Di chi è la terrazza contesa? Non basta invocare il dato testuale: è necessaria un’interpretazione funzionale degli atti di destinazione

In un contesto nel quale vi è contrasto in ordine alla proprietà di un bene a seguito di due successivi trasferimenti, al fine di individuare il legittimo proprietario, non è sufficiente invocare il mero dato testuale ma è necessario esaminare tutte le pattuizioni contenute nei negozi dispositivi, così da verificare la proprietà del bene anche in relazione all’assetto funzionale del bene stesso nell’ambito nel quale è inserito.

Con la pronuncia n. 25782 del 10 dicembre 2013, la Corte di Cassazione decide una singolare questione relativa alla proprietà di una terrazza inserita in un piccolo edificio, considerando che i meri riferimenti testuali contenuti negli atti di divisione dell’edificio nel quale è inserita la terrazza non fossero sufficienti ad attribuirne la proprietà, dovendo valutare complessivamente gli atti in questione anche relativamente all’assetto funzionale del bene stesso. Il caso . La questione decisa dalla sentenza in commento riguarda l’interpretazione di due atti di divisione per quanto concerne la proprietà di una terrazza condominiale. In primo grado, infatti, l’asserito titolare del bene chiedeva la rimozione di alcune opere eseguite su tale terrazza dalla di lui sorella che, a sua volta, proponeva domanda riconvenzionale rivendicando la proprietà esclusiva del bene, sul rilievo che, nell’atto di divisione, alla stessa il bene in questione era stato assegnato unicamente”. Detta interpretazione viene rigettata in primo e secondo grado, sul rilievo che il dato testuale doveva comunque essere integrato e letto sulla base del tenore complessivo degli atti invocati, dai quali emergeva, con chiarezza, l’attribuzione del bene all’attore in primo grado. Tale interpretazione viene confermata dalla Cassazione. Le regole per la interpretazione dei contratti . Le regole legali di ermeneutica contrattuale, e quindi, anche per quanto concerne gli atti di divisione amichevole che sono, in effetti, contratti, sono governate da un principio di gerarchia, in forza del quale i criteri degli artt. 1362 e 1363 c.c. prevalgono su quelli integrativi degli artt. 1365-1371 c.c., posto che la determinazione oggettiva del significato da attribuire alla dichiarazione non ha ragion d’essere quando la ricerca soggettiva conduca ad un utile risultato ovvero escluda da sola che le parti abbiano posto in essere un determinato rapporto giuridico ne consegue che l’adozione dei predetti criteri integrativi non può portare alla dilatazione del contenuto negoziale mediante l’individuazione di diritti ed obblighi diversi da quelli contemplati nel contratto o mediante l’eterointegrazione dell’assetto negoziale previsto dai contraenti, neppure se tale adeguamento si presenti, in astratto, idoneo a ben contemperare il loro interessi Come deve muoversi il giudice nell’interpretazione? Nell’interpretazione delle clausole contrattuali il giudice di merito deve arrestarsi al significato letterale delle parole, e non può far ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici quando dalle espressioni usate dalle parti emerga in modo immediato la volontà delle medesime, in quanto il ricorso agli altri criteri interpretativi, al di fuori dalle ipotesi di ambiguità della clausola, presuppone la rigorosa dimostrazione dell’insufficienza del mero dato letterale ad evidenziare in modo soddisfacente la volontà contrattuale. Criteri ermeneutici sussidiari. In tema di interpretazione del contratto, l’uso dei criteri ermeneutici sussidiari, ed in particolare del principio di conservazione del contratto e del comportamento successivo delle parti, da valutarsi alla luce del principio di buona fede oggettiva, è indispensabile quando, malgrado l’applicazione delle regole interpretative principali, il senso delle espressioni negoziali nella loro formulazione letterale appaia oscuro o ambiguo, sì da non consentire un’inequivoca interpretazione del contratto o delle sue clausole L’interpretazione complessiva del contratto . Nell’interpretazione dei contratti, l’art. 1363 c.c. impone di procedere al coordinamento delle varie clausole e di interpretarle complessivamente le une a mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso risultante dall’intero negozio pertanto, la violazione del principio di interpretazione complessiva delle clausole contrattuali si configura non soltanto nell’ipotesi della loro omessa disamina, ma anche quando il giudice utilizza esclusivamente frammenti letterali della clausola da interpretare e ne fissa definitivamente il significato sulla base della sola lettura di questi, per poi esaminare ex post le altre clausole, onde ricondurle ad armonia con il senso dato aprioristicamente alla parte letterale, oppure espungerle ove con esso risultino inconciliabili. La proprietà del terrazzo di chi è? Secondo la ricorrente, il terrazzo era di sua esclusiva proprietà in quanto nell’atto di divisione detta terrazza