Calcolo delle distanze tra edifici, una questione di strumenti urbanistici

Per valutare qual è l’esatta distanza che deve intercorrere tra le pareti finestrate di edifici antistanti, eccezion fatta per il caso di costruzioni in aderenza, è necessario verificare l’esistenza degli strumenti urbanistici previsti dalla legge e le prescrizioni in essi contenute.

In tema di distanze tra edifici, l’art. 9 d.m. n. 1444/1968 prescrive una serie di distanze tra edifici a seconda della tipologia di zona territoriale omogenea e degli strumenti urbanistici di riferimento. In questo contesto, per valutare qual è l’esatta distanza che deve intercorrere tra le pareti finestrate di edifici antistanti, eccezion fatta per il caso di costruzioni in aderenza, è necessario verificare l’esistenza degli strumenti urbanistici previsti dalla legge e le prescrizioni in essi contenute. Questa, in estrema sintesi, la decisione presa dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 3083 depositata in cancelleria lo scorso 18 febbraio. Il caso . I proprietari di un fabbricato facevano causa al condominio vicino, ad alcuni condomini ed all’impresa costruttrice dello stabile, in quanto a loro modo di vedere, quell’edificio non era rispettoso delle distanze previste dalla legge, in particolare dal d.m. n. 1444/1968. La richiesta, come si dice in questi casi, era la remissione in pristino dello stato dei luoghi. Detta diversamente accertamento della violazione della normative sulle distanze e demolizione della parte di fabbricato che non le rispettava. La causa veniva istruita, in primo grado, previa integrazione del contraddittorio e la domanda veniva rigettata. Diverso l’esito del giudizio del gravame il condominio, secondo i giudici d’appello, era stato edificato in spregio alla normativa sulle distanze contenuta nel decreto ministeriale n. 1444 e nei regolamenti locali e di conseguenza l’illegittimità doveva essere sanzionata con la demolizione delle parti di fabbricato fuori norma. La controversia, quindi, è arrivata davanti agli Ermellini. Distanze tra costruzioni e distanze tra fabbricati . Le due fattispecie non per forza coincidono. In buona sostanza l’art. 873 c.c. e il d.m. n. 1444/68, possono avere ambiti applicati differenti. Una costruzione, infatti, è un qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, e ciò indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell'opera, dai caratteri del suo sviluppo volumetrico esterno, dall'uniformità o continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione e dalla sua funzione o destinazione Cass., n. 20574/2007 . Un muro è una costruzione, sicché tra esso e le costruzioni successive devono esservi almeno 3 metri di distanze. Per gli edifici di nuova costruzione, questo dice il d.m. n. 1444, le distanze tra pareti finestrate devono essere almeno di 12 metri, salvo deroghe previste negli strumenti urbanistici locali. Quali sono esattamente gli strumenti urbanistici? Lo studio unitario d’ambito non è uno strumento urbanistico equiparabile da un piano particolareggiato o ad un piano di lottizzazione . I comuni sono chiamati a pianificare lo sviluppo del loro territorio attraverso una serie di strumenti urbanistici, ossia – per semplificare al massimo – di atti contenenti le norme da osservare per costruire. In questo contesto c’è il piano regolatore generale e poi i piani particolareggiati o i piani di lottizzazione o ancora i regolamenti ed i piani di fabbricazione. Nel caso di specie, il condominio edificato successivamente al fabbricato degli attori non rispettava la distanza di almeno dodici metri tra pareti finestrate prevista dal primo comma dell’art. 9 d.m. n. 1444/68. Per i giudici di appello, la cui sentenza era stata impugnata, ciò non era possibile in quanto tale distanza, ai sensi del terzo comma del medesimo articolo, può essere derogata solamente in presenza di piano particolareggiati o lottizzazioni che prevedano distanze inferiori. Per la Corte d’appello lo studio unitario d’ambito, citato quale strumento urbanistico ai fini della valutazione della liceità della deroga alle distanze, non poteva essere considerato tale. La sentenza del gravame e le motivazioni sulle quali era fondata sono state confermate anche in sede di legittimità. In particolare la Corte di Cassazione, sulla scorta di un proprio precedente del 2010, ha ricordato