Arretramenti e servitù di passaggio: il modo di domandare incide sulla risposta del giudice

In tema di rispetto delle distanze tra costruzioni la richiesta di riesame dell’ordine di arretramento e/o di demolizione di un manufatto dev’essere considerato implicito se la parte appellante aveva domandato un riesame della sentenza proprio nella parte riguardante le norme sulle distanze.

Questa, in breve, la decisione presa dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 28349 del 18 dicembre 2013. Non solo per gli ermellini è legittimo non pronunciarsi su una possibile costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia se la domanda giudiziale è tesa a far riconoscere l’esistenza di una servitù negoziale. Il caso . I proprietari di due fondi finitimi, originariamente appartenuti ad un’unica persona, iniziavano a litigare per la violazione delle distanze tra costruzioni. L’attore promuoveva il giudizio per ottenere una serie di risultati sostanzialmente tesi a veder demolita o comunque arretrata una costruzione e le relative luci e vedute aperte sul suo fondo. Il convenuto si difendeva chiedendo a sua volta la demolizione o l’arretramento di alcuni fabbricati attorei. Le domande venivano rigettate in primo grado e la sentenza impugnata veniva confermata dalla Corte d’appello. I giudici del gravame, però, pur riconoscendo alcune variazioni rispetto alle date di edificazione di vari immobili oggetto del contendere rilevanti ai fini dell’applicabilità o meno dei regolamenti locali sulle distanze non ne traevano tutte le debite conseguenze, a loro dire, per mancanza di impugnazione di alcuni capi della sentenza. L’originario attore decideva di ricorrere in Cassazione. La domanda s’intende estesa a tutto ciò che ne discende direttamente . Esiste una regola, contenuta nell’art. 112 c.p.c., sintetizzata nel principio corrispondenza tra chiesto e pronunciato”. Tale regola vale anche in appello ed è espressa dal brocardo tantum devolutum quantum appellatum . Secondo il ricorrente questa regola era stata violata nel giudizio d’appello. Non era vero che egli non aveva chiesto il riesame della sentenza di primo grado per quanto riguardava l’ordine di demolizione del suo fabbricato. Tale richiesta, anche se non espressa chiaramente, era da ritenersi comunque formulata in ragione del fatto che con l’appello s’era censurata la pronuncia di primo grado relativamente alla pretesa violazione delle distanze nelle costruzioni. Gli ermellini hanno dato ragione al ricorrente. Si legge in sentenza che il principio tantum devolutum quantum appellatum preclude al giudice di appello 1’indagine sui punti della sentenza di primo grado non direttamente investiti dal gravame, ma solo in quanto essi non siano compresi nel thema decidendum neanche per implicito, perché non necessariamente connessi con i temi censurati sicché non viola tale principio il giudice di appello che fondi la propria decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall'appellante, tuttavia appaiano, nell'ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi di gravame, costituendone necessario antecedente logico e giuridico . In questo contesto è evidente che se in appello si chiede esplicitamente una pronuncia sulla legittimità, in termini di distanze, di una costruzione – legittimità poi ritenuta sussistente – è implicito che a questa domanda sia strettamente connessa quella di revisione della sentenza di primo grado che aveva disposto la demolizione del fabbricato medesimo. C’è servitù di passaggio? La sentenza in esame, si diceva, è andata a valutare anche un’altra vicenda su cui le parti litigavano. Per il ricorrente la servitù di passaggio, di cui in primo grado ed in appello era stata negata l’esistenza, doveva essere considerata esistente, invece, perché costituitasi per destinazione del padre di famiglia, sicché nei giudizi di merito e nello specifico nella sentenza impugnata s’era errato nel tralasciare questo aspetto. La Corte di legittimità ha ritenuto infondate queste doglianze. Motivo? Il ricorrente aveva si chiesto che venisse dichiarata l’esistenza di una servitù ma lo aveva fatto avendo riguardo alla servitù convenzionale che è cosa ben diversa da quella costituitasi per destinazione del padre di famiglia né v’era traccia, hanno chiosato i giudici di legittimità sul punto, che ciò sia stato fatto nei precedenti gradi di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 14 novembre - 18 dicembre 2013, numero 28349 Presidente Triola – Relatore Migliucci Svolgimento del processo F.A. esponeva di essere proprietario di un fondo in omissis limitrofo ad altro di proprietà di B.R. , che in epoche