Cancello da sostituire, chi paga? È l’improponibilità dell’appello a chiudere la questione

La sostituzione del cancello è una spesa troppo gravosa e voluttuaria, ma l’improponibilità dell’appello chiude la faccenda.

È questo il caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 28198/13, depositata il 17 dicembre scorso. Il caso. Una spesa complessiva di 1017,60 euro, da ripartirsi secondo le tabelle millesimali, per la sostituzione del motoriduttore per il cancello a battente, nonché la riparazione del cancello in ferro con la sostituzione dei cardini. Questo è quanto deciso in assemblea condominiale, ma 2 condomini non ci stanno e impugnano la delibera, rilevando la natura voluttuaria e la gravosità della spesa, in quanto sarebbe stata sufficiente una semplice riparazione. Non solo. Infatti, gli stessi ritengono illegittimo il riparto secondo le tabelle millesimali, a carico dei soli condomini, senza la partecipazione del proprietario di un immobile confinante, a favore del quale sussisteva una servitù di passaggio, il cui esercizio comportava l’uso del cancello in questione. È la proponibilità dell’appello il nodo della questione. I Giudici di Cassazione si sono espressi, però, sulla proponibilità dell’appello. Infatti – affermano - il palese sconfinamento dai limiti del petitum in cui incorse il giudice adito, coinvolgendo nella decisione anche il terzo non partecipante al giudizio, laddove avrebbe dovuto limitarsi ad una pronunzia di annullamento della deliberazione impugnata, non poteva comportare l’ammissibilità dell’appello, costituendo comunque la decisione, sebbene debordante dai relativi limiti, una sentenza emessa dal giudice nell’ambito di un giudizio soggetto a cognizione equitativa ex art. 113 c.p.c. pronuncia secondo diritto , come tale soggetta, all’epoca prima dell’entrata in vigore delle modifiche apportate all’art. 339 c.p.c. appellabilità delle sentenze dal d.lgs. n. 40/2006 , soltanto al ricorso per cassazione, mentre il terzo avrebbe potuto, a sua volta, proporre ex art. 404 c.p.c. casi di opposizione di terzo contro le statuizioni che indebitamente lo avevano coinvolto .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 novembre – 17 dicembre 2013, n. 28198 Presidente Triola – Relatore Piccialli Svolgimento del processo Con atto di citazione del 16.3.2005, S.D. , F. e A. , condomini del omissis , convennero al giudizio del locale Giudice di Pace il condominio omonimo,impugnando la deliberazione assembleare del 12.2.2005, nella parte in cui aveva deciso la sostituzione del motoriduttore per il cancello a battente, nonché la riparazione del cancello in ferro con la sostituzione dei cardini e quant'altro occorrente”, per una spesa di complessivi Euro 1017,60,da ripartirsi secondo le tabelle millesimali. A sostegno dell'impugnativa gli attori deducevano la natura voluttuaria e la gravosità della spesa, in quanto sarebbe stata sufficiente una semplice riparazione, e l'illegittimità del relativo riparto secondo le tabelle millesimali, a carico dei soli condomini, senza la partecipazione del proprietario di un immobile confinante, a favore del quale sussisteva una servitù di passaggio, costituita con atto pubblico del 1.2.1989, il cui esercizio comportava l'uso del cancello in questione. Si costituiva il condominio, in persona del suo amministratore S.G. , il quale peraltro era anche il proprietario dell'immobile dominante di cui alla suddetta servitù, ed eccepiva l'incompetenza per valore del giudice adito,contestando nel merito la fondatezza della domanda. Con sentenza dei 29.12.2005-11.1.2006 il Giudice di Pace, in accoglimento della domanda, annullò la delibera impugnata, disponendo che la spesa in questione avrebbe dovuto essere nuovamente ripartita, tenendo conto delle quote di pertinenza dell'immobile adiacente al condominio, salvo rinuncia da parte del proprietario S.G. e condannò quest'ultimo personalmente, in solido con il condominio, al pagamento delle spese in favore degli attori. Tale sentenza venne impugnata congiuntamente sia dal condominio, in persona del suo amministratore pro-tempore, sia da S.G. , ribadendo l'eccezione di incompetenza per valore, quella di non integrità del contraddittorio nei confronti degli altri condomini, deducendo il vizio di ultrapetizione e l'indebita condanna alle spese di un soggetto non partecipante al giudizio. Al gravame resistevano gli appellati, eccependo l'inappellabilità della sentenza ex art. 339 co. 2 c.p.c. in quanto pronunziata secondo equità e, comunque, la correttezza nel merito della decisione,tranne che sulla condanna personale di S.G. , chiedendone anche essi, in via incidentale, l’eliminazione. Con sentenza dell'11/25.7.2007 il Tribunale di Cosenza,accogliendo la preliminare eccezione degli appellati, sul rilievo che il valore della lite della lite era di Euro 1017,60, pari all'importo della spesa controversa, e dunque compresa nella cognizione equitativa del G.d.P. dichiarava l'appello principale improponbile , quello incidentale assorbito e compensava le spese. Avverso tale sentenza hanno proposto congiunto ricorso per cassazione il condominio e S.G. deducendo due motivi. Non hanno resistito gli intimati S.D. , A. e F. . Motivi della decisione Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 23, 24, 25 1 co., 111 6 co Cost. 339, 10, 38, 91, 99, 113, 114, 110, 112 e 404 c.p.c. dei principi e della norme del procedimento e che regolano la materia ,contestando la dichiarazione di improponibilità dell'appello e la conseguente condanna alle spese ribadendo anzitutto le censure esposte nel gravame e sostenendo che la causa avrebbe ecceduto i limiti della cognizione equitativa del Giudice di Pace, sia perché le questioni dedotte, segnatamente l'accertamento di una