che in tema di distanze tra edifici, ove le costruzioni non siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione, la disciplina sulle relative distanze non è recata dall'ultimo comma dell'art. 9 d.m. n. 1444/1968, che consente ai Comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale, bensì dal primo comma dello stesso art. 9, quale disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 dicembre 2013 – 18 febbraio 2014, n. 3803 Presidente Triola – Relatore Scalisi Svolgimento del processo G.U. e S.A. , proprietari di un fabbricato sito in omissis , con atto di citazione del giugno 2002, convocavano in giudizio davanti al Tribunale di Torino la IPS Edilizia srl e il Condominio di corso omissis ed alcuni condomini ed esponevano che l’edificio costruito dalla società convenuta sul mappale 17 del foglio 45 poi costituito in condominio non era stato edificato nel rispetto delle distanze minime imposte dalle legislazione vigente. Chiedevano che i convenuti venissero condannati alla demolizione della porzione di immobile costruita a distanza inferiore di dieci metri dal loro edificio e nei confronti della società convenuta chiedevano anche il risarcimento dei danni. Si costituivano il Condominio e alcuni condomini, i quali contestavano la domanda degli attori e chiedevano un differimento di udienza al fine di proporre nei confronti della società IPS Edilizia srl domanda subordinata di manleva nel caso di accoglimento della domanda proposta degli attori. Il Giudice disponeva l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini ritenuti litisconsorti necessari. Alcuni si costituivano e chiedevano un differimento della prima udienza al fine di proporre domanda di manleva nei confronti della società IPS Edilizia srl in caso di accoglimento della domanda degli attori, ma non provvedevano nel termine assegnato. Si costituiva la società IPS Edilizia srl, chiedendo il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti. Il Tribunale di Torino, dopo aver dichiarato la contumacia dei condomini che non si sono costituiti con sentenza del 2005, respingeva le domande degli attori, ritenendo che nel caso in esame andava applicata la deroga prevista dall'art. 9 del DM 1444 del 1968 ultimo comma trattandosi di disposizioni previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di una determinata zona del territorio, chiarendo che l'adozione avvenuta, nel caso di specie, della trasformazione della zona per sub ambiti fosse paragonabile allo schema d trasformazione tramite piano esecutivo unitario e che la mancata sottoscrizione di uno studio unitario d'ambito da parte degli attori fosse irrilevante essendo sufficiente l'adesione dei proprietari del 75% degli immobili interessati. Condannava gli attori a rifondere le spese giudiziali alle parti in causa, condannava il condominio e i Condomini a rifondere alla società le spese della fase cautelare avendo essi presentato ricorso per sequestro conservativo respinto. Avverso tale decisione proponevano appello i sigg. G. e S. , lamentando che il Tribunale aveva ritenuto applicabile al caso in esame la deroga prevista dall'ultimo comma dell'art. 9 del DM 1444 del 1968. Si costituivano il Condominio e gli altri condomini chiedendo il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza di primo grado, proponendo appello incidentale per la non corretta interpretazione circa l'applicazione della normativa di cui all'art. 9 del DM n. 1444 del 1968. La Corte di Appello di Torino con sentenza n. 789 del 2006, accoglieva l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, condannava gli appellati a demolire quella parte di fabbricato sito in omissis , che era stata costruita a distanza inferiore di 10 metri dalla frontestante parete dell'edificio di proprietà, dei sigg. G. e S. . Accoglieva la domanda di manleva proposta nei confronti della società IPS Edilizia srl dal Condominio e da alcuni condomini. Condannava gli appellati a rifondere agli appellanti le spese giudiziali di entrambi i giudizi. Dichiarava inammissibile l'appello incidentale. Secondo la Corte torinese la deroga di cui all'art. 9 già citato, laddove consente di derogare alle distanze minime tra costruzioni solo nel caso di gruppi di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazione convenzionate con previsioni plano volumetriche, non era estensibile al caso in esame perché l'intervento di trasformazione edilizia veniva attuato, non mediante un piano particolareggiato e neppure mediante lottizzazione convenzionata, ma attraverso la previsione di due distinti strumenti urbanistici che per quanto inserito in uno Studio Unitario d'Ambito non era accompagnata da alcuna indicazione idonea a garantire la realizzazione di quel determinato assetto complessivo ed unitario della zona. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dal Condominio di corso OMISSIS e dai condomini D.G.F. , +Altri . I sigg. G.U. e S.A. hanno resistito con controricorso, illustrato con memoria depositata in prossimità dell'udienza del 13 febbraio 2013. I condomini A.G. , +Altri , regolarmente intimati in questa fase, non hanno svolto alcuna attività giudiziale. All'udienza del 13 febbraio 2013 questa Corte ha disposto l'integrazione del contraddittorio, entro 180 gironi dalla data odierna, nei confronti D.G. , +Altri , e ha invitato, con il termine di cui sopra, il Condominio di omissis a produrre delibera dell'assemblea condominiale, che ha autorizzato l'amministratore a stare in giudizio. In data 3 giugno 2013, l'avv. Contaldi ha depositato atto di integrazione del contraddittorio, e l'avv. Emanuele Gallo ha provveduto a depositare la delibera autorizzativa richiesta. In prossimità dell'udienza odierna il Condominio di omissis ha depositato memoria. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione di legge art. 360 n. 3 cpc. con riferimento al disposto dell'art. 9, ultimo comma del Decreto del Ministro dei Lavori pubblico, 2 aprile 1968 n. 1444 in relazione al disposto dell'art. 7 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Torino. Avrebbe errato la Corte torinese, secondo il ricorrente, nell'aver ritenuto applicabile, al caso in esame, la disciplina di carattere generale stabilita dall'art. 9 del DM n. 1444 del 1968 in relazione alle distanze minime tra fabbricati, ed, ad un tempo, nell'avere escluso che la deroga prevista nella seconda parte dell'ultimo comma dell'art. 9 fosse riferibile anche al caso in esame al caso in esame, atteso che l'edificio di proprietà dei ricorrenti era stato realizzato in attuazione di un Piano Esecutivo Convenzionato, che è uno strumento di attuazione del Piano regolatore Comunale del tutto assimilabile o al Piano particolareggiato o alla lottizzazione convenzionata, a sensi degli artt. 32 e 43 della legge urbanistica piemontese del 5 dicembre 1977 n. 56. Intanto, specifica il ricorrente la zona nella quale ricadono le proprietà delle parti in causa è definita dal PRG del Comune di Torino approvato nel 1995 come zona b e detta zona è qualificata dall'art. 15 delle Norme di attuazione del Piano Regolatore Generale zone urbane di trasformazione, le parti del territorio per le quali indipendentemente dallo stato di fatto sono previsti interventi di radicale ristrutturazione e di nuovo impianto. A sua volta l'art. 7 della norme di attuazione del Piano Regolatore generale prevede due possibilità di trasformazione alla lettera a la trasformazione unitaria e alla lettere b la trasformazione per sub ambiti. La trasformazione per sub ambiti è ammessa a condizione che l'amministrazione comunale approvi uno Studio Unitario che riguarda l'intero ambito o più ambiti qualora le schede ne prescrivono la trasformazione unitaria. Ora, avuto riguardo al caso di specie in ottemperanza all'art. 7 il Comune di Torino, sempre secondo i ricorrenti, aveva approvato lo Studio Unitario d'Ambito SUA ed aveva, altresì, stipulato la Convenzione programma. Dall'esame della SUA il territorio che qui interessa veniva distinto in due ambiti di cui l'ambito 1 era relativo a tutte le proprietà comprese nell'ambito eccetto la proprietà dell'attore e l'ambito 2, alla sola proprietà attorea. Veniva previsto che la trasformazione sarebbe avvenuta attraverso la presentazione di PEC Piano esecutivo convenzionato , corrispondente ai due ambiti in cui risultava distinto il territorio oggetto di controversia. Sicché, concludono i ricorrenti, nella fattispecie entrambi gli edifici per i quali è causa formavano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsione planivolumetriche così come stabilito nella seconda parte dell'ultimo comma dell'art. 9 del DM n. 1444 del 1968. 1.1.