diverse aveva realizzato un edificio a due piani fuori terra con copertura a terrazza, il piano terra risaliva al 1974 ed il primo piano al 1982 il piano di fabbricazione del Comune di Monreale approvato con DA numero 47 del 20/2/71 imponeva la distanza di metri sei dei fabbricati dal confine, mentre il PRG approvato con DA numero 213 del 9/8/80 quella di metri 7,50 la predetta aveva anche aperto vedute dirette ed oblique sul suo fondo, collocato tubi d'acqua e di scarico a distanza illegale, nonché, realizzato una scala esterna occupando una porzione di terreno attoreo, addossato un terrapieno al muro di recinzione costruito dall'attore. Ciò premesso, conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Palermo la B. ai fine di ottenerne la condanna a demolire o arretrare alla distanza di sei metri dal confine il piano terra, e a demolire o arretrare alla distanza di metri 7,50 il primo piano in subordine, ad eliminare tutte le vedute dirette ed oblique nonché a demolire la scala nel tratto in cui la stessa insisteva sul terreno attoreo, ad arretrare alla distanza legale le tubazioni e a liberare il muro di recinzione dal sovrastante terrapieno. Si costituiva la convenuta, deducendo che il proprio edificio era stato realizzato nel 1974, epoca nella quale il Comune di Monreale era sprovvisto di strumento urbanistico quindi, il PRG approvato nel 1980 non poteva trovare applicazione nel caso di specie che la lamentata violazione delle distanze legali, si fondava su una pretesa linea di confine tra i due fondi diversa da quella reale. Pertanto, chiedeva il rigetto delle domande in via riconvenzionale, instava per la condanna del F. a demolire o arretrare alla distanza di metri 7,50 dal confine la costruzione composta da seminterrato e piano rialzato, ad eliminare le vedute, a restituire una porzione di terreno della B. , ad arretrare i tubi, e ad astenersi dal transitare con mezzi meccanici su una stradella insistente nel fondo della convenuta, non gravato da alcuna servitù di passaggio a favore del fondo attoreo. Con sentenza del 18 giugno 1999 il tribunale rigettava le domande proposte dall'attore condannava l'attore ad arretrare la sua costruzione a metri 7,50 dal confine dichiarava che il fondo B. non era gravato da servitù di passaggio. Secondo il primo Giudice, non esistendo costruzioni frontistanti, la convenuta, quale preveniente aveva legittimamente costruito sul confine, posto che all'epoca 1974 dovevano trovare applicazione le distanze previste dal codice civile mentre invece il F. aveva realizzato il fabbricato quando era entrato in vigore 1980 il piano regolatore che prevedeva la distanza dal confine di metri 7,50. Con sentenza dep. il 28 dicembre 2006 la Corte di appello di Palermo confermava la decisione impugnata dal F. . La sentenza premetteva che l'attore aveva acquistato con atto del 24-5-1970 da A.M. uno spezzone di terreno sul quale esisteva una casetta rurale composta da due elevazioni e che la B. aveva ricevuto in donazione nel 1974 dalla madre A.F. uno spezzone di terreno di mq. 5,15 e nell'1984 le restanti are 11,65 e che detti terreni facevano parte di unico terreno appartenuto a A.S. che lo aveva donato alle figlie C. , M. e F. , C. avrebbe poi donato le sue quote alle sorelle. Quindi, a stregua della consulenza disposta in sede di appello, ha accertato che, in base alle aerofotogrammetrie, ancora nel 1973 esisteva la casetta rurale dell'attore e che nel 1978 erano visibili sia il fabbricato realizzato dalla convenuta sia l'immobile ristrutturato e ampliato dell'attore, entrambi sul confine. Dalla prova espletata era emerso che l'immobile era stato costruito dalla convenuta nel 1974, essendo la contraria dichiarazione del teste N. smentita dalle aerofotogrammetrie per quel che riguardava il fabbricato dell'attore, l'epoca dell'ampliamento non era certa ma esso esisteva nel 1978. Al momento della realizzazione dell'edificio da parte della B. trovava applicazione l'articolo 873 cod. civ. posto che, secondo il programma di fabbricazione vigente nelle zone interessate, non erano previsti distacchi dal confine ma solo fra costruzioni pertanto, in virtù del principio di prevenzione, era da ritenersi legittima la costruzione realizzata dalla convenuta. Per quanto riguardava il rigetto delle domande di condanna della convenuta alla eliminazione delle vedute, alla rimozione dei tubi e del terrapieno, l'appello non conteneva alcuna specifica censura. Non era stato impugnato il capo della sentenza che aveva condannato l'attore ad arretrare il manufatto a metri 7,50 dal confine. Per quel che concerneva la invocata servitù di passaggio, i Giudici ritenevano che