La legge regionale per il recupero dei sottotetti non può modificare il regolamento condominiale

La legge regionale che disciplina il recupero dei sottotetti non può autorizzare il singolo condomino a trasformare il sottotetto da deposito in abitazione, specie se il regolamento contrattuale di condominio vieta il cambio di destinazione degli immobili.

Ancora una volta i sottotetti tengono banco nelle aule di giustizia. Questa volta, peraltro, non si tratta di stabilire la natura privata o condominiale dell'immobile a finire sotto la lente, infatti, è il diritto del proprietario di mutare la destinazione d'uso della res trasformandola da deposito in abitazione . Il caso in esame trae origine proprio da questa trasformazione dell'immobile che, tanto per cambiare, suscita le ire degli altri condomini. Rotti gli indugi, si ricorre subito alla carta bollata per far sospendere l'esecuzione dei lavori. Il giudice, in questo caso, viene chiamato a stabilire il diritto del proprietario di procedere al cambio della destinazione d'uso del locale sottotetto. Secondo i condomini, tale cambio di destinazione sarebbe stato del tutto illegittimo in quanto sarebbe stato vietato da una precisa clausola contenuta nel regolamento contrattuale di condomino. Secondo le clausole contrattuali, il cambio d'uso degli immobili rientranti nel condominio doveva necessariamente essere sottoposto ad una specifica e preventiva autorizzazione da parte dell'assemblea condominiale. Tribunale e Corte di Appello concordano via libera alla trasformazione . Il giudizio di merito si svolge praticamente a senso unico Tribunale e Corte di Appello respingono la tesi del condominio riconoscendo le pretese dei convenuti. Secondo questi ultimi il cambio di destinazione non sarebbe stato in alcun modo una operazione vietata anzi, a ben guardare, la ristrutturazione dell'immobile ed il conseguente cambio di destinazione, trovavano addirittura un duplice fondamento. Da un lato in una legge regionale che, per l'appunto, favoriva il recupero a fini abitativi dei sottotetti e dall'altro, parallelamente, nello stesso regolamento di condominio che avrebbe riconosciuto la funzione abitativa delle mansarde. Cambio di rotta della Cassazione. Che accoglie in toto le richieste dei condomini ricorrenti. La vicenda si conclude con la sentenza n. 24125 del 24 ottobre 2013. Le legge regionale non può prevalere sul regolamento di condominio . Nel caso in esame i lavori di ristrutturazione e cambio di destinazione del locale sottotetto erano stati assentiti prendendo come punto di partenza una norma regionale nel caso in esame si trattava della Legge della Regione Lombardia del 15 luglio 1996, n. 15 che disciplinava, per l'appunto, il recupero a fini abitativi dei locali sottotetto. Su questo punto i condomini ricorrenti facevano notare che la norma regionale poteva limitarsi a disciplinare il cambio di destinazione degli immobili dal punto di vista urbanistico ed amministrativo ma, certamente, non poteva influire sui rapporti di tipo privatistico e, in particolare, non poteva autorizzare la realizzazione di opere che sarebbero state vietate secondo il regolamento di condominio di origine contrattuale. Gli Ermellini accolgono tale prospettazione la legge regionale che, nel dettare disposizioni in ambito urbanistico, disciplina il recupero dei sottotetti, non può derogare ai principi privatistici né, ovviamente, può introdurre delle deroghe al regolamento di condominio di natura contrattuale. Il condono edilizio non incide sui rapporti privatistici . La Cassazione torna a chiarire un punto fondamentale le norme che disciplinano le sanatorie edilizie ed urbanistiche possono regolarizzare eventuali abusi nonché violazioni alle norme amministrative, urbanistiche, penali e fiscali precludendo, in questo modo, l'applicazione delle relative sanzioni, ma non possono incidere in alcun modo sui diritti dei terzi che, eventualmente, fossero stati pregiudicati dalla realizzazione delle opere. La norma regionale richiamata dai convenuti ovvero la Legge Regionale della Lombardia numero /1996 , nel disciplinare il recupero ai fini abitativi dei sottotetti può legittimamente dettare la disciplina