- La censura non coglie nel segno e non può essere accolta. La Corte torinese ha correttamente identificato la situazione di fatto sottoposta al suo esame, relativa alla distanza tra l'edificio dei sigg. G. e S. e l'edificio realizzato dalla società IPS Edilizia srl, ed, ad un tempo ha, correttamente, interpretato ed individuato la norma applicabile alla fattispecie esaminata. Pertanto, la sentenza impugnata non merita alcuna censura. 1.1.a .- Appare opportuno chiarire A che gli edifici oggetto della controversia sono collocati nella zona che il Piano Regolatore Generale del Comune di Torino contraddistingue con la lettera b . Detta zona è qualificata dall'art. 15 delle Norme urbanistiche di attuazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Torino NUEA tra quelle zone definite zone urbane di trasformazione le parti del territorio per le quali indipendentemente dallo stato di fatto sono previsti interventi di radicale ristrutturazione urbanistica e di nuovo impianto . Per tali zone l'art. 7 del NUEA prevede due possibilità di trasformazioni a una trasformazione unitaria e una trasformazione per sub ambiti. B che l'edificio dei sigg. G. e S. , non formava oggetto del piano di lottizzazione di cui faceva parte l'edifico realizzato dalla società IPS Edilizia srl. l'edificio del condominio , ma formava oggetto dello Studio Unitario d'Ambito SUA proposto al Comune di Torino dai danti causa degli attuali ricorrenti, approvato dall'Amministrazione comunale con delibera n. 278797 del 1997 ed era stata stipulata la Convenzione programmata. Il caso in esame, in particolare, integrava gli estremi di un'ipotesi di trasformazione sub ambiti. 1.1.b .- A questa situazione di fatto va riferita - come bene ha chiarito la Corte torinese, la normativa di cui all'art. 9 del DM n. 1444 del 1968 laddove stabilisce, per quanto qui può interessare, che la distanza minima assoluta tra fabbricati per le zone territoriali omogenee diverse dalla zone A e dalla zona C dovrà essere quella di mi. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Tuttavia, la stessa norma nell'ultima parte dell'ultimo comma prevede che sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche . Pertanto, posto che gli edifici oggetto della controversia, nominalisticamente, e come già si è detto, non facevano parte unitariamente di alcun piano particolareggiato, né di alcuna lottizzazione convenzionale, restava acquisito che, sic et simpliciter, la deroga prevista dall'art. 9, appena citato, non poteva essere estesa al caso in esame. D'altra parte, come ha già avuto modo di evidenziare questa Corte in altra occasione sent. n. 12424 del 2010 in tema di distanze tra edifici, ove le costruzioni non siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione, la disciplina sulle relative distanze non è recata dall'ultimo comma dell'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che consente ai Comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale, bensì dal primo comma dello stesso art. 9, quale disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva. 1.1.c .- Un primo ed essenziale esame della questione oggetto della controversia, comportava, dunque, di dover ritenere che la distanza dall'edificio realizzato dalla società IPS Edilizia srl. l'edificio del condominio , doveva rispettare era quella di ml. 10 dalla parete dell'edificio degli originari attori, così come previsto in via generale dall'art. 9 più volte citato. 1.2.- Tuttavia, residuava l'ulteriore verifica e cioè se lo Studio Unitario d'Ambito SUA e la Convenzione Programma, relativi al territorio comunale cui appartengono entrambi gli edifici oggetto della controversia, potevano essere equiparati per analogia, ad un piano particolareggiato o ad una lottizzazione convenzionata. Sennonché, l'equiparazione, astrattamente ipotizzabile, non è concretamente sostenibile essenzialmente perché, tenuto conto della normativa di cui all'art. 32 della Legge urbanistica Piemontese n. 56 del 1977, lo Studio Unitario d'Ambito non è uno strumento urbanistico esecutivo al pari della lottizzazione convenzionata o del piano particolareggiato, cui fa riferimento l'ultima parte dell'ultimo comma dell'art. 9 del DM n. 1444 del 1968, ma è un programma da tradurre successivamente in un atto di pianificazione secondaria, ovvero, in uno strumento urbanistico esecutivo. Come bene afferma la Corte di merito, nel caso in esame, lo Studio Unitario d'Ambito non poteva essere assimilato