sarebbe stata attribuita alla ricorrente unicamente”. In realtà, già la Corte di Appello aveva valorizzato gli ulteriori elementi degli atti di divisione per cui è causa, dai quali, invece, emergeva un diverso assetto proprietario rispetto a quello invocato, escludendo, quindi, una cessione esclusiva in favore della ricorrente in Cassazione. Ciò anche sul rilievo che una cessione di tale tipologia avrebbe impedito, in sostanza – ed in tal senso emerge l’indagine di natura funzionale sulla natura del bene in relazione agli atti nei quali si dispone dello stesso – di accedere all’appartamento posto al piano superiore a tale terrazza, in difetto di costituzione, anche tacita, di un diritto di servitù di passaggio in favore, appunto, del proprietario dell’appartamento posto sopra la terrazza.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 luglio - 10 dicembre 2013, numero 27582 Presidente Triola – Relatore Parziale Svolgimento del processo 1. Anumero .De.Ma. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli la sorella, A D.M. , per ottenere la rimozione delle opere da costei realizzate su una terrazza di proprietà comune, facente parte del primo piano di un condominio sito in ., in quanto pregiudizievoli della libera e piena utilizzazione dei beni comuni. L'attore esponeva di essere proprietario di un appartamento al primo piano del suddetto edificio, al quale si accedeva da un viale porticato comune e quindi da un terrazzino comune. Aveva acquistato la proprietà in forza dell'atto notaio Siciliani del 27 agosto 1960, col quale i genitori delle due parti in causa, D.M.V. e C R. , avevano donato in nuda proprietà il loro immobile in . ai quattro figli A. , E. , Anumero e G. , i quali, a loro volta, col medesimo atto, avevano poi proceduto allo scioglimento della comunione sul bene donato, ripartendolo in quattro porzioni e assegnandosene consensualmente una per ciascuno. Nella donazione erano ricomprese anche talune parti dell'edificio di cui i sig.ri D.M. - R. erano comproprietari unitamente ai sig.ri S. - R. , per cui con atto notaio Siciliani del 25 marzo 1961, si era proceduto allo scioglimento di tale comunione con i sig.ri R. e S. , in modo che sui beni assegnati a ciascuno dei donatari D.M. non sussistesse più alcuna comunione con estranei. Qualche mese dopo la donazione del 1960, la sorella A. , proprietaria dell'appartamento al primo piano del medesimo stabile, gli aveva ceduto, in regime di comproprietà, tutti i propri diritti sul muro confinante a sud con la proprietà dei sig.ri Ferraro, le tre arcate, il sottoscala, riservandosi solo il passaggio del viale per arrivare al suo ingresso ed impegnandosi a non ingombrare il viale con alcunché. Tuttavia, il 12 settembre 1992 la sig.ra Anna aveva abbattuto parte del suddetto muretto, creando un varco per accedere ad un terrazzino, chiudendone l'accesso con un cancclletto munito di lucchetto. Tali opere avevano leso il diritto di proprietà e di veduta, creato una innovazione illecita e dannosa , pregiudicato la libera e piena utilizzazione dei beni comuni. Chiedeva, quindi, la condanna della sig.ra D.M.A. alla rimozione della soletta - terrazzino e del caneelletto, al ripristino del muretto - affacciatoio e dello stato dei luoghi , oltre al risarcimento dei danni da liquidarsi equitativamente per la limitazione nell'uso dei beni innanzi descritti. Si costituiva in giudizio la convenuta, affermando di essere proprietaria esclusiva della terrazza adiacente la stanza al piano terra di sua proprietà e negando di aver ceduto i propri diritti al fratello, al quale spettava solo un diritto di passaggio sulla terrazza per accedere al suo sovrastante appartamento. Spiegava domanda riconvenzionale, perché fosse dichiarato e riconosciuto il suo diritto di proprietà esclusiva sulla terrazza antistante la sua stanza, sul muro che delimitava la terrazza, sulle tre arcate e sul vano costruito nel sottoscala con condanna dell'attore all'immediata restituzione del vano sottoscala e degli altri beni di cui fosse stato contestato il possesso, nonché al risarcimento dei danni. 2. All'esito del giudizio di primo grado, nel corso del quale era stata espletata c.t.u., il Tribunale accoglieva la domanda attorea, dichiarando l'illegittimità dell'apertura e delle opere eseguite dalla sig.ra D.M.A. sul muro comune, ordinando la rimessione in pristino del muro affacciatoio e la rimozione del cancellctto in ferro e dell'ancoraggio della ringhiera delimitante il palchetto. Accoglieva la domanda riconvenzionale spiegata dalla convenuta, dichiarando la medesima proprietaria esclusiva della terrazza antistante il suo appartamento, nonché del vano esistente sotto la rampa della scala, che conduce all'appartamento del sig. Anumero , ordinando a quest'ultimo l'immediata restituzione del vano sottoscala, libero e vuoto da persone e cose. Infine, condannava le parti a pagare reciprocamente l'uno all'altra, a titolo di risarcimento danni, equitativamente determinati, la somma di L. 1.000.000, e dichiarava interamente compensate tra le parti le spese e competenze del giudizio. 