relativa agli aspetti amministrativi ed urbanistici ammettendo che un deposito possa essere trasformato in abitazione senza peraltro poter incidere sui rapporti di tipo privatistico e, men che meno, sui rapporti interni al condominio. In parole povere, le norme che introducono una normativa di favore in materia urbanistica esplicano i propri effetti in ambito amministrativo ma non sul piano privatistico per cui non possono sanare eventuali violazioni al regolamento condominiale. I sottotetti nella riforma del condominio . Con la recente riforma del condominio i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune sono stati inclusi, a pieno titolo, nell'ambito dei beni condominiali art. 1117, n. 2 ponendo fine all'antica diatriba sulla natura condominiale o privata dei locali sottotetto. Perché tanto interesse per i sottotetto? I c.d. locali sottotetto , tecnicamente, sono dei vani posti tra l'estradosso dell'ultimo solaio abitabile e il solaio di copertura e sono destinati ad assolvere alla funzione di camera d'aria per evitare gli sbalzi termici tra l'esterno e le sottostanti unità abitative. In origine si trattava di meri volumi tecnici , privi di alcun valore sia dal punto di vista urbanistico che commerciale, e venivano utilizzati come deposito di cianfrusaglie inservibili. La situazione è mutata quando questi spazi, inizialmente privi di valore, hanno iniziato ad essere utilizzati come mansarde abitabili . In epoche lontane dall'attuale crisi, la richiesta di case, specie nei centri storici, ha fatto aumentare la domanda e, con essa, i prezzi. Il legislatore regionale ha fatto il resto permettendo di rendere questi volumi abitabili a tutti gli effetti quantomeno a certe condizioni indicate dalle varie leggi regionali . Tale situazione ha causato una vera e propria reazione a catena l'aumento della domanda ha innescato il rialzo dei prezzi che, a sua volta, ha scatenato gli appetiti dei condomini che hanno iniziato a contendersi, a suon di carta bollata, la proprietà di questi locali rimasti abbandonati per decenni. La situazione ante riforma. L'aumento esponenziale delle controversie attinenti i sottotetti ha fatto sorgere due teorie contrapposte secondo una prima interpretazione, il sottotetto sarebbe stato un bene condominiale mentre, secondo un diverso punto di vista, si tratterebbe di immobili di pertinenza dell'appartamento sottostante. La diatriba, come dicevamo, sembra essere risolta dalla nuova formulazione dell'art. 1117 c.c Secondo l'orientamento prevalente della Cassazione almeno in epoca pre-riforma il sottotetto non avrebbe dovuto essere considerato come un bene comune tale tesi trovava il proprio fondamento nella vecchia formulazione dell'art. 1117 c.c. che non includeva i sottotetti nell'elenco dei beni condominiali. In mancanza di una precisa disposizione codicistica, la proprietà del sottotetto veniva determinata sulla base del titolo e, in mancanza, in base alla funzione cui esso era concretamente destinato. In tale prospettiva, per esempio, il sottotetto veniva considerato di proprietà dell'appartamento sottostante quando era ad esso collegato da una scala interna mentre, viceversa, veniva considerato condominiale nel caso in cui l'accesso fosse garantito dalla scala comune.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 giugno - 24 ottobre 2013, n. 24125 Presidente Triola Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con ricorso proposto ai sensi degli artt. 669 bis e ss. c.p.c. e 1171 c.c., notificato il 30 maggio 2003 R D.L. , P.A. , Sa CO. , L.T S. , D.P.G. , F C. , F V. , Z.M. , C A. , L D.L. , Ro MO. e CO.Ba. evocavano, dinanzi al Tribunale di Milano - Sezione distaccata di Legnano, Mi CA. e MO.Ma. e premesso di essere condomini dello stabile omissis , al pari dei convenuti, chiedevano venisse loro inibita la prosecuzione di opere iniziate nell'appartamento di loro proprietà, sito al piano solaio del medesimo edificio, opere che avrebbero concretato violazione del regolamento condominiale, con ripercussioni sulla struttura e sul decoro architettonico dell'immobile. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali formulavano ai sensi dell'art. 700 c.p.c. richiesta di autorizzazione agli allacci ENEL e AMGA, il giudice adito respingeva l'istanza di sospensione delle opere de quibus e disponeva la prosecuzione del giudizio di merito. Con successivi atti integrativi gli attori chiedevano, in subordine, la costituzione di servitù di passo per l'accesso al tetto in favore dei condomini e in via di ulteriore subordine, che venisse posto a carico dei convenuti l'onere economico delle opere di trasformazione. Con sentenza n. 217 del 2004 il giudice del merito rigettava le domande attoree, accertando il diritto dei convenuti ad effettuare a proprie spese gli allacciamenti ai servizi, posizionando i relativi contatori sulle parti comuni ex art. 1102 c.c In virtù di rituale appello interposto dagli originari attori, i quali lamentavano il malgoverno delle risultanze istruttorie, la Corte di appello di Milano, nella resistenza degli appellati, respingeva il gravame. A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che gli appellati avevano acquistato da t c. , con scrittura privata autenticata del 23.10.2001 porzione costituita da un locale rustico al piano sottotetto, distinto con il numero 10 , impegnandosi ad osservare il regolamento di condominio e le tabelle millesimali vigenti a sua volta il c. lo aveva acquistato dai sigg. So. e co. né detto locale era riportato all'art. 20 del regolamento condominiale, laddove stenditoio nel sottotetto risultava depennato. Aggiungeva che non risultava violata neanche la clausola di cui all'art. 27 del Regolamento condominiale emergendo dallo stesso patto speciale , riportato nel rogito del 20.1.1976 relativo all'unità abitativa posta al primo piano, la intrinseca destinazione abitativa, almeno potenziale, delle mansarde. In tal senso deponeva anche la legge regionale 15.7.1996 n. 15, vigente all'epoca, finalizzata al recupero a fini abitativi dei sottotetti, non immutata nella specie la superficie e la volumetria preesistente. Concludeva che non sussistevano le condizioni per desumere l'acquisto per usucapione della servitù di passaggio, in particolare il requisito dell'apparenza. Avverso la indicata sentenza della Corte di appello meneghina hanno proposto ricorso per cassazione R D.L. , P.A. , Sa CO. , L.T S. , D.P.G. , F C. , F V. e CO.Ba. , articolato su quattro motivi, al quale hanno replicato il CA. e la MO. con controricorso. Nel corso della pubblica udienza i controricorrenti hanno formulato istanza di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c Motivi della decisione Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1102, 1122, 1120, comma 2, 1138, ult. comma c.c., nonché vizio di motivazione, per incorrere l'attività realizzata dai controricorrenti sul bene di proprietà esclusiva nel divieto contenuto nell'art. 27 del regolamento condominiale contrattuale di mutamento della destinazione d'uso del sottotetto ad uso deposito, senza il consenso assembleare. Il motivo culmina nel seguente quesito di diritto è legittima la disapplicazione, da parte di un condomino, di una norma del regolamento condominiale contrattuale, che vieti - come nella specie l'art. 27-ogni mutamento di destinazione delle unità in condominio senza la preventiva autorizzazione assembleare adottata con la maggioranza per le innovazioni? . Il motivo è meritevole di accoglimento. Non è, infatti, condivisibile l'applicazione che la corte d'appello ha fatto, al caso di specie, dei principi in tema di interpretazione del regolamento condominiale. Secondo la prospettazione dei ricorrenti la sentenza della Corte meneghina avrebbe violato, nell'interpretazione del rogito dedotto in controversia del 20 gennaio 1976, il canone principale dell'interpretazione letterale di cui all'art. 1362 c.c., così incorrendo anche nel vizio motivazionale riconducibile alla diversa scelta dell'interpretazione logica con il rilievo della genericità del testo contrattuale e della mancanza di riferimenti concreti. Tale motivazione risulterebbe smentita - ad avviso dei ricorrenti - dalle risultanze documentali, in particolare dalla descrizione del sottotetto contenuta nel rogito, per notaio Rossi, del 23 ottobre 2001 che la definisce porzione costituita da un locale rustico al piano sottotetto , avente categoria C/2, che notoriamente individua la destinazione dell'immobile a deposito e magazzino. Sul piano generale si osserva che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, dal sistema delle regole ermeneutiche in materia di contratti si desume l'esistenza di un principio di gerarchia secondo cui le norme interpretative vere e proprie di cui agli artt. 1362-1365 c.c. prevalgono su quelle interpretative integrative di cui agli artt. 1366-1371 c.c., nel senso che la determinazione oggettiva del significato e della portata da attribuire alla dichiarazione negoziale non ha alcuna ragione di essere quando la ricerca soggettiva conduce ad un utile risultato. È altresì pacifico cfr., ad es., Cass. 22 dicembre 2005 n. 28479 Cass. 22 febbraio 2007 n. 4176 Cass. 28 agosto 2007 n. 18180 e, da ultimo, Cass. 26 febbraio 2009 n. 4670 che, in tema di interpretazione del contratto che costituisce operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e per vizio di motivazione , ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto tuttavia, occorre evidenziare che il rilievo da assegnare alla formulazione letterale deve essere verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale, e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell'art. 1363 c.c., e dovendosi intendere per senso letterale delle parole tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato. Nell'impiego della tecnica ermeneutica basata sul contesto letterale dell'atto, occorre considerare, poi, che l'esatto significato lessicale delle espressioni adoperate può non corrispondere all'intenzione comune delle parti allorché i singoli vocaboli utilizzati possiedano un preciso significato tecnico-scientifico, che rimandi ad una branca dello scibile umano non necessariamente a conoscenza dei dichiaranti in tutte le sue implicazioni. Ne deriva che, salvo una precisa e comune volontà delle parti di rinviare all'esatta valenza semantica propria di determinate nozioni specialistiche, l'interpretazione letterale deve essere contestualizzata in maniera da scontare una ragionevole approssimazione alla materia richiamata. Diversamente, ne risulterebbe vulnerata la stessa portata soggettiva del canone d'interpretazione letterale, in quanto l'espressione indagata non sarebbe più storicizzabile, ma risulterebbe sostituita da un dato oggettivo e astratto e per di più potenzialmente mobile dipendente non dalla comune intenzione delle parti, ma da fattori significanti ad esse sostanzialmente estranei v., da ultimo, Cass. 30 giugno 2011 n. 14460 . Nello specifico la sentenza impugnata mostra di aver adoperato il canone ermeneutico dell'interpretazione letterale in maniera non conforme agli enunciati anzi detti e di non avere motivato in modo sufficiente in ordine alla concreta destinazione dell'immobile ad un uso contrario alla regola condominiale, anch'essa di riflesso insufficientemente indagata. Infatti, il giudice distrettuale non ha tenuto conto dell'intero contenuto della clausola di cui all'art. 27 del regolamento di condominio, di più ampio tenore, il cui spirito è volto ad imporre a ciascun condomino il rispetto della destinazione naturale dei locali di proprietà esclusiva, così come riportato dai ricorrenti, da porre in relazione al contenuto del contratto di compravendita in discorso di cui al rogito 23 ottobre 2001 , che descrive la porzione posta al piano sottotetto come locale rustico, appartenente alla categoria catastale C/2, ma si è limitato ad interpretare gli atti pubblici separatamente, tralasciando l'indagine sul complessivo tenore letterale, oltre a decontestualizzare il richiamo contenuto nell'atto di alienazione alla categoria catastale di appartenenza del bene de quo, ricavando le proprie conclusioni unicamente dalla circostanza astratta che i locali venduti ai CA. - MO. avessero come loro destinazione naturale quella abitativa. In altri termini, non ha accertato quale fosse l'effettiva destinazione dell'immobile, traendo quest'ultima non da un elemento di fatto, ma in modo assolutamente generico e, soprattutto, senza alcun riferimento a situazioni concrete invece esattamente determinate sulla scorta dei già richiamati riferimenti