negli atti di provenienza e di acquisto del terreno venduto all'attore di essa non era fatta alcuna menzione, mentre non era stata mai proposta una domanda di acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia. 2. - Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il F. sulla base di sette motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso l'intimata. Motivi della decisione 1.1. - Il primo motivo, lamentando violazione dell'articolo 102 in relazione all'articolo 177 lett. a denuncia la non integrità del contraddittorio nei confronti del coniuge del F. la quale, in virtù del matrimonio celebrato nel 1966 e del regime patrimoniale della famiglia, era divenuta proprietaria dell'immobile oggetto della statuizione di condanna. 1.2.- Il motivo è infondato Nella specie, l'attore aveva acquistato il terreno su cui era ubicata la casetta rurale con atto del 1970. Ai sensi del secondo comma dell'articolo 228 legge numero 151 del 1975, in relazione ai beni acquistati dai coniugi anteriormente alla entrata in vigore della presente legge, occorre uno specifico atto con cui i coniugi convengano di assoggettarli al regime della comunione legale, mentre il primo comma della norma citata prevede l'automatico assoggettamento alla comunione soltanto di quelli acquistati successivamente all'entrata in vigore della legge in mancanza di contraria volontà che sia intervenuta nel periodo transitorio di due anni dalla entrata in vigore della legge stessa. Nella specie, non è stato allegato che i coniugi avessero compiuto un atto con cui avessero convenuto l'assoggettamento dei beni alla comunione legale, avendo in realtà il ricorrente sostenuto l'automatico assoggettamento alla comunione legale. Peraltro, anche nelle ipotesi in cui i coniugi, ai sensi dell'articolo 228 della legge numero 151 del 1975, abbiano optato per il regime della comunione legale pure per i beni acquistati dopo il matrimonio ma prima dell'entrata in vigore della predetta legge, trova applicazione il principio secondo cui la costruzione realizzata, in costanza di matrimonio, su suolo di proprietà personale ed esclusiva di uno dei coniugi appartiene solo a costui in virtù delle disposizioni generali sull'accessione, e, quindi, non costituisce oggetto della comunione legale, ai sensi dell'articolo 177, primo comma, cod. civ. e ciò salvo contrario accordo dei coniugi, impediente l'accessione della costruzione al suolo, quale quello costitutivo del diritto di superficie che, però, deve precedere necessariamente l'edificazione della costruzione, operando l'accessione ipso iure . 2.1. - Il secondo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 cod. proc. civ., censura la sentenza laddove aveva erroneamente ritenuto che non era stato oggetto di impugnazione l'ordine di abbattimento fino alla distanza di metri 7,50 quando dal complessivo esame del motivo di gravame emergeva che era stata chiesta la riforma in toto della sentenza impugnata ed era stata evidenziata la legittimità della costruzione dell'attore in quanto preesistente a quella della B. . Denuncia quindi sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo che la sentenza non aveva esaminato le ragioni proposte con l'atto di appello che, essendo volte a censurare l'impianto logico motivazionale della decisione di primo grado, conteneva necessariamente la volontà di impugnare il capo della sentenza di cui si discute. 2.2. -Il motivo è fondato. Il principio tantum devolutum quantum appellatum preclude al giudice di appello l'indagine sui punti della sentenza di primo grado non direttamente investiti dal gravame, ma solo in quanto essi non siano compresi nel thema decidendum neanche per implicito, perché non necessariamente connessi con i temi censurati sicché non viola tale principio il giudice di appello che fondi la propria decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall'appellante, tuttavia appaiano, nell'ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi di gravame, costituendone necessario antecedente logico e giuridico. Dal complessivo esame del motivi di gravame risulta che comunque l'appellante aveva dedotto la non applicabilità dello strumento urbanistico del 1980 applicato dal tribunale sul rilievo che la costruzione sarebbe stata realizzata nel 1981 e in virtù del quale era stato poi ordinato l'arretramento fino a metri 7,50 la sentenza ha ritenuto la non applicabilità dello strumento urbanistico del 1980 avendo escluso che fosse stata raggiunta la prova che l'immobile sarebbe stato costruito dopo il 1978. La revoca dell'ordine di abbattimento era consequenziale alle doglianze che ne costituivano la necessaria premessa logico-giuridica ed erano finalizzate proprio per eliminare quello che era il provvedimento pregiudizievole per l'attore. 