servitù a carico del condominio ed a favore del fondo di un terzo,con le connesse pretese di modificare le tabelle condominiali e di imporre una prestazione patrimoniale ad un terzo, avrebbero comportato il superamento della competenza per valore della causa, sia perché la stessa pronunzia, eccedente i limiti della domanda, emessa dal G.d.P. avrebbe travalicato i limiti in questione,comportando l'ultroneo decisum la competenza per valore del tribunale. Si soggiunge che il terzo indebitamente coinvolto nella stessa avrebbe potuto scegliere tra il rimedio oppositivo di cui all'art. 404 c.p.c. e l'appello, conseguentemente lamentando che la declaratoria di inammissibilità di quest'ultima impugnazione,comportante la formazione del giudicatoci sarebbe tradotta in ingiusta preclusione alla proposizione dell'opposizione di terzo. Sotto tale ultimo profilo si prospetta anche il contrasto delle citate norme processuali,ove interpretate nei termini di cui alla decisione impugnata, con le norme costituzionali indicate nell'articolazione del mezzo. Con il secondo motivo si deduce insufficiente ed omessa motivazione su punto decisivo della controversia, ribadendo la tesi, che non sarebbe stata presa in considerazione dal tribunale,secondo cui la domanda attrice deducente l'esistenza di una servitù a favore di fondo estraneo al condominio e la connessa pretesa di dividere la spesa coinvolgendo un terzo,implicando la richiesta di revisione delle tabelle millesimali,in quanto di valore indeterminato,avrebbe comportato il superamento non solo della cognizione equitativa, ma anche della competenza del Giudice di Pace. I due motivi, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione e la parziale ripetitività delle censure,non meritano accoglimento. Premesso che ai sensi dell'art. 10 c.p.c. il valore della causa ai fini della competenza, e così analogamente ai fini dell'eventuale adottabilità di una decisione secondo equità ai sensi dell'art. 113 co. 2 c.p.c., si determina ex ante in base alla domanda, vale a dire in considerazione della rilevanza economica, calcolata secondo le disposizioni successive, delle richieste formulate nell'atto introduttivo del giudizio, non anche, ex post, tenendo conto dal valore delle statuizioni emesse dal giudice nella sentenza, va anzitutto respinta la tesi dei ricorrenti, secondo cui il giudice di secondo grado, al fine di stabilire se l'appello fosse ammissibile o meno ai sensi dell'art. 339 c.p.c, avrebbe dovuto tener conto del decisum, dovendo invece a tal fine procedersi soltanto alla valutazione del petitum, secondo i criteri dettati dalle citate norme di rito. Ciò posto,dall'esame reso necessario dalla natura processuale delle censure dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado citazione notificata il 18.3.04 , si rileva che gli attori, dedussero quale motivo di illegittimità dell'impugnata deliberazione assembleare del 12.2.2005, oltre alla natura voluttuaria e alla gravosità della deliberata spesa di Euro 1.017,60, la mancata considerazione che il cancello a battente in questione atteneva ad un passaggio di cui usufruiva iure servitutis anche il vicino S.G. , ragion per cui la ripartizione secondo la tabella millesimale sarebbe stata ingiusta,essendo tenuto a partecipare alla spesa anche detto vicino, salvo rinunzia al diritto anzidetto tuttavia, nelle conclusioni, gli attori si limitarono a chiedere la declaratoria di nullità o l’annullamento, previa sospensione, della deliberazione impugnata, senza proporre alcuna richiesta di modificazione della tabella millesimale, né di condanna del S. peraltro non evocato a contribuire alla spesa in questione. Tanto premesso,risulta evidente che l'esigenza di tener conto dell'utilità conseguita dal proprietario del vicino fondo servente,così come la stessa deduzione dell'esistenza di tale servitù,non venne dedotta quale capo di domandaci accertamento e/o di condanna, bensì al solo fine di evidenziare un ritenuto profilo di illegittimità della spesa e della relativa ripartizione deliberate dall'assemblea con l'atto impugnato, vale a dire in chiave di accertamenti meramente incidentali, non destinati a spiegare effetti di giudicato al di fuori dell'unico petitum, costituito dalla invalidazione della delibera assembleare. In siffatto contesto, nel quale il valore della controversia andava desunto da quello della spesa deliberata e contestataci palese sconfinamento dai limiti del petitum in cui incorse il giudice adito, coinvolgendo nella decisione anche il terzo non partecipante al giudizio, laddove avrebbe dovuto limitarsi ad una pronunzia di annullamento della deliberazione impugnata, non poteva comportare l'ammissibilità dell'appello, costituendo comunque la decisione,sebbene debordante dai relativi limiti, una sentenza emessa dal giudice nell'ambito di un giudizio soggetto a cognizione equitativa ex art. 113 c.p.c., come tale soggetta, all'epoca prima dell'entrata in vigore delle modifiche apportate all’art. 339 c.p.c dal Dlgs n. 40 del 2006 ,soltanto al ricorso per cassazione, mentre il terzo avrebbe potuto, a sua volta, proporre opposizione ex art. 404 c.p.c. contro le statuizioni che indebitamente lo avevano coinvolto. La possibilità di esperire gli anzidetti appropriati rimedi evidenzia, altresì,tenuto conto che nel vigente sistema la regola del doppio grado di merito del processo civile, come è stato ripetutamele chiarito dal Giudice delle Leggi, è priva di copertura costituzionale, la manifesta infondatezza delle subordinate e non meglio precisate questioni di costituzionalità proposte dai ricorrenti. Il ricorso va conclusivamente respinto. Nulla infine,sulle spese,in assenza di costituzione degli intimati. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.