catastali e planimetrici , ma solo dalla potenziale vocazione delle mansarde ad essere abitate, come desumibile dal c.d. patto speciale posto a conclusione della nota di trascrizione relativa al trasferimento dell'unità abitativa posta al primo piano con rogito del 20 gennaio 1976 , dato viepiù insufficiente in assenza di una complessiva interpretazione dell'atto di acquisto dei locali sottotetto, con riferimento all'art. 27 del regolamento condominiale, da cui emerge con limpida chiarezza che la disposizione è volta a vietare a ciascun condomino di eseguire nella sua proprietà esclusiva mutamenti della naturale destinazione dei locali, fatta salva una specifica autorizzazione assunta con il voto favorevole dei 2/3 dei componenti il Condominio. È noto, infatti, che le norme contenute nei regolamenti condominiali posti in essere per contratto possono imporre limitazioni al godimento ed alla destinazione di uso degli immobili in proprietà esclusiva dei singoli condomini, disposizioni che si risolvano nella compressione delle facoltà e dei poteri inerenti al diritto di proprietà dei singoli partecipanti ed in quanto costituiscono oneri reali o servitù reciproche Cass. n. 7003 del 1990 Cass. n. 1681 del 1993 afferiscono immediatamente alla cosa Cass. n. 16240 del 2003 Cass. n. 2683 del 1994 , purché espressamente e chiaramente manifestate dal testo o comunque risultanti da una volontà desumibile in modo non equivoco da esso cfr Cass. 31 luglio 2009 n. 17893 . Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1322, 1372, 1138, ult. com., 832 c.c. per avere la corte territoriale attribuito efficacia di ius superveniens alla legge Regionale n. 15 del 1996, che prevarrebbe sui principi previsti dagli artt. 1322 e 1372 c.c. e sulle disposizioni del regolamento condominiale contrattuale, in particolare la clausola di cui all'art. 27. Proseguono i ricorrenti che il legislatore regionale è tenuto a rispettare la riserva di legge a favore dello Stato in detta materia inoltre, come è noto ogni autorizzazione e/o concessione amministrativa farebbe comunque salvi i diritti dei terzi, per cui nella specie né la legge regionale n. 15/1996 né la DIA potevano in alcun modo autorizzare la deroga all'art. 27 del regolamento condominiale. A conclusione del motivo è posto il seguente quesito di diritto Può una legge urbanistica regionale, in tema di recupero edilizio dei sottotetti, dettare disposizioni derogatorie dei principi privatistici, relativi all'autonomia contrattuale delle parti e al diritto di proprietà di queste ultime? . Anche detto mezzo è fondato. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il postulato secondo il quale la regolarizzazione di una costruzione mediante il c.d. condono delle violazioni di norme urbanistiche perpetrate nel realizzarla, esplica effetti soltanto sul piano pubblicistico, precludendo alla pubblica amministrazione l'applicazione delle sanzioni a dette violazioni correlate, ma non incide in alcun modo sui diritti dei terzi direttamente pregiudicati dalla attività costruttiva illecita oggetto di sanatoria nelle pronunce si è fatto riferimento alla legge 28 febbraio 1985 n. 47 cfr., ex multis , Cass. 18 gennaio 2008 n. 992 . La declaratoria risultante dalla sentenza impugnata secondo la quale la legge regionale 15 luglio 1996 n. 15, finalizzata al recupero ai fini abitativi dei sottotetti con l'obiettivo di contenere il consumo di nuovo territorio e favorire la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici, autorizza gli interventi di recupero dei sottotetti purché non eccedano le trasformazioni riconducibili al concetto di ristrutturazione edilizia prevista dall'art. 31 lett. d legge n. 457/1978 , per cui avrebbe sortito l'effetto di far venire meno le conseguenze della violazione del regolamento contrattuale condominiale commessa dai condomini Ca. - Mo. con le immutazioni effettuate nella zona di sottotetto acquistata, provocando la caducazione del diritto spettante agli odierni ricorrenti di pretendere la puntuale osservanza di detto regolamento, si pone in patente contrasto con il principio più sopra enunciato. Le conseguenze delle violazioni edilizie si sviluppano, infatti, su