3.1. - Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 cod. proc. civ. nonché omessa e insufficiente motivazione, censura la sentenza laddove aveva omesso di esaminare la domanda relativa alla rimozione dei tubi e 1^eliminazione della servitù di veduta, espressamente ribadita nelle conclusioni dell'atto di appello con il quale erano state richiamate le domande e tutte le difese proposte in primo grado e si era chiesta la totale riforma della decisione del tribunale del resto, al riguardo era stato posto uno specifico quesito al C.t.u 3.2. - Il motivo è infondato. Affinché un capo di sentenza possa ritenersi validamene impugnato non è sufficiente che nell'atto d'appello sia manifestata una volontà in tal senso, ma è necessario che sia contenuta una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico S.U.23299/2011 . Pertanto, il mero richiamo alle domande e alle difese di primo grado compiuto con l'atto di appello integrava violazione del principio di specificità dei motivi di appello. 4.1. - Il quarto motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell'articolo 873, del decreto assessoriale numero 213 del 1980 del Comune di Monreale nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza laddove aveva ritenuto che la convenuta avesse costruito per prima quando, secondo quello che era stato accertato dal consulente nominato in appello, nel 1973 preesisteva la casetta rurale acquistata dall'attore e la B. ancora non aveva realizzato il suo manufatto. La B. non avrebbe potuto invocare il diritto di prevenzione, mentre era del tutto irrilevante stabilire la data in cui l'attore avrebbe ampliato la sopraelevazione della casetta rurale già composta di un piano terra e di una sopraelevazione. Era ancora risultato che la casetta rurale esisteva nella sua consistenza originaria per cui la Corte non avrebbe potuto confermare la decisione di primo grado che aveva ritenuto la costruzione realizzata nel 1980 ordinandone l'abbattimento a metri 7,50 secondo la normativa sopravvenuta. 4.2. - Il motivo va accolto nei limiti di cui si dirà infra. La sentenza, dopo avere accertato che la costruzione della convenuta era stata realizzata nel 1974, ha ritenuto che non potesse essere stabilita la data in cui era stato edificato l'ampliamento dell'originaria casetta rurale di proprietà dell'attore, quest'ultima, peraltro, esistente quanto meno già nel 1973 comunque, il suddetto ampliamento era già avvenuto nel 1978 alla epoca della costruzione delle opere realizzate dalle parti nella zona interessata trovavano applicazione le norme di cui all'articolo 873 cod. civ. in virtù del criterio della prevenzione legittima era la costruzione della convenuta, che aveva costruito per prima. Orbene, al fine di stabilire il legittimo esercizio del diritto di costruire da parte del preveniente ovvero di individuare la parte che ebbe a costruire per prima, la sentenza avrebbe dovuto stabilire la data dell'ampliamento dell'originaria casetta rurale, realizzato dall'attore e, nel caso in cui tale accertamento non fosse stato possibile, adeguatamente indicare le ragioni di siffatta conclusione. Al riguardo, invece, la motivazione è carente in quanto la sentenza, limitandosi a fare riferimento alla situazione dei luoghi raffigurata nelle aerofotogrammetrie acquisite negli anni ai quali queste si riferivano, ha affermato che non era certa l'epoca della costruzione, senza compiere alcuna indagine che avesse consentito di risalire alla effettiva epoca di costruzione o di spiegare le ragioni per le quali siffatta indagine avrebbe avuto esito negativo. Peraltro, non può ritenersi, come sostiene il ricorrente, che la data di ampliamento sarebbe irrilevante, comunque preesistendo la casetta rurale rispetto alla data della costruzione realizzata della convenuta. Occorre qui chiarire che il preveniente, il quale abbia ristrutturato ampliando la originaria fabbrica, dando cosi luogo a una nuova costruzione - non può invocare la legittimità dell'opera deducendo di avere costruito per primo nell'esercizio delle facoltà a lui spettanti in virtù del principio della prevenzione quando il prevenuto abbia nel frattempo costruito, presupponendo il criterio della prevenzione la inedificazione dei fondi in tal caso, dovrà rispettare le distanze previste dall'articolo 873 cod. civ. o quelle degli strumenti urbanistici nel frattempo intervenuti . Orbene, i Giudici - pur avendo escluso che potesse trovare applicazione lo strumento urbanistico entrato in vigore nel 1980 - hanno confermato la decisione di primo grado laddove il tribunale aveva ritenuto applicabile alla costruzione dell'attore la distanza di metri 7,50 dal confine prevista da tale strumento urbanistico quando, come si è detto, la sentenza di appello ha accertato l'ultimazione dell'opera da parte dell'attore nel 1978 il che avrebbe dovuto escludere l'applicabilità alla costruzione dell'attore della distanza di metri 7,50 dal confine. 