3. Avverso la suddetta sentenza proponeva appello la sig.ra D.M. , chiedendo di rigettare l'avversa domanda relativa alla pretesa illegittimità dell'apertura passante eseguita da D.M.A. e alla chiusura della stessa mediante rimessione in pristino del muro affacciatoio e rimozione del cancelletto in ferro e dell'ancoraggio della ringhiera delimitante la soletta/palchetto ” e accogliere il capo della domanda riconvenzionale relativo alla dichiarazione della proprietà esclusiva di essa D.M.A. sul muro delimitante la terrazza di sua proprietà esclusiva, adiacente la stanca di proprietà della stessa sita nei luoghi di causa, nonché sulle tre arcate che si aprono in detto muro, con vittoria di spese e competente del doppio grado di giudico ” e, inoltre, domandando gli interessi e il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza . 4. Si costituiva l'appellato Anumero .De.Ma. , rilevando l'infondatezza dell'appello e spiegando, a sua volta, appello incidentale perché a fosse dichiarata la sua proprietà esclusiva del vano esistente sotto la rampa delle scale di sua proprietà b fosse dichiarata la proprietà comune tra i fratelli della terrazza antistante l'appartamento della sorella c fosse dichiarata la pronuncia sul risarcimento del danno in favore della sorella viziata da ultrapetizione per essere stata richiesta la liquidazione in separata sede. Osservava che A D.M. non aveva alcun diritto sul vano sottoscala in questione, appartenente in piena ed esclusiva proprietà all'appellato, stante l'atto di donazione - divisione per Notaio Mario Siciliani del 27.8.1960, ed in quanto parte integrante della rampa di scale o, comunque, naturale accessorio della medesima, proponendo eccezione di avvenuto acquisto per usucapione a proprio favore, ai sensi dell'art. 1159 cod. civile, del suddetto vano sottoscala e. comunque, di intervenuta usucapione, per avere egli sempre esercitato su di esso il possesso esclusivo, pieno, pacifico, pubblico ed ininterrotto per più di venti anni. 5. La Corte d'Appello di Napoli rigettava l'appello principale, accogliendo, invece, l'appello incidentale. Riteneva sussistente la comproprietà, tra le parti, del terrazzo , come desumibile dall'interpretazione dei due rogiti per notar Siciliani . Da ciò faceva derivare l'illegittimità della realizzazione, da parte della D.M.A. , della soletta-palchetto esternamente al suddetto terrazzo, in quanto potenzialmente pregiudizievole per la statica del muretto di recinzione di esso terrazzo, e perché lesiva del diritto di veduta in appiombo, ex art. 907 c.c., da parte del comproprietario De.Ma.Anumero . Riteneva inoltre illegittimo anche il varco di accesso alla detta soletta-palchetto , aperto sul muretto de quo dalla D.M.A. , non solo perché funzionale ad accedere ad opere illegittime, ma anche in quanto suscettibile di rendere difficoltoso e anche pericoloso l'affaccio su tale tratto di recinzione, e perché lesivo dell'estetica del fabbricato e del terrazzo. La Corte d'Appello, infine, riteneva l'opera espressione di un uso esclusivo della cosa comune da parte dell'appellante in danno dell'appellato comproprietario. Quanto, poi al vano posto sotto la scala di accesso al sovrastante appartamento di proprietà esclusiva del De.Ma.Anumero , la Corte territoriale ne dichiarava l'esclusiva proprietà di quest'ultimo, in quanto, in base ai predetti rogiti e considerata la proprietà esclusiva della scala, non poteva che ritenersi attribuita al medesimo sig. Anumero anche la proprietà della relativa area di sedime, nella quale era ricavato il vano sottoscale . Conseguentemente, la Corte d'Appello riformava la sentenza del Tribunale anche nella parte in cui aveva condannato il sig. De.Ma.Anumero al risarcimento di danni da lui non cagionati. 5. Detta sentenza viene impugnata dalla sig.ra D.M.A. che articola tre motivi. Resiste con controricorso il sig. De.Ma.Anumero . La ricorrente ha depositato memoria. Motivi del ricorso 1. Col primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1362 - 1371 c.c. sull’interpretazione dei contratti con particolare riguardo a quelle degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c. omessa applicazione della norma di cui all'art. 1062 c.c. omessa applicazione della norma di cui all'art. 757 richiamato dall'art. 1116 c.c. violazione e falsa applicazione della norma di cui all'art. 1117 nnumero 1 e 3 c.c., in relazione all'art. 360 numero 3 c.p.c. omissione o quanto meno insufficienza di motivazione su punto decisivo della controversia prospettato dalle parti art. 360 numero 5 c.p.c. ”. La Corte d'appello di Napoli ha fatto errata applicazione delle norme relative alle ermeneutica contrattuale, in particolar modo con riferimento agli articoli 1362, 1363, 1366, 1367 del codice civile, perché con chiarezza l'articolo 5 dell'atto per notar Siciliani del 23 maggio 1961 attribuiva espressamente alla signora D.M.A. la proprietà esclusiva della terrazza per cui è causa. Tale clausola è del