due piani ben distinti di rapporti giuridici, uno, pubblicistico, tra il soggetto costruttore e gli organi pubblici amministrativi preposti alla prevenzione e repressione degli illeciti, l'altro, privatistico, tra lo stesso soggetto e i titolari di diritti soggettivi che possono rimanere lesi dall'attività edificatrice del primo pertanto, non interferendo tra loro i due ordini di rapporti, la previsione di attività di regolarizzazione delle opere attiene al punto di vista amministrativo, penale e fiscale, ovvero ai soli effetti dell'interesse pubblico, ma non pure ai fini privatistici, cosicché nelle controversie tra i privati, detta regolarizzazione non può incidere negativamente sui diritti dei terzi direttamente pregiudicati dalla attività edilizia in questione. Erroneo quindi risulta il convincimento espresso nella sentenza impugnata dal giudice distrettuale, e, perciò, la relativa statuizione va ravvisata meritevole di cassazione. Con il terzo motivo è dedotta la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla domanda di danno temuto, in tema di violazione del compossesso da parte dei resistenti sulle parti comuni, spettanti a tutti i condomini, avendo la corte di merito del tutto confuso la tutela dello stato di fatto, propria delle azioni possessorie e nunciative, con la tutela propria delle azioni petitorie in tema di servitù, non pronunciando sull'eccepito spoglio o turbativa, nonostante fosse stata acquisita agli atti la concreta prova dello spoglio e/o turbativa, comunque non contestata. Prosegue la censura riportando le dichiarazioni dei Ca. - Mo. e delle ipotesi in cui si sono resi necessari interventi di recupero del sottotetto. La censura è da disattendere, in quanto la corte di appello ha correttamente spiegato le ragioni per le quali l'azione intrapresa dai condomini, da qualificarsi come petitoria, non meritava considerazione, affermando che dall'istruttoria espletata era emerso il difetto nella fattispecie di segni idonei a dimostrare l'asservimento della zona solaio alle necessità del Condominio, quale ente di gestione, e pertanto andava esclusa l'esistenza del diritto di servitù e conseguentemente il relativo possesso. Tale affermazione appare idonea e sufficiente a spiegare il rigetto della domanda attorea sotto il profilo dell'eccepito spoglio o turbativa dell'asserito diritto reale ed è stata confutata solo genericamente dai ricorrenti, senza indicare, al fine di consentire il controllo del Collegio sull'operato del giudice di merito, gli elementi risultanti dagli atti e non considerati dal giudicante, idonei a contrastarla sul piano logico-fattuale. Il quarto motivo, con il quale è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 669 septies c.p.c. con riferimento agli artt. 91 e 92 c.p.c., nonché omessa motivazione sulla mancata liquidazione delle spese di soccombenza relative alla procedura cautelare d'urgenza in sede di reclamo e che culmina nel seguente quesito di diritto Nella liquidazione delle spese di soccombenza, di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c., il giudice deve tenere conto, oltre che di altre soccombenze parziali, anche delle spese di soccombenza relative ai connessi procedimenti cautelari di urgenza, non liquidate dal giudice della cautela? , risulta assorbito dal parziale accoglimento delle questioni di merito poste con i primi due mezzi. L'accoglimento del ricorso esclude, inoltre, una qualsivoglia responsabilità dei condomini per avere agito in giudizio e pertanto deve essere rigettata la domanda dei controricorrenti di condanna dei ricorrenti al risarcimento per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., peraltro proposta solo in sede di discussione in pubblica udienza. Per quanto sopra, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, rigettato il terzo ed assorbito il quarto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che deciderà la causa attenendosi ai principi anzi detti, provvedendo, altresì, a regolare le spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte, accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, rigettato il terzo, assorbito il quarto cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.