alla lottizzazione convenzionata o ad un piano particolareggiato, anche perché la Convenzione programma non individuava neppure gli strumenti idonei a garantire l'attuazione completa dell'auspicata trasformazione della zona, tanto è vero che la relazione illustrativa dello Studio Unitario d'Ambito specificava che la trasformazione del sub ambito 2 sarebbe avvenuta sempre per mezzo di PEC e di Concessione. E di più, ad ulteriore conferma dell'esclusione dell'assimilazione dello Studio Unitario d'Ambito ad un piano particolareggiato o ad una lottizzazione convenzionata, la Corte torinese ha avuto modo di chiarire che le misure idonee ad assicurare l'azione coordinata per garantire la progressiva attuazione degli interventi e la complessiva trasformazione dell'ambito 2, nel caso in esame, non esistevano proprio, perché in relazione al sub-. ambito 2, la Convenzione Programma, non poteva che limitarsi a prendere atto che la trasformazione non era prevedibile, né che avvenisse, né quando, perché l'area era attualmente occupata da residenza ed attività artigianali. 1.3.- Correttamente, infine, la Corte torinese ha escluso anche che, nel caso in esame, sussistessero le condizioni perché il Comune potesse esercitare i poteri che gli venivano attribuiti dall'art. 46 della legge regionale 56/77 e, cioè intervenire per assicurare la completa trasformazione dell'ambito territoriale di cui si dice, nella sua interezza, e/o del sub-ambito 2. atteso che a monte mancavano gli strumenti urbanistici per l'attuazione dei quali il Comune avrebbe dovuto procedere alla delimitazione dei comparti costituenti unità di intervento. 2.- Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione di legge art. 360 n. 3 e 4 cpc. con riferimento al disposto degli artt. 342 e 346 cpc. Avrebbe errato la Corte torinese, secondo i ricorrenti, nell'aver dichiarato inammissibile l'appello incidentale da essi proposto avverso la sentenza del Tribunale di Torino, laddove disapplicava la norma di cui all'art. 2 punto 25 della NUEA del Piano regolatore della Città, che limitava la prescrizione della distanza minima di mt. 10 all'ipotesi in cui gli edifici si fronteggiavano per uno sviluppo superiore a mt. 12, perché formulato, riproponendo gli argomenti già esposti in primo grado e senza un'autonoma critica delle argomentazioni dedotte in contrario dal Tribunale di Torino, atteso che, essendo l'appello un gravame rinnovatorio, può consistere nella riproposizione delle domande formulate in primo grado. 2.1- Il motivo è infondato. Corretta è la decisione della Corte di Appello di Torino laddove ha dichiarato inammissibile l'appello incidentale che si limitava a ripetere quanto sostenuto in primo grado trascurando di considerare la motivazione contenuta nella sentenza impugnata atteso che l’art. 342 cod. proc. civ. al fine di individuare l'oggetto della domanda d'appello e stabilire l'ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata – impone all'appellante di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza di primo grado, accompagnandole con argomentazioni che confutino e contrastino le ragioni addotte dal primo giudice, così da incrinarne il fondamento logico - giuridico. 2.1.a .- Come hanno precisato le Sezioni Unite di questa Corte ai fini della specificità dei motivi richiesta dall'art. 342 cod. proc. civ., l'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell'appello, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice Cass. SSUU. n. 28057 del 25/11/2008 e ribadita da Cass. n. 25218 del 29/11/2011 . 3.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione di legge art. 360 n. 3 cpc con riferimento al disposto dell'art. 9 del Decreto del Ministro dei Lavori pubblico, 2 aprile 1968 n. 1444 in relazione al disposto dell'art. 2 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Torino. Secondo i ricorrenti, ove fosse accolto il secondo motivo, questa Corte potrebbe decidere direttamente in ordine all'applicazione della normativa di cui all'art. 2 del Piano Regolatore Generale della città di Torino. 3.1.- Il motivo rimane assorbito dal precedente. In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti condannati in solido al pagamento delle spese giudiziali del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, a favore degli intimati costituiti, che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.