seguente letterale tenore terrazzina sita a sud del fabbricato in oggetto viene, con il presente atto e d'accordo fra le due parti contraenti, divisa, fra le stesse, in due porzioni uguali, di cui quella antistante la proprietà di E S. e dei figli R.E. , Cl. e G. viene ad essi medesimi attribuita e l'altra metà assegnata unicamente ad A D.M. ”. Secondo la ricorrente di tale espressione letterale non consente di ritenere che un'attribuzione fatta espressamente ad un solo e ben specificato soggetto possa essere fatta anche a favore di altro soggetto che non venga nemmeno menzionato nel contratto. La Corte di merito, inoltre, non ha considerato due particolari che emergevano dal precedente atto di donazione del 27 agosto 1960 con cui i genitori delle parti in causa avevano donato in nuda proprietà il loro immobile ai quattro figli a l'espressione comune , riferita la terrazza, riguardava la pregressa comunione dei donanti con i signori R. S. b pur risultando assegnata la terrazza in sede di divisione alla condividente D.M.A. , l'accesso all'appartamento al piano superiore da parte dell'altro condividente Anumero sarebbe avvenuto con l'esercizio di una servitù di passaggio. Inoltre, la Corte d'Appello avrebbe dovuto indagare sui veri motivi per i quali con l'atto del 1960 era stata trasferita dai genitori solo alla signora A D.M. la proprietà della porzione di terrazzo loro spettante, perché così facendo, successivamente alla divisione con i signori R. - S. , ella avrebbe acquisito la proprietà esclusiva del terrazzo. Con riferimento all'articolo 366 bis c.p.c. vengono formulati i seguenti quesiti di diritto Primo quesito Dica la Corte se, per ritenere che la terravga pianterreno affermata dalla signora A D.M. come di sua proprietà esclusiva per esserle stata assegnata in ambedue gli atti per notar Siciliani del 1960 del 1961 appartenesse invece in comproprietà anche al fratello Anumero , la Corte di merito avrebbe dovuto determinare il contenuto di quegli atti procedendo un'interpretazione complessiva delle clausole dell'uno e dell'altro a norma dell'articolo 1363 c.c. ciò che invece quel giudice non ha fatto perché 1. ha ignorato la clausola dell'articolo 8 dell'atto Siciliani del 1960, che indica la terrazza comune, per cui è causa, come inclusa nella porzione assegnata alla condividente A. e non anche in quella assegnata ad Anumero 2. ha ignorato la clausola dell'articolo nove dello stesso atto, nella quale si prevedono espressamente le modalità dell'accesso all'appartamento al primo piano incluso nella quarta quota assegnata ad Anumero 3. non ha collegato le clausole degli articoli 4 e 8 dell'atto Siciliani del 1960 a quella dell'articolo 5 dell'atto Siciliani del 1961, dalla connessione tra le quali appariva evidente come, avendo i donanti, con il primo atto, trasferito una porzione di terrazza poi assegnata ad A. comune anche a terzi gli S. - R. , essi volessero - con il secondo atto - procedere alla divisione coi vecchi comproprietari e far acquistare così ad A. la proprietà esclusiva della porzione di terrazza a lei assegnata con l'atto Siciliani del 1960” . Secondo quesito Dica ancora la Corte se decidendo di includere tra i diritti acquistati dal condividente Anumero anche quello sulla terrazza che trovasi invece espressamente inclusa nella sola porzione della condividente A. , la sentenza impugnata abbia accettato, un'interpretazione dei due contratti sottomessi al suo esame non secondo buonafede così violando l'articolo 1366 c.c. ”. Terzo quesito Dica ancora la Corte se, nel ritenere che la terrazza fosse divenuta comune ad D.M.A. e ad Anumero con l'atto del 1960 e che nell'atto Siciliani del 1961 non si sarebbe potuto attribuirla alla sola A. come invece inequivocabilmente afferma l'art. 5 dell'atto del 1961 , la sentenza impugnata abbia violato la norma dell'articolo 1367 c.c., omettendo di interpretare - come ben poteva - due contratti nel senso che assicurasse al detto art. 5 il raggiungimento di un assetto conforme alla volontà chiaramente manifestata dalle parti” . Quarto quesito Dica ancora la Corte se la sentenza impugnata, nell'ipotizzare un'interclusione dell'appartamento assegnato, nella divisione con l'atto Siciliani del 1960, al condividente De.Ma.Anumero ove mai a costui non fosse stata assegnata pure la comproprietà della terrazza al pianterreno, abbia disapplicato la norma dell'art. 1062 c.c., perché essendo stato il fabbricato poi diviso oggetto della donazione Siciliani del 1960 lasciato dai donanti nello stesso stato in cui essi l'avevano posseduto, e cioè con l'accesso all'appartamento al primo piano attraverso la terrazza poi assegnata ad A. e la scala poi assegnata ad Anumero , la servitù di passaggio a favore del fondo di quest'ultimo si sarebbe comunque costituita per destinazione del padre di famiglia ”. Quinto quesito Dica ancora la Corte se, negando erroneamente che l'articolo 5 del contratto Siciliani del 1961 potesse attribuire la proprietà esclusiva della terrazza al pianterreno comune anche i signori