5.1.- Il quinto motivo, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, censura il giudizio di inattendibilità del teste N. in merito alla realizzazione del fabbricato B. , quando il medesimo era stato l'esecutore materiale dei lavori. 5.2.- Il motivo è infondato. Il giudizio sull'attendibilità o meno del teste attiene a un accertamento di fatto, che non è censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione da cui la sentenza è immune nella specie, la sentenza ha evidenziato che le dichiarazioni del teste N. erano contraddette dalla documentazione rappresentativa dello stato dei luoghi. 6.1. Il sesto motivo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione censura la decisione laddove aveva escluso la esistenza della servitù di passaggio, quando il ctu aveva accertato la presenza della stradella sin dal 1963 ovvero all'epoca dell'atto di divisione da A.S. alle figlie e dunque ancor prima del trasferimento della proprietà del fondo all'attore pertanto, la stradella esisteva allorquando la B. l'aveva ricevuta in donazione dalla madre per essere stata costituita per destinazione del padre di famiglia. La sentenza aveva omesso di esaminare la circostanza della esistenza della stradella già menzionata negli atti di causa fin dal 1963 sebbene non fosse indicata nella compravendita del F. . 6.2. Il motivo è infondato. Qui occorre innanzitutto chiarire che la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia - che è fattispecie non negoziale e postula la presenza di opere visibili e permanenti destinate all'esercizio della servitù - presuppone l'originaria appartenenza di due fondi o porzioni del medesimo fondo ad un unico proprietario, il quale abbia posto gli stessi, l'uno rispetto all'altro, in una situazione di subordinazione idonea ad integrare il contenuto di una servitù prediale e che, all'atto della loro separazione, sia mancata una manifestazione di volontà contraria al perdurare della relazione di sottoposizione di un fondo nei confronti dell'altro. La servitù convenzionale trova fonte nel titolo contratto o testamento con il quale sia stata espressamente prevista dalla volontà negoziale la costituzione di un peso gravante su un fondo servente per la specifica utilità di altro fondo dominante . Nella specie, la sentenza ha, da un lato, escluso il titolo convenzionale di costituzione della servitù, avendo verificato che neppure nell'atto di divisione oltre che nell'atto di acquisto dell'attore la servitù era indicata in proposito la censura è assolutamente generica in quanto avrebbe dovuto specificare - con riferimento alle previsioni dell'atto di divisione - che le parti avevano previsto il diritto di servitù di passaggio con la precisa indicazione del fondo dominante, a favore del quale era destinata, e di quello servente sul quale gravava, dovendo qui chiarirsi che la circostanza di fatto relativa alla esistenza della stradella poteva assumere rilievo sotto il profilo dell'acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia ma non evidentemente sul piano della costituzione negoziale d'altre parte, i Giudici hanno escluso che sia stata proposta una domanda di acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia tale affermazione non risulta specificamente censurata dal ricorrente che avrebbe dovuto allegare di avere formulato ritualmente tali domande nel giudizio di merito. 7.1.- Il settimo motivo denuncia la erronea riforma compiuta dai Giudici di appello della sentenza di primo grado laddove aveva compensato le spese processuali, poste dalla decisione impugnata a carico dell'attore. 7.2.- Il motivo è assorbito la cassazione anche parziale della sentenza comporta la caducazione della statuizione accessoria e consequenziale all'esito della lite relative alla regolamentazione delle spese processuali. Pertanto, vanno accolti il secondo e il quarto motivo, per quanto in motivazione, del ricorso e rigettati il primo, il terzo, il quinto e il sesto, mentre è assorbito il settimo la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Palermo. P.Q.M. Accoglie il secondo e il quarto motivo, per quanto in motivazione, del ricorso, rigetta il primo, il terzo, il quinto e il sesto, assorbito il settimo cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.