - proseguita avanti al Tribunale di Rovigo - sez. dist. di Adria in composizione monocratica , quest'ultimo, con sentenza n. 26 del 2002, accoglieva la domanda attorea e, per l'effetto, condannava il convenuto a demolire la parte sopraelevata del suo fabbricato posta a distanza inferiore a mt. 10 dal suo confinante edificio. Interposto appello da parte del P. e nella costituzione dell'appellata, la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 866 del 2007 depositata il 12 luglio 2007 , rigettava il gravame e condannava all'appellante alla rifusione delle spese dei grado. A sostegno dell'adottata decisione, la Corte territoriale riconfermava la correttezza del percorso argomentativo del giudice di prime cure, con la cui statuizione era stata affermata l'illegittimità della sopraelevazione realizzata a distanza illegale dal P., sul presupposto accertato sulla scorta delle risultanze della c.t.u. che, essendo i fabbricati delle parti posti l'uno di fronte all'altro, nell'esecuzione della suddetta struttura in sopraelevazione da qualificarsi come costruzione nuova il P. avrebbe dovuto rispettare le distanze legali dal fabbricato di proprietà della M. anche per la parte che elevava al di sopra dell'altro edifico e pur non risultando prospettante direttamente su di esso, escludendosi, altresì, l'applicabilità del principio della prevenzione, non avendo l'appellante ricostruito la nuova opera sopraelevandola in allineamento con l'originario piano inferiore. Il sig. P.S. ha impugnato in cassazione la citata sentenza con un ricorso articolato in due motivi, al quale la M.V. ha resistito con controricorso. Il difensore della ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata assumendo l'insufficiente valutazione della stessa sul punto decisivo della controversia relativo alla ravvisata inapplicabilità, nella specie, del principio della prevenzione, sul presupposto del ritenuto accertamento che la ricostruzione della nuova opera in sopraelevazione non era stata realizzata sulla stessa area di sedime in cui insisteva la costruzione precedente. Quale così qualificato ipotetico quesito non richiesto per i motivi proposti a mente dell'art. 360 n. 5 c.p.c. , il ricorrente ha chiesto a questa Corte di precisare se a a fronte delle deduzioni su riportate svolte negli atti del giudizio di appello in citazione ed in conclusionale , facenti riferimento a diverse circostanze probatorie favorevoli alle tesi del ricorrente, b presenti agli atti del giudizio ed ivi precisate addirittura, anche con accertamento in sede penale di quella circostanza , c su quello che lo stesso giudicante ha ritenuto essere il punto decisivo per l'accoglibilità o meno delle argomentazioni difensive, possa ritenersi compiutamente svolta e motivata l'attività processuale valutativa degli elementi decisori della causa, così come presenti agli atti e richiamati dalla difesa, da parte della sentenza n, 866/2007, qui impugnata, o se, viceversa, questa non risulti viziata per omesso esame di quegli elementi decisivi, presenti ed evidenziati. 2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto un ulteriore, ancorché in via subordinata, vizio di insufficiente valutazione circa il medesimo punto decisivo della controversia, reiterando lo stesso ipotetico quesito di diritto formulato con riguardo alla prima doglianza. 3. I due motivi - esaminabili congiuntamente siccome riferiti alla stessa doglianza - sono destituiti di fondamento e vanno respinti. In primo luogo, occorre evidenziare che, a supporto delle due richiamate censure, pur facendosi con esse valere dei vizi di motivazione e di ciò dimostra consapevolezza lo stesso ricorrente ponendo in equivoco riferimento al vizio contemplato dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata , risultano formulati - ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. ratione temporis applicabile nella fattispecie - due quesiti di diritto, oltretutto qualificati come ipotetici , nel mentre, diversamente da quanto ritenuto dalla difesa del P., sarebbe stato necessario - per concorde giurisprudenza di questa Corte - provvedere all'illustrazione, ancorché libera da rigidità formali, della esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assumeva omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rendeva inidonea la motivazione stessa a giustificare la decisione. In ogni caso le dedotte doglianze motivazionali risultano assolutamente generiche ed apodittiche, attenendo, peraltro, ad un accertamento di fatto quello della mancata ricostruzione dell'opera in sopraelevazione sulla stessa area di sedime occupata dal manufatto precedente congruamente motivato dalla Corte territoriale al fine di farne conseguire l'inapplicabilità dei principio della prevenzione. Ed infatti la Corte veneta - sulla base di motivazione sufficientemente logica ed adeguata, in quanto supportata anche dai riscontri documentali acquisiti come, ad es., il progetto di ampliamento e sopraelevazione presentato da ricorrente prima dell'inizio dei lavori in funzione dell'ottenimento della relativa concessione e dalle univoche risultanze della c.t.u. esperita dalle quali era emerso che, poiché i fabbricati delle parti erano frontistanti, nell'esecuzione della sopraelevazione del suo immobile il P. avrebbe dovuto rispettare le distanze legali da quello della M. anche per la parte che si elevava al di sopra dell'altro edificio, ancorché non prospettante direttamente su di esso - ha rilevato che, in effetti, il P. aveva edificato una nuova costruzione , ragion per cui - nella fattispecie - andava rispettata la prescritta distanza minima tra fabbricati, la quale, perciò, avrebbe dovuto essere osservata per l'intera sua altezza e, quindi, non soltanto per la parte dell'edificio che fronteggiava la parete di quello confinante, ma anche per la parte sopraelevata. Del resto, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte v., ad es., Cass. n. 6809 del 2000 e Cass. n. 21059 che la sopraelevazione, anche se di ridotte dimensioni, comporta sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va, pertanto, considerata a tutti gli effetti, e, quindi, anche per la disciplina delle distanze, come nuova costruzione per la distinzione, in generale, tra le definizioni di ristrutturazione e di nuova costruzione , v., anche, Cass. n. 9637 del 2006 e Cass., S.U., n. 21578 del 2011, ord. . Deve, in conclusione, trovare conferma in questa sede il principio già affermato, da ultimo, anche da Cass., S.U., n. 74 del 2011 secondo cui, in tema di rispetto delle distanze legali tra costruzioni, la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando un incremento della volumetria del fabbricato, è qualificabile come nuova costruzione, con la conseguenza che ad essa è applicabile la normativa vigente al momento della modifica e non opera il criterio della prevenzione se riferito alle costruzioni originarie, in quanto sostituito dal principio della priorità temporale correlata al momento della sopraelevazione. 4. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nei sensi di cui in dispositivo, sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 applicabile nel caso di specie in virtù dell'art. 41 dello stesso D.M. cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.