S. - R. alla sola A D.M. , assegnataria di quel bene nella divisione Siciliani del 1960, la sentenza impugnata abbia anche violato la norma dell'art. 757 c.c. richiamato dall'art. 1116 c.c. , perché, data la natura dichiarativa della divisione tra i donatari, era proprio alla sola signora D.M.A. , unica avente causa dei donanti nella comproprietà della terrazza, che questa poteva essere assegnata in sede di scioglimento della comunione con gli S. - R. ”. Sesto quesito Dica infine la Corte se, risultando dalla relazione di consulenza tecnica acquisita agli atti del giudizio di primo grado - che il parapetto della terrazza a piano terra non costituisse anche a cagione del suo minimo spessore un'elevazione del muro perimetrale del fabbricato e nelle tre arcate non avessero alcuna funzione portante di strutture comuni, l'appello principale della signora A D.M. diretto a sentir dichiarare la sua proprietà esclusiva di detti parapetto e arcate fosse meritevole di accoglimento, non risultando applicabile la presunzione di comproprietà, limitata - per l'art. 1117, nnumero 1 e 3 c.c. - ai muri maestri, le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, le opere, installazione manufatti che servono all'uso e al godimento comune ”. Sempre con riferimento all'articolo 366 bis cod. proc. civ. la ricorrente precisa che i punti su cui la motivazione si denuncia come omessa o insufficiente, nonché affetta da vizi logici e giuridici sono quelli attinenti a alla totale pretermissione dell'esame delle clausole degli artt. 8 e 9 dell'atto Siciliani del 1960 b al difetto di qualsivoglia rilievo sulla connessione tra le clausole degli artt. 4 e 8 dell'atto Siciliani del 1961, che avrebbe reso evidente perché, data la natura dichiarativa della divisione operata dai donatori nello stesso atto Siciliani del 1960, era solo alla signora A D.M. , unica assegnata ria della terrazza comune che questa poteva venire attribuita in sede di divisione con i comunisti R. - S. c alla totale mancanza d'ogni motivazione circa le ragioni che portavano a escludere, nell'ipotesi di assegnazione della terrazza alla sola sorella A. , la fondatezza del timore erroneamente supposto dalla sentenza impugnata di un'interclusione nell'appartamento al primo piano assegnato al condividente A D.M. , laddove l'accesso allo stesso risultava convenzionalmente regolato dall'art. 9 dell'atto siciliani del 1960 sarebbe stato comunque assicurato dalla costituzione di una servitù di passaggio sulla terrazza per destinazione del padre di famiglia ”. 2. Col secondo motivo di ricorso si deduce in via subordinata violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1102 c.c. 112 c.p.c. 907 c.c. 1061 e 1062 c.c., in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c. omissione o quanto meno insufficienza di motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalle parti art. 360 numero 5 c.p.c. ”. L'erroneità della sentenza impugnata deriva anche dalla mancata applicazione dell'art. 1102 c.c. che consente, tra l'altro, al condomino di aprire, al proprio servizio esclusivo, luci finestre e balconi nei muri perimetrali del fabbricato. La Corte territoriale era incorsa in violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., affermando che i lavori effettuati dalla signora A D.M. avevano leso l'estetica del fabbricato, posto che la domanda proposta dal signor Anumero .De.Ma. non risultava fondata su tale causa petendi . Inoltre, la sussistenza di una servitù di veduta dalla scala a favore del signor Anumero .De.Ma. era da escludersi, in quanto non dimostrata, né potendosi ritenere costituita per usucapione o destinazione del padre di famiglia, posto che la funzione della balaustra della scala non era quella dell'affaccio, e dunque non idonea a provare l'apparenza della pretesa servitù. Infine, è omessa la motivazione circa la pretesa lesione della statica del fabbricato, quantunque smentita dal consulente tecnico. È, altresì, infondato il pericolo dell'esposizione del signor Anumero .De.Ma. ad azioni di responsabilità e danno civile ed anche penale da parte di terzi, tenuto conto che i lavori erano stati svolti sulla base di una regolare autorizzazione amministrativa, e che i proprietari finitimi avevano prestato consenso agli stessi. In riferimento all'articolo 366 bis c.p.c. vengono formulati i seguenti quesiti di diritto Primo quesito Dica la Corte se, risultando essere la soletta-palchetto edificata dall'attuale ricorrente soltanto uno sporto del fabbricato comune e non invece un distinto, autonomo fondo di sua proprietà , fosse applicabile la norma dell'articolo 1102 c.c., che consente al condomino di aprire, al proprio servigio esclusivo, luci, finestre e balconi nei muri perimetrali del fabbricato ”. Secondo quesito Dica ancora la Corte se, tenuto conto della causa petendi della domanda proposta dal signor Anumero .De.Ma. contro la sorella A. risultante dalle trascritte richieste contenute nell'atto introduttivo costituisca vizio di ultrapetizione addebitabile alla sentenza impugnata l'aver affermato - per di più nel difetto di qualsiasi motivazione - che il manufatto realizzato dall'attuale ricorrente ledesse l'estetica e l'euritmia del fabbricato” . Terzo quesito Dica ancora la Corte se la sentente impugnata, nell'affermare che il manufatto realizzato dall'attuale ricorrente avesse leso una servitù di veduta vantata dal signor Di.Ma.Anumero , abbia violato falsamente applicando le norme degli articoli 1061 1062 e 907 c.c. perché 1. nessuna servitù di veduta s'era dimostrata sussistere per titolo a favore dell'appartamento del signor Anumero .Di.Ma. 2. Una servitù di veduta, esercitabile dalla scala, non poteva essersi costituita per usucapione o destinazione del padre di famiglia artt. 1061 e 1062 c.c. , perché la balaustra della scala destinata per sua natura alla protezione non all'affaccio , non sarebbe stata opera idonea a far considerare apparente la pretesa servitù 3. Il signor De.Ma.Anumero , perciò, non avendo acquistato alcuna servitù di veduta, non avrebbe potuto invocare i limiti di distanza previsti dall'articolo 907 c.c.” . Sempre con riferimento all'art. 366 bis c.p.c. la ricorrente precisa che i punti su cui la motivazione si denuncia come omessa o insufficiente oltre che affetta da vizi logici e giuridici sono quelli attinenti a Alla pretesa lesione della statica del fabbricato a opera del manufatto oggetto della controversia su cui nulla dice la sentenza, men che mai per contraddire l'affermazione contraria del consulente b All'affermazione dell'esistenza di una pretesa servitù a favore dell’appartamento del signor De.Ma.Anumero , che non soltanto non è sorretta da alcuna motivazione, ma mostra di ignorare addirittura la decisione in senso contrario del giudice di primo grado c All'affermazione ribadita che la costruzione del manufatto potrebbe esporre il signor De.Ma.Anumero a probabili azioni di responsabilità e danno civile ed anche penale da parte di terzi, tacendosi nella sentenza le circostanze pacifiche di una regolare autorizzazione amministrativa alla realizzazione del manufatto e del consenso prestato dal vicino a tale realizzazione ”. 3. Col terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1117 numero 1 e 934 c.c., in relazione all'art. 360 numero 3 c.p.c. totale omissione o quanto meno insufficienza di motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalle parti art. 360 numero 5 c.p.c. ”. Ha errato la Corte d'Appello di Napoli nell'attribuire al signor Anumero .De.Ma. la proprietà del vano sottoscala posto sulla terrazza oggetto di controversia. Il richiamo ai predetti rogiti e relativi chizzi planimetrici effettuati in pianta , oltre che generico e indeterminato, è errato nella misura in cui dal rogito siciliani del 27 agosto 1960 non risulta affatto che il signor Anumero .De.Ma. fosse assegnatario del vano in oggetto. Peraltro, tale atto assegnava la terrazza ad A D.M. e, pertanto, da esso non può ricavarsi alcuna prova circa la pretesa assegnazione al signor Anumero del vano de quo. Inoltre, l'impianto motivazionale della Corte di merito si basa su una nozione errata di sedime infatti tale termine indica la superficie su cui una costruzione poggia con la sua base, e non anche la mera proiezione di un corpo aggettante, come la scala, che può sovrastare una superficie sottostante, ma non la ingombra e la occupa. Dunque, lo spazio vuoto al di sopra di una rampa di scale non può dirsi perciò un sedime e, pertanto la base di tale spazio, inclusa nella superficie più bassa della terrazza, non può che appartenere al proprietario di questa, ossia la signora D.M.A. . Inoltre, non si comprende bene a quale norma la Corte di merito abbia inteso rifarsi nella propria motivazione, se all'articolo 1117, numero 1, c.c. o all'articolo 934 c.c Invero, la norma appropriata per la disciplina del caso concreto è la seconda, in tema di accessione, dal cui esame non può che desumersi la conferma della sussistenza del diritto di proprietà della signora A D.M. sul vano sottoscala. Del pari, non è condivisibile l'argomentazione della Corte secondo cui la proprietà del vano sottoscala apparterrebbe al signor De.Ma.Anumero per il fatto di essere stata a lui attribuita la proprietà della scala necessaria ad assicurargli l'accesso al suo appartamento posto al piano superiore. La proprietà della scala gli è stata attribuita esclusivamente in funzione dell'esercizio della servitù di passaggio funzionale all'accesso al proprio immobile. Infine, la sentenza è carente di motivazione con riferimento alla durata del preteso possesso del vano da parte di De.Ma.Anumero . In riferimento all'art. 366 bis c.p.c. vengono formulati i seguenti quesiti di diritto Primo quesito Dica la Corte se per l'art. 1117 numero 1 c.c. il suolo su cui poggia l'edificio il c.d. sedime va inteso come la porzione di suolo occupata dalla base dell'edificio” . Secondo quesito Dica la Corte se, proiettandosi una rampa di scala su di una sottostante superficie libera appartenente a proprietario diverso, la costruzione eseguita da quest'ultimo su tale superficie con l'occupazione del volume interposto tra di essa e la sovrastante rampa si acquisti per accessione, dal proprietario della superficie ai sensi dell'art. 934 c.c.” . Sempre in riferimento alla norma dell'art. 366 bis c.p.c. la ricorrente precisa che i punti su cui la motivazione si denuncia come omessa o insufficiente oltre che affetta da vizi logici e giuridici sono quelli attinenti a all'affermazione, indimostrata ed equivoca, che la proprietà del vano sottoscala apparterrebbe al sig. Anumero .De.Ma. in virtù dei predetti rogiti e relativi schizzi planimetrici effettuati in pianta , laddove nessuno dei rogiti oggetto dell'esame della Corte d'Appello fa menzione di tale vano e del preteso suo acquisto da parte del De.Ma. b all'affermazione indimostrata oltre che erronea secondo cui il vano sottoscala esistente sulla terrazza della sig.ra D.M.A. sarebbe di proprietà del fratello Anumero per risultar edificato su sedime a lui appartenente c all'affermazione che il sig. De.Ma.Anumero potrebbe esser divenuto proprietario di quel vano anche in dipendenza di un possesso esercitato per più decenni circostanza questa esclusa invece puntualmente dalla sentenza di primo grado, la cui motivazione la Corte di Appello, non che di confutare, ha omesso addirittura di richiamare” . 4. Il ricorso è infondato in tutti i suoi motivi, per quanto di seguito si chiarisce. 4.1 - Il primo motivo denuncia la violazione dei canoni legali di interpretazione dei contratti, nella quale sarebbe incorsa la Corte territoriale quanto alla ritenuta proprietà comune della terrazza. La ricorrente richiama testualmente il contenuto di alcune pattuizioni, a lei favorevoli, contenute nei due atti pubblici del 1960 del 1961 e ne da una propria interpretazione. In particolare evidenzia il passo dell'art. 5 del'atto del 1961, col quale la terrazza sarebbe stata solo a lei assegnata l'altra metà assegnata unicamente ad D.M.A. . Trascura però, come peraltro evidenziato dal controricorrente, di riportare interamente tutte le pattuizioni, che riguardano specificamente la terrazza in questione, così impedendo alla Corte, in violazione del principio di specificità del motivo, di poter disporre di tutti gli elementi di valutazione necessari senza dover accedere agli atti, attività questa inibita alla Corte di legittimità. Né la ricorrente si fa carico compiutamente delle valutazioni al riguardo operate dalla Corte territoriale la quale, nell'affermare la comproprietà tra le parti della terrazzo, ha ritenuto che tale conclusione si ricavasse univocamente . dal tenore, dal senso e comunque dall'unica ragionevole interpretazione degli stessi due rogiti per notar Siciliani, binc et inde, invocati, nonché dai relativi allegati ”. La Corte, quindi, ha preso in considerazione entrambi gli atti, dando correttamente prevalenza, nella sua interpretazione del loro contenuto del primo, che determina in concreto ciò che le parti successivamente potevano, o meno, trasferire. Al riguardo, la motivazione della Corte territoriale, così prosegue sul punto. Sono difatti, condivisibili, i rilievi, in proposito, dell'appellante incidentale suo capo B v. svolgimento del processo , atteso che, effettivamente, nel rogito di donazione-divisione del 27/8/1960, tale terrazzo viene qualificato come comune, evidentemente, anche al pure ivi costituito De.Ma.Anumero assegnatario di una quota né tale evidenzia può dirsi contraddetta o comunque elisa dal successivo rogito del 25/3/1961 di convenzione tra tali S. - R. — evidentemente da un lato - e i germani D.M.A. oggi appellante , Anumero oggi appellato/appellante incidentale e G. nonché il loro padre V. , tutti evidentemente quali complessiva unica controparte dei primi. Si osserva infatti che la divisione, di cui al capo 5 di tale atto, della terrazza della quale ivi viene convenuta la divisione tra i R. - S. da un lato ed unicamente la D.M.A. dall'altra non può essere letta come cessione del proprio diritto di comproprietà su tale porzione in favore di quest'ultima da parte del germano Anumero che, come detto ne era con lei comproprietario ex atto 27/8/1960 , a tacer d'altro perché ivi difetta sia qualsiasi logica e sinallagma per tale asserita cessione sia, comunque, ogni sia pure superficiale accenno ad una pattuizione in tale senso tra i due germani oggi qui parti, sia, anche, perché tale interpretazione, in difetto di una costituzione anche tacita di servitù di passaggio in favore del De.Ma.Anumero su di essa, gli impedirebbe di raggiungere anche la scala di accesso al suo sovrastante cespite. Pertanto, la predetta dizione del capo 5 del rogito 23/5/1961 va interpretata come minus dixit quam voluit, nel senso, cioè, di mera contrapposizione tra la parte R. - S. da un lato e quella costituita da tutti i De.Ma. dall'altro come del resto si ricava anche dalle residue pattuizioni di detto rogito . Né tanto può dirsi contraddetto dalla pattuizione di divisione di detto terrazzo in due porzioni uguali, sia perché trattasi evidentemente, di suddivisione a corpo vedasi schizzo allegato all'atto e non a misura sia comunque, perché, per quanto detto, la quota de qua è di comproprietà di entrambe le odierne parti in causa ”. La Corte, quindi, si fa carico di un'interpretazione dei due atti, attribuendo un significato logico, nel contesto dei due successivi trasferimenti, alla espressione che la ricorrente valorizza, dandone una lettura complessiva, che appare conforme ai criteri legali di interpretazione dei contratti e supportata da idonea valutazione. Del resto, la valorizzazione del dato testuale, operato dalla ricorrente quanto all'atto del 1961, non tiene adeguatamente in conto le ulteriori contrastanti affermazioni contenute nello stesso articolo ed indicate dal controricorrente, che mettono in discussione le conclusioni della ricorrente. Ne, come si è detto, la ricorrente ha riportato nel suo ricorso tale pattuizione, che la Corte territoriale non evidenzia specificamente, ritenendo di dare prevalenza ad elementi logico-formali, quanto agli effetti di tale pattuizione, se estrapolata dal contesto. Ne le conclusioni della ricorrente sono adeguatamente supportate dall'atto del 1960, nel quale le espressioni usate quanto alla terrazza non consentono di condividere la sua conclusione nel senso dell'assegnazione esclusiva della terrazza, proprio per gli elementi logici oltre che testuali evidenziati dalla Corte territoriale e sopra riportati. Né assumono rilievo decisivo, per giungere all'interpretazione del contenuto degli atti prospettata dalla ricorrente, le altre considerazioni e argomentazioni sviluppate nel motivo e riportate nei relativi quesiti, posto che esse consentono solo di affermare che di tali atti si potevano dare anche diverse interpretazioni, applicando gli stessi canoni interpretativi, dovendosi però concludere che l'attività interpretativa correttamente compiuta dal giudice di merito ed adeguatamente motivata, come è nel caso in questione, non è censurabile in sede di legittimità, essendo riservata proprio a tale giudice. Alle stesse conclusioni occorre giungere sulla valutazione operata quanto all'esclusione della proprietà esclusiva in favore della ricorrente del parapetto e delle arcate, che, per quanto descritto e in mancanza di specifica diversa regolazione dal titolo atto del 1960 , non possono che essere ritenute comuni per la loro funzione strutturale dell'intero edificio. 4.2 — Parimenti infondato è il secondo motivo, che denuncia la violazione dell'art. 1102 cod. civ., ritenendo la ricorrente di aver operato all'interno di tale norma, facendo legittimo uso della cosa comune. Al riguardo, la sentenza impugnata ha chiarito che non si trattava di uso della cosa comune, ma di asservimento della cosa comune ad uso esclusivo della ricorrente, con impedimento del pari uso da parte del comproprietario. Si tratta di apprezzamento di fatto, adeguatamente motivato con riguardo agli elementi acquisiti al giudizio, incensurabile in questa sede. Risultano poi ininfluenti gli ulteriori aspetti che denunciano violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., trattandosi di argomenti relativi ad ulteriori rationes decidendi , restando la prima ratio violazione del 1102 cod. civ. autonomamente in grado di sorreggere la decisione. 4.3 - Il terzo motivo riguarda la proprietà del vano sottoscala, ritenuto dalla Corte territoriale in capo al controricorrente. La ratio decidendi anche in questo caso si fonda su una valutazione complessiva dell'atto del 1960, nell'ambito del quale pacificamente la proprietà della scala era stata attribuita al germano della ricorrente. La Corte territoriale è giunta alla conclusione, sulla base di una pluralità di argomenti e non in base al solo elemento testuale valorizzato dalla ricorrente , che la volontà delle parti fosse nel senso di attribuire in via consequenziale la proprietà anche dello spazio sottostante la scala al germano della ricorrente. Al riguardo, la motivazione della decisione, seppure stringata, appare sufficiente ed adeguata, avendo fatto riferimento anche agli schizzi planimetrici allegati agli atti, effettuati in pianta, che certamente supportano l'interpretazione complessiva dell'atto. Anche in questo caso era possibile giungere ad una diversa interpretazione, restando pur sempre tale valutazione, in quanto di merito, incensurabile in questa sede. Infatti, l'argomento testuale della ricorrente utilizzo del termine sedime e stato dalla Corte territoriale inserito in una consentita e corretta valutazione logica del contenuto dell'intero atto del 1960, ulteriormente e con autonoma ratio decidendi supportata dalla valorizzazione del possesso di tale spazio esercitato dal controricorrente negli anni. 5. Le spese seguono la soccombenza. Non sussistono i presupposti per l'ulteriore condanna, richiesta dal sostituto procuratore generale, ex art. 385 cod. proc. civ P.T.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 2.000,00 duemila Euro per compensi e 200,00 duecento Euro per spese, oltre accessori di legge.